Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Leopoldo II di Toscana
A Firenze, affrontare quotidianamente – o quasi – la dura salita di costa San Giorgio per salire fino al forte Belvedere non è solo un salutare esercizio fisico, ma un vero e proprio balsamo per lo spirito. Da quella monumentale e venerabile fortezza, purtroppo quasi sempre chiusa il pubblico a causa della tragica morte di due ragazzi che, a distanza di pochi anni, precipitarono dagli spalti a causa del pessimo stato della sicurezza soprattutto in ore serali e notturne, si gode infatti una vista eccezionale della città del giglio; e subito sotto, la mole maestosa di Palazzo Pitti, che con la sua armoniosa semplicità e la purezza delle sue linee gareggia in bellezza con regge forse più opulente ma non per questo superiori.
All’ingresso del forte un bello stemma granducale in marmo bianco, purtroppo rovinato dal tempo e dalle intemperie. Proprio qui si consumò uno dei momenti più significativi di quella incredibile farsa che fu la cosiddetta “Rivoluzione Toscana” del 27 aprile 1859, orchestrata, pilotata e messa in scena da Torino tramite soprattutto Carlo Boncompagni, teoricamente ministro plenipotenziario a Firenze dal 1856 al 1860, in realtà longa manus di Cavour per scippare della sua indipendenza e della sua dignità uno stato tra i più gloriosi, civili e avanzati della penisola e d’Europa.
Questa è la storia. Dirlo finalmente con chiarezza non significa certo chiedere un nuovo “plebiscito” o mettere in discussione l’appartenenza della Toscana allo stato italiano: non ci sarebbe al momento neppure l’ombra delle condizioni storico – politiche per una simile operazione. Oggi la Toscana è solo un feudo di un partito che , prima PCI e oggi PD (se possibile, ancora peggio del primo) che in tutti questi anni non ha fatto che violentarne la storia e la cultura, riducendola a quello che è sotto gli occhi di tutti. Ma i fiorentini e i toscani – anche per linerzia (e forse l’acquiescenza?) della cosiddetta opposizione sono ormai troppo fiacchi e privi di nerbo per tentare un minimo di riscossa; posto che ormai, anche per fiorentini e toscani autentici, bisognerebbe applicare un marchio DOGC o qualcosa del genere, visto che ormai sono più rari della vera razza chianina …. Ma parlare di … tutela della “ razza etrusca” scatenerebbe nel pollaio stantio e maleodorante del politicamente corretto chissà quale starnazzare!
Si rimanga dunque fermi alla storia e si abbia il coraggio, una buona volta, di togliere il velo dell’ipocrisia e l’insopportabile fetore della retorica a una data che per la Toscana è un po’ difficile definire “fausta” e che a Firenze portò, tra l’altro, la quasi totale cancellazione della sua fisionomia medievale (oggi amaramente rimpianta, ma allora definita, con positivistica, stupida e cialtronesca iattanza “secolare squallore”) e alla Toscana la perdita progressiva – se si eccettua l’ultima, straordinaria stagione delle “riviste” di primo novecento” - di quel primato civile e culturale che per secoli l’aveva contraddistinta in Europa.
Basta appunto salire al forte e contemplare la città che, ormai immota, sonnolenta e maleodorante, giace ai suoi piedi. Quello che si vede è quanto ci hanno lasciato i Medici, grazie soprattutto al testamento di una donna eccezionale, Anna Maria Luisa, l’ultima principessa della grande casata toscana che, morendo nel 1743, lasciò il popolo toscano erede delle grandi collezioni d’arte della sua casa.
Questa signora aristocratica ( come del resto, tutti i Medici al gran completo o quasi) ha fatto di più per il popolo di tanti sedicenti “rappresentanti”, personaggi che con la scusa di farne gli interessi si sono vergognosamente arricchiti alla faccia non solo degli ingenui (alla fiorentina “dei bischeri”) che hanno dato loro fiducia, ma di tutto quanto il popolo italiano. E i Lorena seppero, dopo l’inizio non propriamente felice della cosiddetta “Reggenza” essere degni continuatori ed eredi della precedente dinastia, solleciti del Bonum Commune e della prosperità dello stato.
In particolare Leopoldo II, l’ultimo sovrano della libera toscana (1797 – 1870, sovrano dal 1824 e al 1859) è stato oggetto di una infame ed ottusa campagna denigratoria che, pur non potendo farne un “tiranno”,( i Toscani lo chiamavano familiarmente Canapone o addirittura “babbo”) lo ha dipinto come un uomo stupido e ottuso, totalmente succube dell’Austria e traditore della fiducia del suo popolo nel 1848. Tra tutte le accuse questa è veramente la più assurda e ridicola, perché caso mai fu Leopoldo a essere tradito dagli elementi radicali che avevano preso il sopravvento in parlamento e si rivoltarono contro un sovrano che era giunto a muovere guerra alla sua stessa famiglia, a tal punto si sentiva “toscano” più che austriaco.
Trentacinque anni di regno che furono un lungo periodo di progresso civile, economico e culturale e si conclusero in modo dignitoso e pacifico: difronte ai tumulti, pur orchestrati e gonfiati, del 27 aprile il granduca non volle neppure prendere in considerazione l’ipotesi di una reazione di forza: preferì partire, abbandonare pacificamente il suo stato salutato dal rispetto e anche in molti casi dalle lacrime dei fiorentini che forse iniziavano a capire quello che stavano perdendo. Un monarca davvero gentiluomo (e non “galantuomo”, grazie al cielo!), forse persino troppo, perché se solo si fosse limitato a recarsi in Maremma e a raccogliere le forze a lui fedeli è molto probabile che gli eventi avrebbero avuto un corso alquanto differente. Ma oltre che di tante altre cose, almeno di questo bisognerebbe essergli grati, l’aver preferito l’esilio alla possibilità di spargere il sangue di un solo toscano:
“Nel dolore di renunziare a quello era a me di più caro, a quello per cui aveva valore la vita mia, un baleno di gioia rischiarò le tenebre dell’animo mio: salva è Toscana pel mio sacrificio, ella sa che sino alla fine io l’ho amata”. Così il granduca nelle sue memorie.
Che Dio ti benedica e ti abbia in gloria, “babbo” Leopoldo!
Inserito da ghorio il 28/04/2014 23:25:12
Sottoscrivo quanto ha scritto Domenico Del Nero. Non sono esperto di musica classica di arte come piccolo da Chioggia ma ho sempre ammirato Firenze e la Toscana, tanto che da ragazzino ho sempre fatto discussioni con tanti amici su Firenze città d'arte per eccellenza, grazie ai Medici e i Lorena, come dai libri di storia. Poi a Firenze mi lega l'ammirazione per la stagione delle riviste del primo Novecento che mancano nell'Italia di oggi per dare nuova linfa ad un secondo Rinascimento per l'Italia.
Inserito da piccolo da Chioggia il 27/04/2014 01:11:20
ho riletto lo scritto. sono quasi commosso per le ultime parole di Canapone.
Inserito da piccolo da Chioggia il 26/04/2014 23:58:45
e così Fiorenza, l'Atene d'Europa, diceva addio quel 27 aprile del 59 a Vienna per andar a dormire prima sul guanciale di Torino rimpinzata di grissini e poi Roma imbottita di coda alla vaccinara. il cambio visto oggi mi appare un po' fallimentare se lo sentiamo in musica: lasciamo la compagnia di Beethoven Haydn Mozart Schubert Brahms Bruckner per andare con Viotti che è bravissimo ma non può eguagliare i viennesi. da Viotti saltiamo poi a Da Palestrina e lì saremmo in Excelsis. ma Palestrina ci ha lasciato soli ed è nel Pegaso dei Musici e ci fa segno che dopo di lui non c'è nessuno nell'urbe. nemmeno Respighi poveretto che pure è bravino. ci restano De Gregori e Venditti. sai che meraviglia? quasi quasi meglio Vasco Rossi o come dice Uto Ughi meglio Zucchero. considerato comunque che Zucchero non è Beethoven e Beethoven non è Zucchero come letto su di un'intervista a Ughi. che qui saluto e invito a leggere la nostra Totalità. se gli va. nessuna costrizione. ma gli piacerebbe. lui è spirito fine e si accorgerebbe che qui si fa sul serio. cultura. politica magari meno. ma chi ne capisce più qualcosa infatti? io per primo. si naviga a vista.
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