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Alessandro Pavolini - il tempietto buddista Datsan Gunzéčojnéj di Pietroburgo
In un appunto passato, quello sui samosvieri, avevo proposto ai lettori un termine nuovo per il nostro vocabolario: l’isvoscia, la traballante carrozza di San Pietroburgo trainata dallo stanco ronzino. Sono i lettori infatti che soli possono con l’uso dare realtà effettiva alla nuova parola. Pure se credo in fondo che l’isvoscia sia di già acquisita ancorchè non abbia ancora la consacrazione di qualche aulico vocabolario. Essa viene da Alessandro Pavolini che è stato uno scrittore che si è creduto in primo avviso giornalista, e in questo ha dimostrato cortese modestia, e in grazia della sua autorità, tanto quella conquistata dall’essere lui il raccontatore di “Scomparsa d’Angela” quanto quella acquisita con il suo eroico comportamento nella vicenda tragica della guerra, la sua parola è per me divenuta definitiva. Che la consacrazione del vocabolario che al momento ingurgita tutte le parole più strampalate senza la minima eleganza tardi a venire non ci si deve dolere più di tanto.
Il vocabolario di ora non è quello in auge fra qualche tempo, quando è possibile che uno scrittore di genio sia nato e abbia formato con la sua opera un pubblico di buon gusto: in tal caso non è assolutamente più una fantasia che nel caso di traduzioni dal russo fatte con stile la traballante isvoscia divenga finalmente una parola non troppo diffusa ma accettata nel nostro tesoro linguistico. Un primo passo in fondo essa lo ha già fatto e ciò era importante: nella pagina di Totalità che albergava lo scritto su Pietroburgo il termine campeggiava non più solo nel testo ma pure nel titolo il quale non era opera dell’autore ma della redazione della rivista. Il moto dunque è stato avviato e Totalità ne è il veicolo.
Poscritto
Per render più rapida la parola a dispetto del fatto che il ronzino che la traina è lento, credo che il modo rapido e più sicuro sia quello antico come il mondo: chi ha dei fanciulli, quando durante la passeggiata nel centro cittadino o ai parchi questi vedono il veicolo traballare sulle sue quattro ruote e subito lo indicano stupefatti e contenti al genitore, ecco che la parola ha già vinto tutte le perplessità dei puristi e le trepidazioni filologiche dei compilatori della Crusca: si dice al fanciullo o alla fanciulla che si avvicinano al cavallo per allungare timorosi una carezza e alla macchina: vedi questa si chiama carrozza o anche isvoscia.
Col tempo è il fanciullo a decidere quale termine di poi usare a seconda delle circostanze e del contesto: ha due parole a disposizione. Constatare che la nostra isvoscia ha già comunque mosse le sue ruote trainata da un internet in guisa di Bucefalo elettronico è una gradevole sorpresa. Il passato scritto sulla magìa di San Pietroburgo è stato diffuso da una pagina dedicata agli appunti di viaggio. Il bravo veicolo è ora perfettamente fiorentino. Ma come il solito ciò che appare non sempre è ciò che è: l’appunto di viaggio è in realtà uno scritto stanziale. Era solo la fantasia che in questo caso si muoveva, sollecitata da belle fotografie di palazzi sui canali e inondati della luce delle lunghe notti chiare del Nord.
Poscritto secondo
“Non è la frontiera russo-finlandese una tipica frontiera di mondi, Occidente-Oriente? Di qua dalla sbarra, Helsinki allinea i suoi taxi lucidi; di là traballano le vecchie insopprimibili isvoscie di Pietroburgo. Si hanno alle spalle Europa, America: di fronte Asia. Di qua c’è Cristo: di là l’Anticristo bolscevico, e più lontano Confucio, Buddha…”. Ho ritrascritto le linee di Alessandro Pavolini che inaugurano nella nostra favella il grazioso e misterioso termine “isvoscia”. Le ho ritrascritte nelle completa estensione perché il discorso andava invero ben più in là della semplice nota di viaggio. È interessante la progressione Cristo, Anticristo bolscevico, più lontano Confucio, Buddha. Sembra quasi una trasposizione giornalistica del processo della filosofia dell’idealismo, nel 1934 ancora in auge, di tesi antitesi e sintesi. Oppure trasposizione, forse in un modo più gradevole mutuando dalla lingua della musica, di tema, controtema, e fuga.
Dal Cristo, nel nome del quale si era creata con le varie chiese un’unità culturale europea, sorgeva la filosofia dell’idealismo tedesco, che in fondo è una filosofia a tinte cristiane nella sua escatologia, dalla quale, come da costola inaridita si procurava la nascita dell’antitesi, incarnatasi storicamente, non estraneo l’aiuto dello Stato maggiore tedesco, nell’Anticristo bolscevico: il paradiso dei lavoratori, “hic” almeno, se non “nunc”. Più lontano la cosiddetta sintesi, ma che in realtà non è tale, se non per semplice conclusione di discorso, e non nata, perché di altra sorgente: Confucio, Buddha. Quest’ultimo non assente in spirito anche in quella parte di selva europea rimasta fitta e impenetrabile alle escatologie millenarie di sorti magnifiche e progressive e assai scettica sulle promesse di queste: nella mistica di Meister Eckhart, nella filosofia di Schopenhauer, nella poesia di Leopardi, nella vita di alcuni Santi.
Alessandro Pavolini ha davvero ritratto in poche semplici linee un confine, più ideale che non meramente fisico, più filosofico che non geografico, e ha dato suggestioni interessanti se si riflettono a fondo le sue parole. Una cosa è assolutamente da rammentare: nella città delle traballanti insopprimibili isvoscie, Pietroburgo, si inaugurò, nel 1914 il primo tempio monastero buddista d’Europa, situato sul Primorskij prospekt, e si noti l’ominoso nome della strada, consacrato poi e abitato dai monaci buriati fin dall’agosto del 1915. La costruzione è architettonicamente gradevole, nel suo misto di stile liberty e ornamenti multicolori orientali. I vetri istoriati si prepararono secondo i disegni di Nikolaj Roerich, come ci si poteva ben immaginare. Il monastero, che dopo varie e pure tristi vicissitudini campeggia ancora oggi nel suo piccolo parco di begli alberi, è stato riportato in onore dalle autorità della metropoli baltica. Ad esso seguiva circa nove anni dopo quello berlinese, e dipoi quello di Londra. Strano che nella capitale dell’Impero britannico ci si sia rammentati ben più tardi della possibilità d’un tempio buddista. Si può riflettere allora, qui su certe pagine di Julius Evola, nelle quali si esplica di come vaporava nei rendiconti commerciali l’essenza mistica di quest’impero… Il quarto tempio buddista in Europa, quello di Belgrado fu fondato nel 1929 da dei calmucchi esuli dalla rivoluzione bolscevica.
Tempio significativamente distrutto nel 1944. In quell’anno forse il cozzo Cristo-Anticristo provvedeva a far piazza pulita delle suggestioni d’una possibile quiete estranea alle magnifiche sorti progressive. E il tempio dei calmucchi ne doveva fatalmente esser immagine, come tante altre rovine sparse per l’Europa.
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