Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In quel di Verona ad esempio, una traversa di via Francesco Emilei, il valoroso delle Pasque Veronesi, alberga una piccola chiesa, San Salvator Vecchio, ora adibita al culto della cristiana ortodossìa pravoslava. Pare una buona scelta come luogo, dato che corre notizia che al tempo della cavalcata di Suvarov attraverso la nostra soleggiata penisola, il condottiero russo avesse soggiornato in Verona proprio in un palazzo della via Emilei. Era, credo, il 1799. Che questa sosta fosse stata prima o dopo aver abbattuto gli alberi della libertà sul cammino verso l’utopica Repubblica Partenopea che pure verrà affogata? Sono, pagine molto interessanti della nostra storia le quali si imparano assai sommariamente e spesso distorte nella scuola. Lascio al lettore il compito di consultare la nostra monumentale Treccani e stabilire l’esatta cronologia e gli itinerari dell’esercito russo al comando del suo anziano eroe. Qui si voleva piuttosto attrarre l’attenzione di quei lettori di Totalità i quali abbiano a cuore la bellezza dell’architettura intrecciatasi colla storia. Ciò pure se l’idea che espongo resta circoscritta alla laguna veneta. Tanto nel Veneziano che nel Padovano sono ormai molti i cittadini russi che vi si sono stabiliti e altresì nutrite sono le esportazioni di manifatture industriali, di alimentari e vini, che hanno luogo dalle migliori industrie locali verso le regioni, le “oblast”, dell’immensa patria del generoso Suvarov. Perché non costruire allora in qualcuna delle nostre città, ad augurio di sempre più intensi contatti, soprattutto culturali, con questo attraente mondo boreale e orientale, una graziosa chiesetta russa colle cupole a fiamma colorate o in oro? Chiesette russe sono state erette fin dal tramonto dell’800 lungo la nostra penisola. Quella di Sanremo campeggia orgogliosa quale opera di un bravo architetto del tempo zarista che mise tutta la sua inventiva per decorare la città dei fiori con un gioiello d’arte. A Merano una chiesa fra degli alberi leva verso le cime delle Alpi circostanti una sola cupola a fiamma: è il caratteristico globo che da lontano contraddistingue senza possibilità ambigue la specificità architettonica delle chiese russe. Visitando questo bel tempio, un animo che anche senza traboccare di esoteriche sensibilità abbia in sé il senso del vivere storico, potrà, se non risentire, almeno immaginare di sentire il rintocco dei passi lievi della figlia del grande Dostojewskij, devotissima, affettuosa biografa del genio che fu suo padre e che, ora, non lontano da questa quieta città alpina dove aveva abitato degli anni, in Bolzano dorme il suo sonno perenne. La chiesa russa di Firenze è bellissima con le sue cinque canoniche cupole colorate che svettano nel cielo, immersa in un giardino delimitato da aristocratiche cancellate e ombreggiato da alti alberi. In un tutto perfettamente in stile con la grazia della città di Dante…
È uno strano fatto che questo popolo che pure ha avuto un impero immenso e i cui eserciti, in Europa occidentale, son arrivati fin sulla Senna, al Danubio ed alla Sprea, ma pure sull’Adige, al Volturno, e in Valtellina, tenda a non lasciare dietro di sé troppa traccia monumentale. Caserme, palazzi obelischi cedono piuttosto all’architettura devota e sono in pratica solo le chiese russe, spesso gioielli di piccole dimensioni, che ci ricordano di questi abitanti del Nord e dell’Oriente. A Stoccarda una bella e armonica chiesa russa ad una sola cupola se ne sta in una periferia e come una piccola isola di paradiso deserto naufraga affogando nel mare degli alti abominevoli condomini, dalle foto si direbbero delle gabbie di cemento, partoriti da una crassa sociologia architettonica, molto borghese e contigua al capitale. Condomini che peraltro vengono bravamente imitati dalla sociologia proletaria nelle disanimate interminabili periferie delle città dello ex blocco orientale. Non è sempre comunque così grigia l’esperienza, in Wiesbaden troneggia una bella e ornatissima, allampanata griechische Kirche, che in realtà è una chiesa russa, solo che il popolo vedendo la giostra delle quattro cupole attorno la cupola maggiore le associa alle ben note chiese elleniche. Nella severa Potsdam un gioiello in rosso con le cinque cupole in livrea verde in ragione della loro copertura metallica ci avverte che la comunità russa della città ha fatto propria la sobrietà prussiana in fatto di ornamenti. Altrove, in un parco tedesco, ci si può imbattere in un minuscolo gioiello dalla cupola d’oro.
Perché allora non ricordare anche ad un Veneto che si è allontanato da tempo dalla grazia e dalla bellezza che gli erano connaturati che dal mondo russo non abbiamo solo a sperare i soliti bilanci favorevoli di import-export ma abbiamo pure forme nuove e a noi coniugabili di una perenne bellezza? Perché non costituire un comitato per erigere una tipica chiesetta russa colle cupole d’oro o colorate ed eventualmente adagiata in un’isola della laguna o in una città prossima come Mestre, Padova, Chioggia? Non è necessario chiamare a consulto chissà quale architetto di gran fama. Alcune delle più belle chiesette russe sono opera di maestri anonimi e hanno dimensioni che sembrano quelle d’un teatro per le bambole. Basta semplicemente rilevarne le linee principali, trasporle e adattarle ai nostri materiali. Ci sono, e si possono vedere sull’Internet, i disegni dell’illustratore fantastico Ivan Bilibin e i quadri siderali di Nikolaj Roerich. Entrambi e da vocazioni differenti concorsero in fine 800 e poi nel nuovo secolo a ritrarre per tramandare alla posterità, presentendo forse una feroce tempesta in arrivo, il patrimonio architettonico russo, incluso di quello rurale: isbe, chiese, cremlini (ovvero fortezze) di campagna.
Impedimenti di ordine economico non ce ne dovrebbero essere poi troppi. Qua e là per le città venete gigantesche berline tedesche fanno capolino mostrando una curiosa targa con caratteri cirillici e ornata dal tricolore bianco-blu-rosso. E identiche berline abbondano anche con la targa italiana. Che i favoriti dall’import-export colla Russia non abbiano di che aiutare questo auspicabile comitato? Si stenta a crederlo. La verità pare essere sotto gli occhi. Meno che mai dovrebbero accamparsi impedimenti d’ordine estetico. Le città che sopportano sulle loro deboli spalle certe costruzioni davvero miserabili delle periferie o certe opere d’insulsa arte momentanea spacciate per nuove forme della bellezza non costringeranno troppo il loro augusto spazio per fare posto ad una chiesetta dalla cupola a fiamma. Dove immaginare questo piccolo tempio? Lo si può vedere su di una riva di canale o soletto e nascosto in un’isola della laguna. Una chiesina immersa in un piccolo giardino delimitato da un semplice muro aperto da cancelli ad arco nella classica tradizione delle ville venete. Con arbusti di rose o alberi di mele tutt’intorno al piccolo fabbricato devoto. Eventualmente rose originate dal parco della villa di un Tolstoj o dalle case di Dostojewskij o di Cechov o di Bulgakov. Non costa nulla immaginare intrecci poetici di trame spirituali e idearne la loro trasposizione in una realtà che si faccia densa di suggestioni. Ecco una vera occasione per sigillare un nobile contatto fra due mondi così distanti.
Allego a queste linee uno scarabocchio. Anche l’idea di una architettura in legno può essere presa in considerazione per le nostre città qualora le autorità municipali o le belle arti accampassero più ostacoli del solito alla proposta d’una chiesina con cupola a fiamma. Il legno, materiale transeunte ma vivo, dà subito l’impressione di un qualcosa di non permanente nel tempo. I cultori dell’architettura scandinava, dalla quale sono mutuate anche queste chiese russe in legno (l’epopea dei Rus’), sanno per contro che alcuni manufatti oggi gloriosamente conservati, datano del XIII secolo. Ma basterà non sottolineare troppo questa circostanza all’atto di presentarne il progetto. Queste piccole chiese russe si innestano nel paesaggio più che bene pure se nella sola compagnia di alberi piante e semplice erba. Come è per le nostre pievi romaniche, disperse e occulte nelle campagne.
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