Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Che fine ha fatto lo spread ? da protagonista di tutti i frontespizi delle testate giornalistiche a grande assente anche dei trafiletti.
Sicuramente il fatto che la sua “notorietà” sia calata è un buon segno.. Ma è doveroso sincerarsi di quell’indicatore dal nome che tanto ricorda una brutta malattia e che per molti mesi ha tenuto milioni di persone e conti correnti in apnea…
Il 13 Novembre 2006;quando Presidente del consiglio era Romano Prodi; lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi era a 24 punti; sembra di parlare di prestoria in realtà bastano 8 dita per contare gli anni passati da quella data. L’indicatore che illustra il rischio-paese nel mercato dei titoli di Stato toccò il suo massimo il 9 Novembre 2011 toccando quota 574 (contestato dall’ Onorevole Renato Brunetta che lo definì un errore: infatti picco di 574 è stato raggiunto a metà mattinata, mentre la chiusura dello spread, in quell’ormai famoso 9 e’ stato a 553 punti base).
Che cosa è successo da allora ?
L’intento non è trovare un capro espiatorio ma ripercorrere il cammino dello spread fino ad oggi. Infatti il primo intento non avrebbe molto senso dato che abbiamo così a che fare con un fenomeno storico, ovvero la situazione attuale non è attribuibile – se non in minima parte – a un bravo o cattivo presidente del consiglio dei ministri. Il protagonista è il “Processo” e non l’“Eroe”.[1]
2006: la differenza di rendimento tra i titoli a lungo termine italiani (Btp), tedeschi (Bund) e spagnoli (Bonos) era praticamente nulla, e i loro rendimenti allineati intorno al 4 per cento. Meno affidabili dei nostri risultavano i titoli britannici (spread a 82) e statunitensi (87).
2007: lo spred italiano è cresciuto ma di poco: 28 punti
2008: Inizia a la crisi finanziaria e l’indicatore è più che triplicato: 92 punti, con un rendimento dei titoli pari al 4,59 per cento. Gli interventi della Bce e i tagli dei tassi contengono la situazione, ma per poco.
2010: La bomba del debito scoppia; la crisi è globale, ma in Germania i rendimenti dei Bund scendono, con grande beneficio delle casse pubblico. In Italia lo spread si aggira intorno a quota 160. Certo meglio della Grecia, che con un record di 908 punti si colloca in zona default, così come l’Irlanda, che sull’orlo del fallimento tocca quota 560, proprio come il nostro paese in questi giorni.
Il resto è storia recente, con lo spread italiano che abbatte via via quota 300, 400, 500. I titoli tedeschi hanno dimezzato il loro rendimento (siamo all’1,81%) e questo ha amplificato lo spread di tutti i paesi colpiti dalla crisi del debito sovrano. La Grecia vende i suoi titoli a 10 anni a un tasso del 32,81% (con uno spread di 3100 punti), il Portogallo viaggia all’11,83%, l’Irlanda all’8,33% e la Spagna viaggia al 5,70% di rendimento. Quanto all’Italia, superata quota 7% è molto più avanti di quanto fossero un anno fa Irlanda e Portogallo, che nel frattempo hanno dovuto chiedere l’aiuto della comunità internazionale.[2]
Attualmente, negli ultimi rilevamenti, il differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali italiani con gli omologhi tedeschi si è portato ai livelli pre-crisi ,sotto i 180 punti base, con il tasso sul titolo decennale sceso al 3,37%.
Secondo gli analisti, a spingere al ribasso lo spread hanno contribuito diversi fattori: il dato sull'andamento del comparto manifatturiero e i servizi dell’Eurozona a febbraio (salito oltre le attese a 53,3 punti), che segnala l’incremento di velocità della ripresa nell’area euro, ma anche la fuga di capitali che da inizio anno ha interessato i paesi emergenti, innescata dal ridimensionamento degli stimoli monetari a sostegno dell’economia americana da parte della Fed, la banca centrale USA, e dal rallentamento dell’economia cinese.[3]
I mercati stanno dando fiducia al nostro paese sul lungo periodo, visto che a un rendimento più basso corrisponde un minor rischio emittente?
Se i tassi restano su questi livelli anche nei prossimi dieci mesi, permettendo così al nostro paese di risparmiare ben 15 miliardi di euro degli 80 – 90 miliardi che paga ogni anno in interessi sul debito si potrebbe pensare di aver riconquistato la fiducia dei mercati nonostante la classificazione come emittente di qualità medio - bassa per S&P (il rating è BBB).
Questa condizione ha fatto di che da fine 2011 gravasse su ogni italiano un a tassa di oltre 1300 euro
Non più tardi di mercoledì il ”gruppo” di tecnici guidati da Rehn ha inviato un chiaro messaggio al nostro Paese; rimasto immobile nell’ultimo anno, il debito pubblico non ha avuto le auspicate riduzioni (anzi l’ultimo Bollettino statistico sulla Finanza pubblica della Banca d’Italia attesta a Gennaio un debito di 2.089,5 miliardi di euro, in crescita di 20,5 miliardi rispetto al precedente rilevamento a fine 2013. L’incremento è dovuto essenzialmente all’aumento (20,3 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro) e la sua sostenibilità in un contesto di bassa crescita e alta disoccupazione potrebbe rilanciare le tensioni sui mercati.
A riguardo, prima il ministero del Tesoro, poi Renzi hanno notato che il bollettino è un pubblicazione “programmata da tempo” quindi non sarebbe da intendere come una risposta diretta alle proposte dell’esecutivo. Se non altro la tassazione montiana ha ceduto il passo a seri intenti di crescita e rilancio del Paese.. ma le parole e intenti dovranno necessariamente trasformarsi in fatti, leggi e soprattutto i “meno” dovranno lanciare il posto ai “più” e i numeri dovranno risultare più interessanti agli occhi famelici dell’ Ue. Visuri sumus!
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