Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Figurano su tutti i libri intorno alla pittura del secolo passato o in quelli di storia dell'arte i quadri suprematisti di Kazimir Malevič, quando lo scorrere delle pagine arriva ai fulminanti colori dell'Avanguardia russa della fine dell'Ottocento e dell'avvio del nuovo secolo. Ma fino a che tali quadri restano nascosti nelle pagine, e queste vengono di rado sfogliate, come una volta era in uso per i fiori o i quadrifogli custoditi per anni nei volumi in attesa di essere ritrovati con i ricordi ad essi legati, possiamo dire che tale sorte è benevola per le opere del maestro russo.
È quando su di esse la critica avvia le sue esercitazioni di retorica che quasi viene da dolersi del fatto che questi quadri dai colori vivissimi, a volte ingenui, mai puerili e a volte molto belli, siano stati sottratti all'occultamento nelle cantine dei severi musei sovietici, dove stavano in attesa di riapparire in un tempo nel quale si fossero esaurite le utopie di ogni classe, e siano caduti sotto l'attenzione dei critici coronati o di professori di storia dell’arte. Intenti tutti ad esercitare su queste opere suprematiste gli arzigogoli dell’interpretazione.
Sarebbe meglio quasi che a questi si sostituissero quei bravi copisti che nel tardo ottocento nei musei pazientemente eseguivano delle copie ad olio dei capolavori o li trasponevano in disegni da divulgare tramite litografie o incisioni e a loro si lasciasse di esprimere cosa essi hanno intravisto dell’opera dal “di dentro” dell’arte. Non fosse quest’arte che quella modesta ma utile della copia.
Vi è dunque da sperare nel momento in cui questi critici o professori non trovino più alcun motivo di rivolgere il loro interesse o la loro fantasia alla pittura vigorosa e isolata del Russo. E' così che, infine, terminerà anche la sommaria denominazione del più famoso ed enigmatico dei quadri suprematisti, il quadro con il quadrato nero, con la formula opaca e astrusa di “icona della modernità” che pare ispirata da un giornalismo letterario alquanto povero di idee e irriverente tanto per l'antica icona della cristiana ortodossia quanto per il quadro di Malevič.
La modernità ha infatti altri segni da avocare a sé e il quadrato nero più che al suo tempo è rivolto plausibilmente ad un senso che va oltre il tempo come per ogni vera opera d'arte. Né moderna né tradizionale, quest'opera di Malevič con le sue derivate, il quadro con il quadrato rosso e quello con il quadrato bianco si dovrebbero riportare sotto la luce di una filosofia estetica che appaia più prossima allo spirito suprematista del maestro russo. Ma ciò non è così semplice. La formula lirica “il quadrato è un vivo infante reale” è suggestiva ma enigmatica e la visione interminata e condensata in un “l’infinito bianco suprematista permette al raggio della vista di procedere senza incontrare un limite” che vela e disvela il campo bianco dei quadri suprematisti arrestano ogni arzigogolo di parole.
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