Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Letatlin è una macchina costruita per volare che non ha mai volato
Abbiamo visto in alcuni scritti che le costruzioni di carta entrano due volte, e con onore, nella storia della cultura russa. Una volta in grazia del costruttivista rivoluzionario Rodchenko, e un’altra in grazia del reazionario Dostoevskij. In fondo è anche così che agisce nella trama degli avvenimenti russi la latente vocazione imperiale. Con guizzo fanciullesco entrano i gloriosi samozveridi Alexander Rodchenko, gli autoanimali della favola incompiuta che doveva essere illustrata da una teoria di fotografie in bianco e nero: dell’elefante, del gatto che inarca la schiena per allontanare l’importuno, del cavallo stilizzato con criniera al vento, della giraffa. Questi, con i pupazzetti protagonisti della favola e colle relative architetture di contorno, erano stati costruiti in carta da Rodchenko stesso il quale era, in ogni caso, molto a suo agio col versatile e delicato materiale. A corollario sono pure da rammentare il paio di strambe gru in cartoncino bianco esposte in quel di Mosca nel lontano 1923 e che mai divennero quello che forse potevano essere: una specie di monumento all’avanguardia futurista e costruttivista. In buona compagnia delle altre costruzioni spaziali del Russo, molte delle quali erano, per fortuna, di legno, una di esse, la più bella, campeggiava ancora alla fine degli anni trenta in casa del suo costruttore e pare sia finita con le altre nel fuoco della stufa durante un freddo inverno di guerra nel quale la temperatura della città stazionava a venti gradi sotto il punto di gelo.
Nel paziente e dolente Andrej von Lembke il genio del Dostoevskij ritrae un bonario funzionario imperiale di origine tedesca alle prese con una moglie intrigante e incapace che si diletta con i fantasmi della rivoluzione nichilista. Per ricrearsi dalle fatiche familiari e politiche che mettono a dura prova il suo equilibrio mentale, fatalmente avviato al collasso, von Lembke per passatempo s’immerge nella costruzione di modelli in carta meticolosamente esatti: la stazione con il treno in arrivo, un teatro con l’orchestra munita di organo, questo fatto arrivare come cartamodello dalla Svizzera, la chiesina luterana con i fedeli. Piccoli mondi ideali, graziosi scenari di carta colorata dove, almeno lì, tutto proceda per il meglio, come insegna che avviene pel nostro mondo il Leibnitz, e per i quali non si dia l’ironia del Candido di Voltaire e impallidisca la filosofia della volontà cosmica di Schopenhauer. Può essere inverosimile ma quasi mi pare che fra lo scenario colorato ottocentesco di von Lembke e lo stilizzato panorama futurista dei samozveri vi sia un filo diretto che li connette, una similarità d‘intenzione che li unisce pure così differenti e lontani fra loro nel tempo se non nello spazio.
E forse quest’intenzione inalbera sulla sua bandiera come motto la massima finale di Panglosso, che nella laconica brevità de “il faut cultiver son propre jardin” sottintende un insegnamento ironico e rivolto a chi sappia leggere pure la pagina in ombra di tutte le filosofie che si spacciano per foriere di magnifiche sorti e progressive. Ma questa è una deriva che ci naviga su acque troppo profonde e vale di tornare alla costruzione in carta quale “Ding an sich” ovvero “cosa in sé”.
Non si trovano ancora i dati sulla diffusione in Russia dei cartavelieri e, più in qua nel tempo, sugli aerini di carta. Sottolineo questo perché cartavelieri e aerini completerebbero in un trionfo quanto avviato dagli scenari di carta colorata di von Lembke e continuato nella favola dei samozveri, animandone per naturale complemento anche l’elemento fluido del moto: le acque e l’aria. Una brevissima storia dell’aerino di carta si rende qui necessaria per introdurre allora una delle due tessere mancanti del piccolo mondo ideale che, se indagato attentamente, può originare delle riflessioni. Ogni cosa ha in sé e in ogni tempo il suo contrario e perciò anche la più elementare delle architetture e la più effimera, appunto quella della carta, può generare i più profondi riferimenti filosofici.
È intorno al 1865 in Francia che la legione degli aeronauti si scinde in due partiti, coloro che immaginano il cielo futuro popolato da aerostati sempre più evoluti e gli arditi sostenitori della teoria del “più pesante dell’aria”. Questi ultimi prendono il volo degli uccelli a supremo esempio e lo imitano col costruire modelli alati in legno con l’elica azionata dall’elastico come Alphonse Pénaud, o con modelli plananti di carta, dei “papillons”, come quelli inventati dal pittore Pline. Gli aerini di quest’ultimo, ritagliati dai fogli da disegno, flessi, incollati e bilanciati da ago con sferetta di cera sono stati fotografati dal medico Etienne Jules Marey, passato alla storia come un precursore del cinema, che dedica loro un qualche paragrafo del suo libro “Le vol des oiseaux” del 1889. L’aerino di carta avvia dunque la sua storia con un lieve anticipo rispetto a quella del vero aeroplano, che ancora attende di spiccare il volo, e diviene in breve il passaggio obbligato d’una coraggiosa falange di pionieri che cercano alfine di sollevarsi dal suolo e dirigersi nella rotta voluta come rondini e non vogliono restare sospesi alle gondole di aerostati che ballonzolano nell’aria cullati dal vento. Il pittore Böcklin, Otto Lilienthal, Louis Mouillard costruiscono aerini di carta e sul loro esempio lo fanno anche i loro allievi che potranno vedere la loro fatica coronata dalla vittoria del “più pesante dell’aria”.
Il primo estensore di un trattato completo di aerodinamica, l’inglese F.W.Lanchester, nel secondo dei due monumentali volumi dell’opera, apparsa nel 1912 e irta di formule ed equazioni differenziali, dedica un capitolo con tanto di disegni, istruzioni per la costruzione e trucchi per il volo degli aerini di carta. Dei quali qui arrestiamo la brevissima storia che altrove è già divenuta un lungo manoscritto con illustrazioni tratte da libri e riviste di quel tempo di eroici pionieri.
Resta purtroppo assente la connessione russa all’aerino di carta. Lacuna che cerco di colmare con le pochissime notizie che ho potuto rintracciare. Si tratta di una triste lacuna perché l’aeronautica russa è una delle prime nate nel tempo, questo esattamente quando il matematico Joukowskji, messosi in contatto epistolare con Otto Lilienthal, aveva acquistato da questi uno dei suoi libratori, l’anno è il 1894 o il 1895, per i suoi esperimenti di volo. La preziosa macchina, un reticolo di canne di bambù dalla sagoma d’un pipistrello, è tuttora conservata nel museo aeronautico di Mosca. È per noi naturale essere quasi certi che Joukowskji, lettore attento del libro capitale e degli scritti di Lilienthal, e di tutta la stampa aeronautica europea di allora, abbia prestato attenzione pure alle poche pagine di “Über die Ermittlung der besten Flügelformen”, del 1895, dove è fondato ed esplicato il modo completo di costruire ed esperimentare un aeroplanino di carta.
Un soggiorno alla biblioteca dell’Istituto aerotecnico Joukowskji in Mosca dove sfogliare rapidamente tutta la stampa aeronautica russa dal 1890 al 1920 e, includendovi le riviste divulgative come quella titolata “Samolet”, “aeroplano”, e i giornaletti di modellismo, questi dalla nascita fino al 1939, potrebbe colmare la triste lacuna, ma se non è possibile effettuarla senza restare in loco alcune settimane, appare assai dubbio che vi sia un’Istituzione o un’Università che voglia sostenere questa gradevole ricerca con una borsa di studio fosse pure minima. Qui io posso allora solo percorrere un sentiero inverso che passa per le lande germaniche. Da un esteso articolo in tedesco sulla rivista “Luftwelt” del 1930, traggo infatti la notizia che nella tramontata Russia zarista tre pionieri nel nord, due russi e un finlandese, questo divenuto poi un vero costruttore aeronautico, esperimentarono aerini che, date le aperture alari di venti centimetri, si deve supporre fossero sicuramente in carta e per i quali l’articolo allega un disegno che si può studiare se si è muniti di lente d’ingrandimento. Dato che si tratta d’uno schizzo che è la miniatura del già minimo velivolo.
Che il disegno allegato, che per fortuna è preciso quanto basta, raffiguri uno dei grossi modelli provati dai tre pionieri oppure l’aerino di carta da due decimetri che li ha preceduti poco importa. Stante il metodo di Lilienthal sappiamo che il modello che volerà sulla fredda e tranquilla baia baltica o del Mar Bianco ha volato prima in copia ridotta ma aerodinamicamente esatta come aerino di carta nell’officina dell’inventore. La tecnica per costruirlo la si ha, esplicata con precisione, dal libro del Lanchester ed è in quel tempo universale e permette in un quarto d’ora di ricostruire il modello di Boris Adaridi, questo il nome del Finlandese. Dei suoi sodali l’articolo tedesco dà il semplice nome ma non attribuisce loro alcuna particolare invenzione mentre concede spazio e disegno agli aerei dell’ingegnere Boris Tscheranowskji, quest’ultimo avviato ad una fama ancora oggi viva per i suoi alianti a tutt’ala in forma di parabola o con ala a delta. Un aeroplanino di carta copia perfetta o quasi della “parabola Tscheranowskji” è rintracciabile da tempo in un libro italiano, non molto diffuso ma ancora valido, e sorprende chi lo costruisca per il suo volo elegante e perfetto da vero aliante in miniatura. Possiamo tornare ora al costruttivismo e al futurismo con quanto segue.
Dopo una quieta e lunga attesa, visto che il tema per chi riceve una simile richiesta di documenti a fatica appare comprensibile e di certo non si tramuta in una priorità da svolgere, ero riuscito ad avere delle copie di alcuni schizzi originali di mano di Vladimir Tatlin che rappresentavano le viste complessive del suo celebre Letatlin, un ortottero aliante di linee bellissime. Era stato esposto in quel di Mosca nel 1932. Le preziose copie erano arrivate per valigia diplomatica. È semplicemente impossibile senza un poderoso aiuto economico e un supporto tecnico di musei e università, ricostruire la lieve, candida macchina che avrebbe dovuto utopicamente volare colle ali mosse dal vigore muscolare del pilota. Recupero e compimento russo dell’ellenico sonno di Icaro. È stato possibile tuttavia ricostruirla come aerino di carta e, con un po’ di difficoltà e buona esperienza di aerodinamica, si è compiuta l’impresa cadetta, ma a suo modo altrettanto suggestiva, di farla planare in una grande stanza luminosa con gli stessi eleganti lenti sicuri volteggi dell’ aliante che si libra in aria dal culmine di una collina.
Poscritto
Il Letatlin non ha mai volato. Né avrebbe potuto mai farlo. Era troppo fragile nella struttura e al contempo non aveva la raffinata aerodinamica e le generose dimensioni della velatura che sole possono permettere ad un velivolo di levarsi in volo colla sola forza muscolare del pilota. L’inventore dei controrilievi e pittore scenografo brillantissimo si era dunque cimentato in un’impresa impossibile e riuscita solo vari decenni dopo con l’uso di tecniche e materiali ben diversi dal legno e dalla tela dell’epoca d’oro degli alianti. È da rammaricarsi che Vladimir Tatlin, già esperto marinaio affascinato dal volo diuturno dei gabbiani che seguono ad ali immobili le navi, non abbia intravisto, dopo il primo tentativo di volo ad ali battute con conseguente rottura di un’ala, che la sua bella macchina avrebbe potuto funzionare egregiamente come semplice libratore. Era certo questo un ridurre a compiti più modesti la sua invenzione ma al contempo avrebbe regalato all’avanguardia russa il primato ancora non assegnato di aver trasformato un oggetto costruttivista in una macchina volante o questa in un oggetto costruttivista. Che oggi viene rammentato, ma a me pare con argomenti piuttosto a sproposito perché nebulosamente estetici, in tutti i trattati sull’arte futurista. Se avesse sperimentato con gli aerini di carta come aveva fatto a suo tempo Lilienthal non si sarebbe scoraggiato dell’insuccesso obbligato dell’ortottero ma ne avrebbe bloccate le ali eliminando i complessi cinematismi di alzata e battuta trasformandolo senza troppa fatica in un libratore planante.
Poscritto secondo
Nell’esposizione moscovita del 1932 i tre Letatlin campeggiavano appesi a fili in una sala popolata da sculture di leoni ed eroi ellenici. Le fotografie sono davvero suggestive. Anche per il rinvio non esplicito ma allusivo alla favola di Icaro. Quanto al fatto che le copie dei disegni siano arrivate per valigia diplomatica è vero. Ma i bravi funzionari che le hanno inviate immaginavano che esse sarebbero state d’uso per uno storico dell’arte. Non era certo il caso di precisare che di fumisterie estetiche sulla macchina ne erano state scritte da tempo e io cercavo solo di ricostruire un bel Letatlin di carta da far graziosamente planare entro le mura della stamberga ogni tanto. Per puro diletto.
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