Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un'opera di Nicolaj Roerich
Era arrivata, l’arte europea in fine ottocento, a quel punto oltre il quale vi era una notte illuminata da lampi che consentivano di scoprire solo parte del paesaggio ma di non vederlo per intero. Alla rappresentazione delle forme i venti di tempesta d’una filosofia spietata frantumavano corrosivi la divina armonia delle proporzioni nell’arte, e la volontà di creazione ed espressione s’inoltrava in un labirinto dove cumuli di nubi oscuravano sempre di più le stelle alle quali orientarsi. In questo clima di agitazione spirituale che fatalmente diventa dottrina politica e, infine, taglia il quieto fluire della storia con guerre, distruzioni immani e rivoluzioni nasce una rivolta violenta contro tutte le forme, oramai divenute vuoti simulacri di quelle che furono le forme classiche. Arriva l’avanguardia e cerca un nuovo segno per tutte le arti: alcuni lo intuiscono impresso in un movimento delle forme che cresce rapido e convulso fino al tracollo allucinato, ed è futurismo; per altri il segno pare balenare nell’assoluta frammentazione illogica di ogni rappresentazione. Ma l’uragano di tragedia che aleggia su questo paesaggio tragico e policromo di idee e nazioni altro non è che un alito di vento per le nevi e i ghiacciai dei monti immensi, che si levano come muti filosofi al di sopra delle ondate fluenti e rifluenti della storia e sono volti a ciò che è intemporale. Nella Russia, agitata e inquieta e ponte fra l’Europa e l’enigmatico Oriente, e pure fra il lontano Nord e l’altopiano dell’Himalaya, vi è chi, in questo tempo di rivoluzioni, raccoglie il messaggio profondo e incognito della sua arte e delle arti: è Nicolaj Roerich, tempra non solo di pittore ma anche di esploratore, archeologo e poeta. A lui è data, dopo che si vide una sua favola puerile illustrata e dipinta, una formazione da Accademia a Pietroburgo. Il giovane Nicolaj, che respira il clima d’una famiglia dove filosofi, poeti e matematici sono nella cerchia dei sodali, mostra di inclinare al disegno e però appare spesso immerso nella contemplazione dei segni lasciati dalla civiltà scomparse e testimoniati solo dai frammenti restituiti dagli scavi archeologici. Pare quasi un paradosso ma è il pittore di scuola classica e attratto da ciò che è primordiale a superare per una via inaspettata gli arditi dell’avanguardia nel riannodare il filo a quanto vi è di più interno e irradiante entro l’arte. La via ch’egli percorre è classica e lontana dai manifesti rivoluzionari che incitano alla dissoluzione dei canoni: dapprima dipinge le scenografie per i capolavori dell’opera musicale russa e germanica, poi si dedica alle pitture parietali per decorare le chiese ortodosse, vengono ancora i dipinti che raccolgono in immagini fresche ed ammirate i capolavori dell’architettura russa antica: le città con le cupole svettanti e policrome, i Cremlini dai possenti bastioni rosati, i monasteri remoti, le chiese a guardia delle selve. Il ciclo tuttavia qui resta ancora entro il dominio delle opere contingenti, opere esposte al tramonto come ogni civiltà e che sono destinate a divenire quel frammento che l’archeologo di lontane generazioni di posteri contemplerà come immagine di ciò che è transeunte. Ecco allora affiorare nei suoi quadri la natura sola, cangiante nell’avvicendarsi delle stagioni eppure volta a indicare che vi è qualcosa che va oltre il tempo. L’esploratore e l’archeologo qui conducono la mano del pittore. E’ il ciclo delle Aurore Boreali, delle lande sterminate come le pianure siberiane costellate da estuari di fiumi, delle coste frastagliate del continente Nordatlantico e, al culmine, degli immensi monti dell’Himalaya. Con la fioritura dei tantissimi dipinti himalayani Roerich trasforma la sua pittura in una vera arte delle altezze dove i baleni di luce sui monti, i ghiacciai immersi nell’infinito silenzio, le figure eroiche e gli spiriti che abitano queste desolate solitudini sono trasmutati in visioni che sono reali, precise come un rapporto geografico, e al tempo stesso risvegliano in chi le contempla uno strano senso di interiorità. È qui che oltrepassato ogni conflitto con le forme, e superate le stesse senza negarle, la volontà di creare ed esprimere del Russo si risolve al di là dell’arte stessa e fa della sua pittura una via verso l’intemporale, verso il trascendente inteso nel senso più integrale del termine.
Poscritto
Per gli oltre 7000 quadri che pare siano stati dipinti dal Russo si è detto addirittura che vi fosse stato un Angelo a condurgli la mano negli intermezzi di abbandono alla stanchezza. Una favola, ma essa è un segno dell’aura leggendaria che circonda Roerich. Non è impossibile che in un tempo futuro vi sia un anonimo che intesserà un racconto su di lui calcato sull’esempio delle famose biline, le favole epiche e liriche della tradizione popolare russa. D’altra parte dei tre Bogatyri, gli eroi delle biline più antiche, Volx, il principe mago che, simile all’Odhinn scandinavo, prende forma di uccello o lupo, Svjatogor, il Marte slavo, Mikula, il prodigioso aratore del fertile suolo della Rus’, Nikolaj Roerich ha dato nei suoi quadri alcune delle più efficaci e belle figurazioni. Del primo mostrando l’aspetto notturno e magico, del secondo la forza immane, del terzo l’infinita ostinazione e pazienza nel dissodare un suolo che deve dare le messi. Questi quadri potrebbero essere usati magnificamente per illustrare la varietà russa entro la tripartizione indoeuropea stilizzata dal professor Dumézil: al vertice la sovranità, poi la funzione militare e, infine, la cura della prosperità agricola.
In Italia di Roerich se ne aveva notizia diffusa almeno fin dagli anni in cui apparve la nostra monumentale enciclopedia. In essa una voce è appunto dedicata al pittore russo con riprodotto il quadro del cavaliere che prima di partire si volta verso la fonte del villaggio ove tre donne attingono l’acqua. Sullo sfondo domina un panorama di montagne altissime. Quadro invero leggibile in un senso che non è solo quello descrittivo. La voce dell’enciclopedia poco lascia trapelare di ciò che muove all’ammirazione dell’opera di Roerich. Eppure ancora nel 1931 sulla rivista del CAI, Julius Evola aveva pubblicato uno dei suoi scritti più belli e l’unico dedicato interamente ad un pittore, il quale era, appunto, il Russo. Strano che ai russisti del comitato di redazione dell’aulica enciclopedia sia passato inosservato quest’articolo. Che era corredato di ben sei immagini himalayane in bianco e nero. E sorprende che il pittore delle astrazioni dedichi il suo scritto a chi si tenne estraneo al massimo grado dall’arte modernissima. Del viaggio in Italia di Nicola Roerich, avvenuto nel 1906, ho potuto ammirare in due volumi stampati in lingua russa due quadri: una vista di San Gimignano e un San Francesco d’Assisi, quest’ultimo molto bello. Roerich visitò Venezia, Padova, Verona. Fu poi a Genova, Pisa, Roma, Perugia, Firenze e Siena. Chi sa se non sia possibile che in quel di Mosca e di New York dove sono i due musei a lui dedicati, o tramite archivi dimenticati, non vengano alla luce appunti disegnati del viaggio italiano. Sarebbero sicuramente un documento da vedere. A volte possiamo aiutarci a comprendere il nostro spazio congeniale attraverso l’immagine che ne dà un genio di altro luogo.
Poscritto secondo
È molto meno nota ma lo stesso meritevole d’interesse e ammirazione l’opera del figlio Svjetoslav Roerich. Dipinse anche lui montagne himalayane ma non come semplice copia dell’opera del padre. Aveva una sua individualità ben distinta e più variabile nello stile. Che non ha trascurato di spingere fin verso la pittura astratta. E anche l’altro figlio, Yurij Roerich, professore di lingue orientali e giurista, ha lasciato un corpus di disegni e pastelli e oli oggi raccolti e pubblicati dal Museo Roerich di Mosca che ne rivelano un talento per l’arte figurativa indubitabile. Sono, a parte il piccolissimo ammontare di quadri ad olio di paesaggi o nature morte, scenografie in semplice carboncino o inchiostro per l’opera lirica o illustrazioni di favole o racconti.
Inserito da BEA il 11/04/2014 14:21:59
C'è luce, c'è speranza.....
Inserito da stefania il 11/04/2014 14:20:52
Pezzo di una bellezza unica, di una conoscenza della materia artistica totale. Totalità non finirà mai di stupirmi, siete la rivista culturale, e non solo, migliore al mondo. Complimenti a Piccolo e a tuta la redazione. Stefania
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