Economia

La crisi di oggi e quella del 1929

Inquietanti analogie fra quello che scrivevano i media e quello che leggiamo adesso

di Laerte Failli

La crisi di oggi e quella del 1929

"Per riaffermare il primato della cultura e quindi l’importanza della politica. Senza cultura non c’è politica e la storia ce lo sta dimostrando. Senza politica non c’è economia, e senza economia andiamo a fondo.”

Vorrei partire proprio da questa affermazione per rivendicare l’importanza dell’informazione per smuovere lo “spirito politico” e penetrare nella quotidianità; nella sua crisi, nelle sue problematiche e quindi, nelle sue manifestazioni. Perché dunque ad esempio non parlare del Sud? Su social network e TV si rincorre l’insufficiente attenzione, a parere degli italiani, che gli strumenti di informazione danno a questo argomento. Non ne facciamo dunque segreto: agricoltori e pescatori, edili e disoccupati, autotrasportatori e operai stanno paralizzando la Sicilia. Siamo di fronte a una nuova edizione dei “vespri siciliani” contro un’oppressione questa volta soprattutto di natura economica e fiscale, volta a rianimare il mai sopito spirito di indipendenza di quest’isola? O più facilmente il malessere siciliano è solo la prima manifestazione di uno molto più generalizzato che potrebbe esplodere in tutta la penisola? Ancora una volta, come al tempo dei Borboni, il Sud si troverebbe così all’avanguardia, anche se questa volta non certo per il progresso.

Ma non è dell’attualità che oggi vogliamo parlare: in omaggio a quanto detto all’inizio vogliamo ancora una volta guardare alla storia, a un evento più volte richiamato ma forse mai sufficientemente esplorato per capire cosa sta accadendo oggi, non solo in Italia ma in quasi in tutto il mondo: la grande crisi, o crisi del 29.

“Si trattava di una speculazione audace e mastodontica,che amplificava col pantografo le colossali linee dell’economia americana. L’indice rivelatore di questa situazione era dato dalla cifra anormale e preoccupante dei prestiti agli agenti di cambio, vale a dire del finanziamento della speculazione borsistica, ammontante allora a 6 miliardi di dollari. Non occorrevano dati di profeta per prevedere che una tale artificiosa situazione non poteva durare. Alla lunga questi gonfiamenti di prezzi, fondati su eccitazioni psicologiche e non su concrete basi economiche si afflosciano e si vuotano.”[1]

Citando Vico potremmo parlare di “corsi e ricorsi storici” in quanto; se non fosse per lo stile un po’ antiquato, la citazione potrebbe essere scambiata per un pezzo di cronaca dei nostri giorni. Invece è un articolo del Sole proprio di quel 24 Ottobre 1929 passato alla storia come il Giovedì nero del crollo di Wall Strett. Ma già da un mese e mezzo circolavano diversi segni premonitori: la corsa dei titoli al rialzo si era fermata esattamente il 3 Settembre quando le Radio Corporation  avevano toccato il picco dell’indice 505; seguì una lunga pausa di alti e bassi finché il 21 Ottobre (lunedì) lo stock Exchange si trovò a fronteggiare un’offerta di vendite mai registrata in tutta la sua storia: più di 6 milioni di azioni passarono di mano. J. K. Galbraith definì “il più impenetrabile dei misteri della borsa”  il fatto che ci sia un’acquirente per ogni operatore che cerca di vendere, ma nei due giorni successivi e la mattina del Giovedì nero tutti volevano liberarsi delle azioni anticipando i ribassi: a mezzogiorno ne erano già state cedute 12.894.650. Pare, ma non è provato che in quella vera e propria orgia di contrattazioni ci fosse un illustre spettatore: Winston Churchill.

 Al giovedì nero seguì un tentativo di reazione da parte delle banche per intervenire in acquisto. Vi fu qualche leggero segno di ripresa, ma la settimana si chiuse in un’atmosfera assai pesante anche perché come riconobbe lo stesso presidente Herbert Hoover, l’economia reale non aveva ormai più niente a che spartire con gli eventi della borsa. La vera catastrofe sopravvenne il “martedì nero” 29 Ottobre: alcuni titoli non fecero più prezzo, si racconta di un fattorino di Borsa che ne incettò a migliaia offrendo un dollaro per azione.

“Da Nuova York le notizie incalzano di ora in ora più gravi. Dal 18 Ottobre la tempesta si è abbattuta sulla borsa famosa e non rallenta il suo ritmo. Qualche giornata di vaga speranza e di un’approssimativa paurosa calma, che prelude a un più violento vortice. Il dramma è nel suo pieno svolgimento e forse è già nel suo acme [..] il tramonto di questa grande follia collettiva che è stata la corsa alla fortuna nella borsa i New York era prevedibile ed era previsto. Lo sviluppo ascensionale delle quotazioni che dura da anni doveva necessariamente raggiungere il suo punto d’arresto, che avrebbe segnato anche il punto di collasso. Per anni una situazione florida e promettente quant’altra mai ha fornito il pretesto di una frenesia speculatrice, che ha scontato oltre ogni limite le proprie possibilità. Le azioni ormai avevano un margine crescente di valore di puro gioco. La reale situazione, la floridezza o meno delle aziende da essa rappresentate non interessavano o interessavano scarsamente; i dividendi che esse potevano offrire rappresentavano entità trascurabili. Il miraggio era nella corsa al rialzo, nella fortuna che si poteva realizzare dall’oggi al domani, per la vicenda alterna degli acquisti e delle vendite.”[2] Così il Corriere della Sera del 31 Ottobre 1929.
Sicuramente la crisi del 29 è stata originata da tutta una serie di fattori: una cattiva struttura o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie, del sistema bancario, e da un’errata scienza economica che perseguiva in modo ossessivo il pareggio del bilancio con relativa assenza di intervento statale, che era considerato un fattore penalizzante per l’economia.

Se la crisi di oggi ha raggiunto l’apice o ancora è troppo presto per sperare in una graduale risalita questo non siamo in grado di affermarlo; è però sotto gli occhi di tutti la difficile situazione che il nostro paese sta attraversando.  Criticabili quanto vogliamo, i dati pubblicati da Standard & Poor’s  parlano chiaro: per la prima volta nella storia siamo finiti in “serie B” allineandoci al pari di Perù, Colombia e Kazakhstan; nella zona euro solo l’Irlanda ci fa compagnia. ( per dovere di cronaca dobbiamo affermare che  il taglio non riguarda solo l’Italia ma indica una riduzione a catena, strappando la tripla A alla Francia e declassando Spagna, Portogallo e Austria). Sembra proprio che i ballerini e nefasti titoli di borsa americani abbiano passato il testimone all’ormai popolarissimo spread che in base al suo andamento ci solleva o affonda.

Ma i malumori sociali che cominciano in modo preoccupante ad affermarsi, nonostante i tentativi di imbavagliarli, fanno capire che occorre al più presto un New Deal: altrimenti, non sarà forse il Medioevo prossimo venturo, come vogliono alcuni catastrofisti, ma certo neppure un avvenire rassicurante, soprattutto per le giovani generazioni.



[1] Giuseppe BEVIONE, “Uragano Benefico” in Il Sole; giornale del commercio, dell’industria, della finanza e dell’agricoltura, Milano, giovedì 24 Ottobre 1929 p. 1

[2] “Il sabato nero” in Corriere della Sera, Milano, giovedì 31 Ottobre 1929 (senza firma)



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    3 commenti per questo articolo

  • Inserito da seo il 24/09/2024 13:42:34

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