Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Sigfrido Bartolini e Romano Cattaneo a destra, in secondo piano Filippo Fusco, alla inaugurazione della mostra di Bartolini alla Triennale di Milano nel 2000
Tre mesi fa, il 5 dicembre 2013 Romano Cattaneo se n'è andato da questo mondo. In punta di piedi, silenziosamente, senza fare baccano, discreto come solo un gran signore sa essere in vita e conseguentemente in morte.
Non era un gran signore per titolo nobiliare, Romano F. Cattaneo, come amava firmarsi, è stato per tutta la vita un giornalista, e la sua sua aristocrazia apparteneva all'anima e alla professione.
Era un' aristocrazia di spada non di terra, paragonabile a quella dei solitari cavalieri antichi che senza appannaggi, castelli, o corti andavano raminghi mettendo la propria valentia al servizio della giustizia: ora una damigella da salvare, ora un torto da sanare, ora un duello da sostenere per difendere l'onore
Cavaliere ariostesco, con un pizzico di Cervantes là dove, come Don Chisciotte, l'anima e la coscienza di Romano Cattaneo erano determinate (fino alla nobile follia) dall'amore per la cultura, i libri, l'amicizia, la lealtà.
Nessuno di voi lo ha mai sentito nominare nonostante abbia scritto sul Corriere della sera, Il Giornale, La domenica del Corriere? Ne era orgoglioso, perché considerava la partecipazione alle testate più prestigiose quasi dei peccati di gioventù, cui si era adattato per le necessità contingenti.
Fare il giornalista per Romano Cattaneo significava mettersi al servizio di un ideale, condurre una solitaria battaglia in nome di ciò in cui credeva, e poiché i valori che professava non sono mai andati di moda, e anzi hanno subito l'oltraggio della storia scritta da vincitori arroganti e ingenerosi, era ben felice di stare dalla parte sbagliata.
Il suo orgoglio era rivendicare la professione fatta su giornali come Candido di Guareschi, il Borghese (di Longanesi e poi di Tedeschi), il Conciliatore diretto da Piero Capello con il quale avviò un duraturo sodalizio che solo la prematura morte di Capello interruppe.
Poi a metà degli anni '90, assai prima che Renzi inventasse la rottamazione a favore delle nuove generazioni, avendo incontrato un giovane di valore, che rispondeva al nome di Marzio Tremaglia, vide in lui la speranza di un passaggio del testimone fra generazioni.
La generazione di Romano Cattaneo era quella nata fra gli anni trenta e quaranta del '900. Una generazione che aveva avuto la disgrazia di veder perdere una guerra, ma la fortuna di condividere un idem sentire con coloro che onestamente, orgogliosamente, con coraggio e lealtà quella querra l'avevano combattuta e perduta.
Una generazione, quella di Cattaneo, fatta di intellettuali, artisti, giornalisti, scrittori come lui irrimediabilmente fedeli agli ideali e quasi allergici al successo, se esso significava una facciata priva di spessore, o un se esigeva come prezzo da pagare il tradimento di se stessi.
Marzio Tremaglia era un giovane neppure quarantenne quando divenne assessore alla cultura della Lombardia, e volle come consigliere accanto a sé Cattaneo per saldare le due generazioni, per andare avanti, per proseguire un discorso che avesse radici antiche, ma fosse proiettato nel futuro.
Insieme lavorarono bene e le cose fatte nel quinquennio alla cultura lombarda di Marzio Tremaglia rimangono in un libro che curò proprio Cattaneo, intitolato Ripensare la cultura (cinque anni di attività in Lombardia) pubblicato da Mazzotta; rimangono nella memoria dei lombardi; rimangono nel bel catalogo Mazzotta che corredò la grande mostra alla triennale di Milano dedicata all'opera di Sigfrido Bartolini che Cattaneo ideò e Tremaglia sottoscrisse con entusiasmo come evento conclusivo del suo mandato.
I cavalieri solitari sono destinati a vincere contro i nemici nei duelli, ma a perdere contro la sorte che decreta l'andamento generale della storia. I cavalieri antichi sono residui di tempi andati e pare non possano passare il testimone a nessuno. E infatti Marzio Tremaglia appena quarantenne morì lasciando in chi lo aveva conosciuto e potuto apprezzare una indicibile nostalgia e un doloroso rimpianto.
Per Romano Cattaneo fu la certificazione della fine di una speranza coltivata con amore, dedizione e lealtà. Dopo qualche tempo lo lasciò la moglie, Teresa, meravigliosa creatura che aveva condiviso con lui una intera vita. Romano ormai si sentiva solo, anche l'amico di sempre Sigfrido Bartolini, con il quale condividere gusti e disgusti di un tempo infelice, lo aveva lasciato.
Così Romano Cattaneo seguì la strada degli antichi cavalieri che, deposte le armi per il sopravvenire della vecchiezza, si ritiravano in eremitaggio. Lui si ritirò nella sua casa piena di libri (nel 2005 aveva dedicato un bel libro ad un pilota eroe di guerra bergamasco, Antonio Locatelli, tra eroismo e cultura, Ferrari editore), e di quadri forse con il proposito di attendere in serenità e discrezione il momento del ricongiungimento con Teresa, con gli amici e gli eroi nei quali aveva creduto e che aveva amato.
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