La diffamazione può uccidere

Più controlli e educazione nell'uso dei social network o si continuerà a morire

Cassazione: «La diffamazione è reato su Facebook anche senza fare nomi»

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Più controlli e educazione nell'uso dei social network o si continuerà a morire

La diffamazione è un reato anche se espressa in maniera anonima e se fatta su internet.

Ci ha pensato la Cassazione a riportare tutti sulla giusta strada con una sentenza che ha cancellato con un rinvio l’assoluzione, pronunciata dalla Corte militare d’appello di Roma, nei riguardi di un maresciallo della Guardia di Finanza, che, sul proprio profilo  Facebook, aveva usato frasi denigratorie nei confronti di un collega che lo aveva sostituito in un incarico.

In primo grado, il sottoufficiale era stato condannato a 3 mesi di reclusione militare, ma in appello il verdetto è stato ribaltato perché nelle frasi infamanti non si faceva diretto riferimento al compagno di lavoro.

Poi è stato impugnato il verdetto e la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso e disposto un nuovo processo d’appello. 

Ecco quanto riportato dalla sentenza. " Ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa. Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due. E in questo caso, non può non tenersi conto dell’utilizzazione del social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti alla Guardia di Finanza, nè alla circostanza che in concreto la frase sia stata letta soltanto da una persona".

Bene che questa procedura si applichi anche ai bulli e bulletti che si muovono coperti dall’anonimato in internet.

Che si attui anche contro quelle persone, se risulteranno fondate le ipotesi, che hanno spinto la giovane 14enne di Venaria, in provincia di Torino, a suicidarsi buttandosi giù dal balcone della sua casa.

Prima del gesto ha voluto scrivere tre messaggi di saluto su Whats’up alle sue amiche più care, frasi in cui la ragazzina, sofferente sin dalla nascita di una patologia cardiaca, non spiega il perché di questa sua decisione.

Saluta con un “ti voglio bene” come le altre volte. 

Mesi fa aveva ricevuto messaggi molto negativi sul suo aspetto fisico. Nulla di molto diverso però, ritengono gli inquirenti, da quello che succede ad altri adolescenti, e nulla che possa, secondo loro, ritenersi strettamente collegato con il gesto del suicidio.

Sarà, ma sono passati solo due mesi da quando lo stesso episodio e accaduto a Padaova. La vittima, sempre una ragazzina di 14 anni si era lanciata dal tetto di un albergo ormai in disuso dopo aver subito insulti e inviti ad ammazzarsi proprio su Ask.fm, il social network dei teenager. 

Che gli inquirenti indaghino più a fondo per favore, non vorremmo fra qualche giorno parlare di un nuovo suicidio.

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