Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lass="Normal">Proprio mentre queste note stavano per essere scritte, un grave lutto ha colpito il mondo di quei cattolici che non intendono piegarsi al vento della modernità e alle novità del secolo, soprattutto quando pretendono di sconvolgere quel retaggio secolare che non deve (per un cristiano degno di tale nome) piegarsi al tempo, ma dovrebbe al contrario plasmarlo e informarlo di sé.
Un Cavaliere della Fede, ancora in giovane età, ha raggiunto la casa del Padre: Mario Palmaro, docente e giornalista cattolico, animatore di tante “buone battaglie”, soprattutto in materia di bioetica: uno dei pochi che non si è lasciato sedurre dal mito del pontefice” in jeans “, banditore di una tenerezza che però non tocca chi, come i Francescani dell’Immacolata, ha commesso il gravissimo reato di fedeltà alla tradizione secolare della Chiesa; e questo malgrado lo scudo garantito dal mai abrogato motu proprio di Benedetto XVI.
Insieme a Alessandro Gnocchi ha condotto una serrata critica agli aspetti più demagogici e dottrinalmente inquietanti del pontificato di Francesco, che formano argomento di un libro ormai imminente dal titolo, decisamente azzeccato, di Questo papa piace troppo, scritto insieme a Giuliano Ferrara e pubblicato da Piemme. Un dissenso, quello di Gnocchi e Palmaro, che era costato loro l’epurazione da Radio Maria per lesa maestà papolatrica, sorte toccata di recente a un altro illustre studioso cattolico, il prof. Roberto de Mattei.
C’è da dire comunque che tale contrasto non ha impedito un bel gesto da parte del papa, che a novembre, apprese le gravi condizioni di salute di Palmaro, gli fece una telefonata che arrecò senz’altro sollievo al suo cuore di cattolico e di persona sofferente; ma che giustamente non ha fermato una critica dettata del resto, come deve essere da parte un vero cattolico, non da astio o tanto meno rancore personale, ma dall’amore vero e autentico per la Chiesa e per il Pontefice.
E sicuramente è da rimpiangere e non poco, in una platea sempre più laida di pennivendoli e di osannatori a un tanto al chilo, la scomparsa di una voce libera, coraggiosa e generosa. Sicuramente Palmaro può affermare di aver combattuto la buona battaglia, uno degli ultimi Cavalieri in quest’epoca di sicari prezzolati. E come il Cacciaguida dantesco, ne riceverà la giusta ricompensa.
Ma quali sono le caratteristiche che deve avere un grande papa? Piacere alla gente, essere telegenico o essere piuttosto un saldo punto di riferimento, una certezza che non si incrina neppure nelle tempeste più terribili? Su questo, e non su altro si deve giudicare il primo anno di Francesco, il papa venuto d’oltreoceano dopo il trauma dell’abdicazione di Benedetto XVI.
Papa Ratzinger non aveva il dono di essere “mediatico”. Troppo signore e troppo gentiluomo in un mondo in cui il cialtronesco e il pecoreccio dettano legge; ma soprattutto, troppo coerente. Benedetto aveva una pretesa del tutto inaccettabile per la mentalità di oggi: voleva essere un papa cattolico. Inutile far notare che l’aggettivo dovrebbe esser superfluo: dovrebbe, per l’appunto. E soprattutto aveva, dono ancor più raro, il senso della dignità e della maestà della sua carica, che può, anzi deve benissimo coesistere con una profonda umiltà personale.
Il suo sorridente e “dimesso” successore invece è riuscito, nel giro di un anno, a diventare l’icona persino dei gay i cui movimenti più estremisti dileggiavano crudelmente il suo predecessore; e almeno per un certo periodo, pure dei salotti intellettuali radical chic, grazie al guru indiscusso Eugenio Scalfari. Ora, se tutta questa gente, spinta dalla personalità e dal carisma del pontefice argentino si fosse convertita in massa, ci sarebbe da gridare al miracolo e da proporre in effetti una beatificazione ancora in vita per Francesco, che avrebbe in tal caso superato il grande santo suo omonimo: si dice infatti che quest’ultimo parlasse agli animali, ma salvo qualche lupo occasionale non sembra avesse la capacità di convertirli!
Non si tratta certamente di discutere la buona fede del pontefice o le sue “buone intenzioni” (di cui, ammonisce un antico e saggio detto popolare, è lastricata la strada che porta all’inferno) ; anche perché quelle le conosce solo il Suo (e nostro) Principale. Ma comunque si vogliano giudicare certe uscite e certe mosse, quello che colpisce è l’assoluta mancanza di quella che una volta era considerata una virtù e non certo da poco: la prudenza. Sembra quasi che Francesco ami giocare sull’ambiguo, sul detto e non detto, sul filo dell’interpretazione: o che magari, chiarissimo in qualche affermazione dottrinale, si “lasci smentire” in qualche intervista o in qualche sede meno ortodossa ma sicuramente più “gettonata”. Senza contare poi che spesso certi cardinali che dovrebbero arrossire più per la vergogna che per la porpora pensano bene di far pendere la bilancia dalla parte sbagliata.
Un solo, unico esempio. Sicuramente quello del divorzio è un dramma che, spesso e volentieri, falcia numerose vittime innocenti. Sicuramente è una materia delicata in cui nessuno, dal punto di vista della vita personale di una famiglia che si rompa, ha il diritto di trinciare sentenze.
In materia di sacramenti però il discorso cambia. E’ stato Cristo stesso, in termini difficilmente equivocabili, a sancire l’indissolubilità del matrimonio. Un conto è dunque la comprensione, l’apertura, il tentativo di dare una collocazione nella chiesa ai divorziati risposati o comunque riaccompagnati: altro quello di ammetterli ai sacramenti. Farlo significa infatti un qualcosa che minerebbe l’edificio stesso su cui si basa la Chiesa: ammettere che ci sono passi del Vangelo che si possono prendere sottogamba. Dire, come fa il cardinale Kasper facendosi forte dell’atteggiamento del Papa, che il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati non è un dogma ma una regola disciplinare significa intendere che quanto Cristo ha dichiarato “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito” stava per caso scherzando?
E questo è solo un esempio fra molti, troppi. Ora, se c’è una cosa che nel Cristianesimo, e nel Cattolicesimo in particolare, è oggetto di odio furibondo è proprio l’aspetto “dogmatico”: un “tu devi” che però non ha radici nella coscienza umana, certo non infallibile neppure per il più incallito degli atei (purché moralmente e intellettualmente onesto) ma nella volontà di Qualcuno che è all’uomo è infinitamente superiore. Tutto questo ovviamente per il credente, in quanto chi non crede (e giustamente, dal suo punto di vista) si preoccupa dei dogmi della Chiesa quanto l’italiano medio del codice della strada, sempre che naturalmente non ci sia un vigile in circolazione. Ma in questo caso il vigile non c’è o meglio …. Ma lasciamo perdere.
Fuori dunque da metafore, automobilistiche o meno, quello che del cattolicesimo fa paura è forse proprio la sua “compattezza”; pur con tutti i difetti che le derivano dalla componente umana, la Chiesa ha per il fedele un formidabile collante che è, invece, la sua ratio divina, l’essere “corpo mistico di Cristo”. Ma se proprio il suo Vicario permette che la parola di Cristo venga relativizzata, ha ancora un senso essere Cristiani? Di questo passo, potremo dire di coloro che per mantenere la coerenza nella fede hanno piuttosto cercato il martirio sono stati in definitiva dei fessi. E a proposito di martiri: non si può certo dire che Francesco spenda molte parole, per chi ancora oggi, in troppe parti del mondo, sulla croce ci sale davvero e in modo troppo spesso spaventosamente atroce. In compenso, si ricorda di augurare buon ramadan …
Benedetto XVI aveva lucidamente intuito che il grande nemico del XXI secolo, potremmo dire il cavallo di battaglia di satana era il relativismo. Francesco sembra invece voler permettere che esso, al pari del famoso fumo del maligno, si insinui e si piazzi dentro le porte della Chiesa. Sarà un caso che persino la massoneria plauda al suo operato?
Per questo il primo anno di pontificato di Bergoglio non appare affatto una nuova alba della Chiesa, ma rischia per certi aspetti di preannunciarne il tramonto. E in chiusura è bene ricordare le parole, davvero profetiche, di un pontefice come Paolo VI, che certo non fu un papa “tradizionalista” e che per molti versi è responsabile del primo sbandamento della Chiesa nella rincorsa al mondo; a maggior ragione dunque il suo attuale successore dovrebbe meditare queste parole dell’enciclica Ecclesiam Suam, (1964) scritte in pieno infuriar di concilio Vaticano II:
«Il naturalismo minaccia di vanificare la concezione originale del cristianesimo; il relativismo, che tutto giustifica e tutto qualifica di pari valore, attenta al carattere assoluto dei principi cristiani; l'abitudine di togliere ogni sforzo, ogni incomodo dalla pratica consueta della vita accusa d'inutilità fastidiosa la disciplina e l'ascesi cristiana; anzi talvolta il desiderio apostolico d'avvicinare ambienti profani o di farsi accogliere dagli animi moderni, da quelli giovani specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme proprie della vita cristiana e a quello stile stesso di contegno, che deve dare a tale premura di accostamento e di influsso educativo il suo senso ed il suo vigore. Non è forse vero che spesso il giovane Clero, ovvero anche qualche zelante Religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile mimetismo all'efficacia genuina del suo apostolato? Il grande principio, enunciato da Cristo, si ripresenta nella sua attualità e nella sua difficoltà: essere nel mondo, ma non del mondo; e buon per noi se la sua altissima e opportunissima preghiera sarà da lui, sempre vivo per intercedere a nostro favore,(31) ancor oggi proferita davanti al Padre celeste: Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno [1]»
Chissà che in quel “giovane clero” di allora non ci fossero tanti anziani porporati (e non solo) di oggi ….
[1] S.S. PAOLO VI, Ecclesiam suam, 51, http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_06081964_ecclesiam_it.html. Il corsivo da “anzi talvolta … sino a Apostolato” è evidenziazione nostra.
Inserito da piccolo da Chioggia il 14/03/2014 14:01:15
pare lo dicesse Paracelso al tempo delle questioni spesso risolte a fil di spada fra cattolici e protestanti in Alemagna: fosse per me manderei tutti a scuola e loro e il Papa...
Inserito da stefano o il 14/03/2014 13:44:10
Sostanzialmente condivido l'articolo, anche se la mia è una posizione più "articolata". La Chiesa Cattolica (ammesso sia ancora "cattolica" dopo l'ultimo Concilio) è conservatrice dove dovrebbe essere riformista, ed è riformatrice in campo dottrinale, campo in cui tenta invano di inseguire il mondo, peraltro con scarsi risultati poiché le chiese si sono comunque svuotate... Quando parlavo di mancate riforme intendevo riferirmi a molti temi nei quali invece dovrebbe esserci autocritica, sto parlando del tema dell'omosessualità, che riguarda una percentuale altissima di consacrati. Sembra che nulla sia successo, non c'è stata la benché minima autocritica, lo stesso Bergoglio ha esordito con i soliti discorsi moralisti e buonisti da prete di campagna, senza un accenno alla diagante omosessualità tra i consacrati (e conseguenti danni a molti fanciulli), cosa che ha minato ormai la fiducia della gente, secondo me irreparabilmente. Da buon gesuita, in maniera subdola, si è barcamenato furbescamente senza affrontare il problema. Come dicevo, sul piano teologico sono in sintonia con l'articolista ma va ripensata la figura del sacerdote: non vorrei dare paradossalmente ragione ai protestanti ma la figura del "mediatore" tra Dio e i fedeli va certamente ripensata, ammesso che debba esistere, visto quello che succede...
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