Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
span style="font-size: 13px;">Certo… le ragioni. Non si può credere, ragionevolmente, che non esistano ragioni per questo caos. Immersi come siamo, probabilmente, nei prodromi della terza guerra mondiale, della cui realtà non ci siamo neanche accorti per le inaudite forme di scontro che la caratterizzano, superando i nostri precedenti schemi interpretativi, subiamo una progressione inarrestabile che ci devasta. Tutte le nostre capacità di decodifica devono sì far riferimento alla nostra formazione - è l’unica forma di ragionevolezza di cui possiamo servirci - ma sono continuamente messe in crisi dall’affastellarsi dei dati contradditori elevato a potenza dalla globalizzazione informativa implicata in quella politico/geostrategica.
A complicare ulteriormente il nostro sforzo di comprensione vi sono le derive specifiche che operano in ogni scenario regionale ove i dati della differenza storica e culturale sono talmente dissonanti da mettere in crisi gli schemi di lettura unificanti, almeno al primo impatto mediatico e psicosociale.
Prendiamo l’esempio della crisi ucraina. Esso può inglobare in sé molte delle costanti e delle varianti di cui sopra. Si riconoscono certamente le costanti insopportabili di una pressione eversiva eterodiretta, ma anche le varianti ineliminabili di una storia specifica che rendono precario un posizionamento equilibrato di giudizio dall’esterno di quella medesima dinamica storica. Il che non significa, ovviamente, che non si decida, alla fine, da quale parte porsi…
La stessa cosa però può valere per l’Italia. Fino a che punto la nostra nazione è capace di riconoscersi in una storia globalizzata, (europea, occidentale, mediterranea, con le loro reciprocità, esclusioni e “correlativi oggettivi”) al di là della stessa sofferenza, concorde e discorde, generata dal contesto sempre integrato nell’ultimo secolo?
Se dovessimo occuparci (come è giusto che noi si faccia, lasciando ad altri, ben più idonei di noi, occuparsi dei quadri analitici) dell’immaginario collettivo che (qui, da noi) presiede a tutto ed a tutti, dovremmo dire che l’icona del caos è sicuramente quella che significa a tutti i livelli. “…non dice, non occulta, ma dà segno…” Ora, in questa icona, si trovano innumerevoli ragioni che hanno fatto, in passato, anche la nostra grandezza… La singolarità moltiplicata, il far parte per sé, il campanilismo a volte solare a volte notturno, la faziosità penetrante ed annebbiante, la rabbia smodata della satira e l’interessata iraconda pura coscienza e netta, l’ammiccante dandysmo di molti e la reale flânerie di pochi, la ricchezza insondabile del nostro secolare individualismo e la - altrettanto millenaria - povertà del nostro motore immobile comunitario, gli anarchismi diffusi e beffardi ma quasi mai assurti a livelli filosofici autentici, l’affidarsi totale al leaderismo carismatico come l’altrettanto complessiva totalizzante demonizzazione, la stanchezza decrepita del modello classicista buono per ogni stagione e regime e la velleità disperata ed alcune volte meravigliosa dell’avanguardismo anch’esso declinabile secondo una deriva eminentemente autoctona, eppure così capaci - ambedue - di continua, ripetuta ed incredibile fascinazione universale… ebbene tutto questo è nel nostro impasto, nel nostro pentolone rimescolabile, nel nostro piatto made in Italy…
L’icona del caos, ovviamente, contiene al suo interno una serie di uova cosmiche, uova del drago… c’è l’incazzatura più o meno nordista, la rassegnazione più o meno centrale e il disincanto più o meno meridionale, e tutto il degrado, la stanchezza e la disperazione… sgangherate, ma anche l’orgoglio insopprimibile, la revenche ripullulante, il nuovo speranzoso microcomunitarismo ed i quasi patetici e disseminati volontarismi e l'immancabile sano desiderio di ricostruzione, tutti comprensibilmente autentici e tutti legittimamente praticabili ma tutti idonei a rimettere in circolo sia l’inferno che il paradiso...
A chi, come noi, da tempo, ha fatto una scelta sobria ma decisa in favore d’una assunzione di responsabilità di nuove sintesi, realmente al di là delle formule stantie e delle frasi fatte, compete a vari livelli e tramite le nostre, sia pur limitate, individualità - al di là della convinta fiducia nella buona scelta - di procedere sapendo che non potremo esorcizzare ogni spaurente fantasma o reale ostacolo solo con un movimento di pensiero, quale il nostro è, né però sperare che da altri ci venga la soluzione salvifica… Al di là, quindi, di geremiadi insopportabili, di progettualità edificanti e di proclami velleitari, sappiamo che, per quanto ci riguarda come italiani, dobbiamo comunque continuare a lavorare per il più ampio consenso verso la massima possibile sovranità e giustizia sociale, sapendo che con esse, indipendenza autentica e socialità partecipativa, potremo uscire dall’abbraccio del caos…
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