Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Leggo in uno scritto su Totalità una cronaca fiorentina nella quale si descrivono nuove misure di protezione comunale per i cavalli dei fiaccherai che trainano affaticati le carrozzelle. Ciò è bene per i bravi quadrupedi, ma pure mi adombro un poco: Totalità aveva già riportato in un titolo (entro timide parentesi…) il termine isvoscia e ora lo abbandona per il consueto carrozzella? Ma la gran villa dantesca non è una città consueta come la piana parola che evoca le quattro ruote a raggi lunghissimi e corona metallica scricchiolanti sul selciato.
Dopo che i due Pavolini, Paolo Emilio e Alessandro hanno lasciato memoria di sé, un neologismo in loro omaggio potrà bene trovare luogo nel nostro tesoro linguistico: il padre traduce il Kalevala e poi episodi del Mahabharata e poi la favola buddista del Suttanipada, il figlio scrive Scomparsa d’Angela e Giro d’Italia e belle poesie e noi di Totalità obliamo l’isvoscia ora traballante per le antiche vie fiorentine? Non si dà.
La parola che evoca intabarrate dame nella rivoluzionaria e confusionaria Pietroburgo s’innesta benissimo anche a raccontare delle stesse dame ora anziane rinsavite e inconsolabilmente esuli sotto il Cupolone, dopo che l’Utopia di magnifiche sorti e progressive rivelava la sua crocifissione alla nuda realtà. Le immaginiamo in qualche novella fiorentina, pentite in preghiera alla chiesa russa e poi a passeggio, di nuovo pettegole e vanitose come ai bei tempi, lungo qualche viale alberato della rimembranza.
Ma si innesta ancor meglio a descrivere nostre passeggiate di fantasia sulle quiete vie in salita verso le Cure tra i filari delle case discrete e materne. Con le persiane verdi aperte per far catturare ai soggiorni la luce pomeridiana, gli archetti degli ingressi in pietra grigia, i roseti non ancora fioriti nei giardinetti antistanti.
Antiche vie fiorentine
E nel silenzio solo il rintocco degli zoccoli gommati del cavallino e il cigolìo meccanico delle sospensioni dell’isvoscia che smorzano leggermente il canto degli uccelli d’aprile. Seduti su di essa ci si può immaginare noi stessi intenti a mirare i raggi del tramonto che ravvivano il verde della collina soprastante e poi dar qualche occhiata a quell’alto cielo: fiorentino e spirituale. Qualche scossone dell’isvoscia ci impedirà di affondare troppo in quest’abisso di bellezza. È un’ubriacatura dalla quale a malapena si rinsavisce. È per questo che molti ripiegarono su vini e fumi. Sono più facili da smaltire.
Di Alessandro Pavolini si sono ristampati Scomparsa d’Angela e Nuovo Baltico. Per compiere un’opera che vada a profitto della nostra buona letteratura e sia anche di sprone a chi scrive e vuole perfezionare lo stile manca all’appello un’edizione nuova delle sue poesie, posto che una antica già esista nelle biblioteche o in archivi. Trascrivo il frammento di una sua poesia, tal quale lo si legge sulle pagine ausiliarie di Nuovo Baltico scritte dalla figlia Mia:
anche le notti a chi sogna son belle,
da chiusi libri in stanze sconosciute,
escono fate…
questo armonioso mondo è dei bambini
e dei poeti, è vostro, bimbi, e mio,
ha gli estremi orizzonti per confini
…quando la sera il vento casca
e in terra tornan gli aquiloni bianchi,
nella casa dove voi tornate stanchi…
e la luna si guarda nella vasca
Non mi sorprendo che in uno degli ultimi Pisan Cantos il bardo americano abbia scritto quell’oscuro Xhairè Alessandro, Ferdinando e il Capo gustosamente interpretato dal glossatore dell’edizione. Triste e comica crocifissione di poeti e filosofi è l’essere presi dall’ancora di chi eleva a coronato e stipendiato ufficio introduzioni, postfazioni, note e glosse. Se limitate a soli dettagli storici o metrici o stilistici necessarie, certo. Molto meno se esulano da questo ristretto ambito da svolgere per quanto possibile con pagine concise.
Per buona sorte, questi frammenti dell’Alessandro di Pound, che è esattamente quello delle traballanti isvosce, non possono offrire per la loro semplicità ingenua alcun appiglio agli ormeggi delle panciute navi-cisterna dei glossatori e dei professori. Sono frammenti giusto come le rocce dello scoglio della Meloria dalle quali l’ormeggio scivolerebbe via.
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