Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
n un bel libro dedicato alle interpretazioni dei dialoghi politici platonici, Mario Vegetti denunciava con forza l’eccesso ermeneutico che si era andando accumulando nel tempo sull’opera di Platone. Mentre ribadiva la necessità di porre un freno al moltiplicarsi dei commenti e delle decodificazioni, Vegetti non mancava di segnalare come questa pluralità di letture fosse comunque il destino e la ricchezza di ogni classico in quanto capace di suscitare di continuo nuovi approcci e valutazioni (Un paradigma in cielo. Platone politico da Aristotele al Novecento, Carocci, 2009).
Ovviamente il proliferare incontrollato delle interpretazioni non può essere accettato in maniera passiva, mentre d’altro canto, quando ci si trova di fronte a un grande autore, non ha senso nemmeno la pretesa di vantare nei suoi confronti un monopolio ermeneutico.
Lo stesso discorso può valere anche per uno scrittore tra i più importanti del ‘900 quale Tolkien. Eppure Wu Ming 4, l’autore di Difendere la Terra di Mezzo. (Odoya, 2013), non sembra esserne granché consapevole e, sin dalla “Premessa”, inizia ad attaccare alcune delle interpretazioni italiane di Tolkien a lui non gradite col risibile (e in fondo provinciale) argomento che queste persisterebbero “solo in Italia” (p. 11). E allora? Come se la validità di un’interpretazione si basasse principalmente su una sorta di universalistico consensus omnium, un concetto messo in crisi già nel XVI secolo da Montaigne nei suoi Saggi. Un punto di vista incolto e puerile, dunque.
Poiché queste note sono rivolte esclusivamente all’analisi che Wu Ming 4 ha riservato proprio a tali letture, dopo questo necessario preambolo, è il caso di entrare in argomento. In sintesi, la strategia di Wu Ming 4 è semplice: passare sistematicamente sotto silenzio gli aspetti condivisibili delle letture tolkieniane oggetto di attacco polemico per evidenziarne solo i lati per lui criticabili. In tal modo, invece di riconoscere l’eventualità di nuovi e originali punti di vista sull’opera di Tolkien, si preferisce rigettarli in toto, derubricandoli a mere letture ideologicamente orientate e quindi errate (le sue critiche, invece, non solo ideologicamente orientate…). Questo allo scopo di rivendicare il proprio diritto esclusivo sul creatore della Terra di Mezzo.
Alcuni esempi: il fatto che il successo del Signore degli Anelli fosse tutt’altro che scontato (p. 38) è stato affermato anche da Stefano Giuliano (Le radici non gelano, Ripostes, 2001, pp. 25-27; nuova edizione, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli, Bietti, 2013, pp. 32-34); le questioni sollevate a p. 44 sulle ragioni del successo popolare del Signore degli Anelli erano già state prese in considerazione da Gianfranco de Turris (Il caso Tolkien, in AA.VV., La Compagnia, l’Anello, il Potere. J.R.R.Tolkien creatore di mondi, il Cerchio, 2008, pp. 19-22); l’argomento cruciale della diffusione dell’opera di Tolkien dopo la sua morte (secondo capitolo del testo di Wu Ming 4) era stato affrontato in precedenza sempre da de Turris. Ancora, a p. 61 Wu Ming 4 segnala l’importanza del testo di Shippey, cosa messa in evidenza da Giuliano sin dalla prima edizione del suo volume su Tolkien (2001); il rimando al “controllo panottico” di Sauron (p. 174) è ancora in Giuliano. E così via.
Il punto, però, è che sarebbe fatica sprecata cercare tali riferimenti nelle note del libro di Wu Ming 4 per la semplice ragione che non ci sono. Così il lettore non può che rimanere all’oscuro sia dell’ampiezza dei contributi critici provenienti dagli studiosi sopra ricordati sia della loro effettiva attendibilità. Sicché si potrebbe addirittura pensare maliziosamente che è proprio il nostro quarto Wu Ming ad aver preso ispirazione per il suo testo alle tesi degli autori lui invisi, ed è per questo che non li cita…
Costoro, infatti, sono citati esclusivamente nel quarto capitolo del libro di Wu Ming 4, dedicato, per lo più, ai commenti su Tolkien per lui da respingere e screditare. Qui si fa chiara la pretesa al monopolio sullo scrittore inglese rimarcando solo i “demeriti” (per Wu Ming, s’intende) dei vari de Turris, Giuliano, ecc.
Ad esempio, viene collegata, in maniera arbitraria, la lettura del Signore degli Anelli come “metafora di un cammino iniziatico” (p. 104) con la presunta mira “di fare di Tolkien una sorta di cultore del ‘simbolismo tradizionale’, ovvero della forza metastorica della Tradizione” (ibid.). Ora, con tutto il rispetto per il Tradizionalismo che costituisce comunque un sistema concettuale dotato di una sua valenza (e che, naturalmente, si può condividere o meno), si trascura di proposito che Giuliano non fa alcun riferimento neanche in bibliografia ad autori tradizionalisti laddove lo slittamento nella letteratura di elementi collegati ai riti iniziatici è stato posto in risalto da Eliade (La nascita mistica, Morcelliana 1974). Inoltre, di recente un autore non certo sospettabile di frequentazioni che potrebbero indispettire Wu Ming come Emanuele Trevi, giornalista del “manifesto”, ha ricordato il “sapore iniziatico di alcune pietre miliari della modernità, come l’Ulisse di Joyce e la Terra desolata di Eliot” (Il viaggio iniziatico, Laterza, 2013, p. 94). Si trascura altresì che tali elementi si ritrovano non solo nei romanzi epici medievali, ma anche in opere moderne come i romanzi di formazione (Wilhelm Meister, Il Rosso e il Nero, L’educazione sentimentale, ecc.). Per di più, Wu Ming 4 evidentemente dimentica che critici importanti come Curtius e Frye si sono anch’essi avvalsi dei miti e dei simboli per leggere un’opera d’arte. Del resto, non è né pluralista né democratico considerare illegittima a priori una qualsiasi tesi ermeneutica, anche quella tanto aborrita da WW4 di tipo mitico-simbolico. Non la si può scacciare, e da quale cattedra poi, dal novero della cultura e dell’ esegesi. In nome di che?
Stesso discorso la pagina dopo, quando Wu Ming 4 arriva a sostenere che Giuliano vorrebbe spacciare Tolkien “per un allievo – a sua insaputa – di Georges Dumézil” (p. 105). Ora, basta dare anche soltanto uno sguardo superficiale al libro di Giuliano per capire che la verità è decisamente differente: quella di Giuliano è infatti una ipotesi di lavoro avanzata con molte cautele. WW4 sviluppa dunque una forzatura polemica, finalizzata a trasformare una idea presentata con grande circospezione in un plateale sforzo di trasformare Tolkien in un seguace dell’indoeuropeista transalpino. Pare che il nostro autore semicollettivo abbia in antipatia tutti coloro i quali non hanno, criticamente parlando, le sue stesse fonti ispiratrici. Purtroppo per lui il mondo non è fatto solo dei “senza nome”.
Per il resto, tra l’immancabile rimando all’ormai datato Furio Jesi, qualche critica alle letture “confessionali” (ossia cattoliche) di Tolkien e l’incapacità di comprendere appieno il retroterra culturale di un’opera complessa come quella tolkieniana, si consuma, non troppo gloriosamente, l’ennesimo tentativo (travestito da “difesa”) di egemonizzare un autore, in realtà, come tutti i classici, semplicemente non egemonizzabile.
Inserito da piccolo da Chioggia il 04/05/2014 13:07:28
tentativo già visto pure coll'opera di Nietzsche. un appiglio per le capacità modeste dei "Missrathene" della scrittura. dei buribunchi che devon per forza dire la loro. tutto qui.
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