Una giornata particolare

Il 25 aprile che sogno per i miei ragazzi

Retorica e divisioni, rancori mai sopiti e mistificazioni, occorre dire basta a tutto questo e celebrare solo l'amore patriottico

di Domenico Del Nero

Il 25 aprile che sogno per i miei ragazzi

Diciamolo francamente: per chi è nato in una famiglia schierata della “parte sbagliata”, è molto difficile trattenere un moto di fastidio, di stizza e di ripulsa per tutta la retorica legata alle celebrazioni della cosiddetta “liberazione”, anche quando – come nella maggior parte dei casi è ormai inevitabile - sia troppo giovane per aver vissuto  quei giorni terribili.

Retorica, certo. E’ un grande terribile difetto soprattutto italico, una vera ironia della storia, visto che siamo i nipotini di coloro che con Cicerone fecero della retorica un’arte e una scienza, dopo averla ereditata pur già mirabile dai greci. Noi invece ne abbiamo fatto una insopportabile vescica d’aria, sovente pestifera.

Retorica: il centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana, che ha riproposto come verità sacrosanta ciò  che non regge ad una analisi storica poco più che superficiale, come sanno fin troppo bene i meridionali, che si sono visti scippare uno stato civile e prospero sotto vari aspetti e che dava loro una dignità e un prestigio,  per essere trasformati nei “terroni” eterni ultimi di un paese che dopo averne succhiato tutte le risorse ne ha fatto la propria pattumiera. E questo senza neppure un briciolo di vergogna.

Certo, ormai l’Italia c’è e almeno al momento è difficile pensare  di tornare a scomporla. Ma se si vuole che continui a esserci anche nel futuro bisognerebbe veramente, una volta per tutte, fare pulizia delle tonnellate di mistificazioni da cui è oppressa.

Una vera e propria “pulizia storica” che non risparmi niente e nessuno; neppure il 25 aprile, il fascismo e l’antifascismo.  Cominciando da una operazione che – nonostante l’opera monumentale e mai abbastanza meritoria di Renzo de Felice – in Italia sembra più ardua della quadratura del cerchio: separare una buona volta la storia dalla politica, la faziosità da una ricostruzione il più possibile oggettiva di eventi sui quali poi è più che lecito a ciascuno di prendere posizione e esprimere la propria opinione, possibilmente però senza la pretesa di chiudere la bocca o addirittura negare la patente di umanità a chi si permette di pensarla diversamente.

Chi oggi ha da poco varcato il  mezzo secolo sa fin troppo bene cosa questo significhi, come la parola “fascista”  totalmente svuotata dal suo significato originario sia stata a partire dai terribili anni ’70 del Novecento  il toccasana, con cui mettere alla berlina chiunque non si allineasse al sinistro pensiero dominante. E  spesso e volentieri con esiti altamente tragici, se si pensa a quanti giovani (anche di sinistra, peraltro) insanguinarono le nostre strade nella follia degli “anni di piombo” del secolo scorso, in quella assurda e insensata logica degli “opposti estremismi” che altro gioco non faceva se non quello dei veri, immarcescibili burattinai e padroni del vapore: allora la vecchia casta catto  social comunista (ciascuno con la propria porzione di torta) , alla quale però, se non altro bisogna dare atto di un briciolo di dignità e senso dello stato in più rispetto a quella oggi sconciamente dominante: dato ma non concesso che, allora come oggi,  quelli che appaiono burattinai non siano in realtà ancor più burattini dei loro “sudditi”. Ma questo è un altro discorso, che porterebbe troppo lontano e investe la vera sostanza del potere all’interno delle cosiddette “democrazie”, dove il “demo” in realtà conta meno del due di picche .

Sicuramente, darà un senso di vertiginoso malessere sentire un personaggio come Napolitano, che nel 1956 inneggiò alla repressione della rivolta d’Ungheria da parte del regime  sovietico,  regalare ancora una volta  un quarto d’ora di beatitudine a tromboni e vecchie cariatidi  sputazzando   su democrazia e libertà.  Le stesse “anime belle” che si affannavano a cercare trascorsi nazisti persino nel passato del Santo Padre Benedetto XVI quando era ragazzino, su questo invece non hanno nulla da eccepire. Che schifo!

Schifo, sì. Ed è triste che gli italiani cadano in questa ennesima trappola, continuino almeno in parte a pensare  (almeno, quei pochi che si sforzano di sapere qualcosa del passato del loro paese) che in quella tragedia  nella tragedia che fu la guerra civile italiana, causata della vigliaccheria di un re indegno di tale titolo  e dalla fellonia di un primo ministro il cui nome in Inghilterra è diventato sinonimo di tradimento (To Badogliate = tradire stupidamente) ci siano angeli e demoni nettamente schierati su due fronti:  buoni e cattivi divisi in modo così inequivocabile che neppure i vecchi film western potrebbero far di meglio.  L’otto settembre, data non dell’uscita dal conflitto (che sarebbe stata legittima e comprensibile)  ma di un tragico e assurdo rovesciamento di fronte che forse pensava di ripete il “giochetto” alquanto sporco  già sperimentato con successo nel 1915.  Ma le condizioni erano troppo diverse ….

Un paese civile, degno di tale nome, pur nel rispetto delle opinioni di ciascuno e anche nell’egemonia della cultura dominante, dovrebbe porre come valore prioritario il rispetto di chiunque, in buona fede, sia caduto per  amore della propria Patria. Così, in quel terribile episodio che fu la guerra civile italiana, il 25 aprile il non dovrebbe essere “festa”, ma giornata della memoria in ricordo di chi cadde perché aveva a cuore l’Italia e il suo destino. Non dunque chi, di qualsiasi parte, si sia mascherato dietro degli ideali per infamie o tornaconti personali (e non sarebbe male, a questo proposito, leggere cosa  ha scritto un “insospettabile” come Gian Paolo Pansa su certe “imprese” partigiane) ma chi ha dato la sua vita perché questa nazione potesse avere ancora un futuro ed essere diversa da ciò che è poi  diventata. Una cosa che sicuramente unirebbe tutti i caduti in buona fede dei due schieramenti è un senso di profondo rammarico e di sdegno a vedere cosa è l’Italia di oggi: questo è il vero, più autentico e tragico vilipendio del loro sacrificio.

Il 25 aprile che sogno per i miei ragazzi è dunque una giornata dove non si parli più di odio, di “buoni” e cattivi, e neppure di fascisti e antifascisti, se non su un piano puramente storico. Spero che i nostri giovani ci diano la soddisfazione che non siamo riusciti ad ottenere, che siano anche in questo migliori di noi, capaci di seppellire atavici e anacronistici rancori e dare ai ragazzi di quei giorni lontani e tragici la soddisfazione di non essere caduti invano.; e che sappiano riprendere  la grande e straordinaria lezione di Omero, di Foscolo e naturalmente di Dante che rendeva  nel Sacrato Poema uno splendido omaggio a colui che pure per “due fiate” aveva disperso i suoi maggiori e aveva contribuito al “grande scempio” de l’Arbia colorata in rosso  ma che difronte alla salvezza della Patria

Ma fu' io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto".

E chi fu a difendere a viso aperto l’onore e la dignità dell’Italia, difronte al grande scempio dell’otto settembre 1943?

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 25/04/2014 14:14:44

    articolo che apre un possibile dibattito interessante il cui titolo potrebbe essere: resistenza e risorgimento, due vulgate a confronto. moti di elite finanziati da stranieri e non certo di popolo. zoppicanti come ideologia ma tenute in vita da considerazioni esterne di altra natura. che fanno leva sull'ipersensibiltà alla retorica dell'italiano.

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