Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
L’idea architettonica cui Nikolaj Aleksandrovic Lvov ha dato forma con il gioiello neoclassico della Trinità di Alexandrovo, edificata tra il 1785 ed il 1787 nei pressi dell’elegante metropoli baltica, è alquanto inaspettata. Lo stile che si vuole discendente dalle severe geometrie elleniche e romane aveva già imitato, almeno in disegni, la slanciata piramide della Cestia romana e l’aveva trasposta in edifici di sicura suggestione ma non così funzionali come si dovrebbe. Era avvenuto nella Prussia dove architetti infatuati della nitida vetustà delle città antiche avevano immaginato di proporre questo poliedro svettante quale modulo costruttivo per edifici monumentali. Dei tre principi che dovrebbero governare l’architettura classica, armonia, stabilità, utilità, idee simili potevano però soddisfarne il primo in parte, il secondo in completa estensione, essendo la piramide il solido più stabile che si conosca, molto poco il terzo, dato che, salendo di quota il volume utile diminuisce in ragione del cubo dell’altezza dell’edificio, mentre l’area si restringe in ragione del quadrato. L’eclettico geniale architetto russo associava alla piramide l’unica idea edificatoria possibile per il suo tempo: quella d’un campanile, che in alto deve albergare solo le brave campane con leve, perno e corde che le devono muovere ad altalena per farle suonare. Il tempio vero e proprio, la chiesa destinata a raccogliere i fedeli richiamati dal bel suono metallico era in perfetto stile romano: un edificio rotondo ed elegantemente colonnato la cui copertura si atteggia ad un segmento sferico che elevandosi sommessamente si compone con splendida armonia allo slancio svettante della piramide campanaria.
Come tutte le forme inusuali che non passano certo inosservate la chiesa della Trinità di Alexandrovo riceveva il grazioso nomignolo di Kulich e Paskha. Si impone qui di dare un breve chiarimento: Kulich è un panettone russo, la cui ricetta è prossima di quello milanese, da consumare tra la Pasqua e la Pentecoste e che ha la forma che ricorda appunto il tempio colonnato e tondo. Con il capo a cupola sbiancato dallo zucchero a velo, la similitudine del Kulich con la chiesa di Alexandrovo d’inverno è completa. La Paskha è altrettanto un dolce pasquale preparato con formaggio, yoghurt, uvetta e canditi ben compattati fra loro cui si dà per tradizione una forma a tronco di piramide. Evidente come la fantasia di qualsiasi ghiottone pietroburghese abbia assimilato al complesso architettonico di Nikolaj Lvov i due dolci che fanno mostra invitante sulla tavola imbandita. L’architetto russo era di quelle genialità che sorprendono ancora oggi pure se non è così semplice imitarle: discendente d’una stirpe che risaliva a Rurik, il Varego fondatore della prima dinastia regale e poi imperiale russa, era stato diplomatico e aveva viaggiato per tutta l’Europa e conosceva molte lingue. Ammiratore del Palladio ne aveva tradotto i quattro libri dell’architettura. Letterato di vasti interessi, Lvov passava con la disinvoltura del cosmopolita settecentesco dai poemi di Saffo, Archiloco e Petrarca che voltava nella sua favella, allo studio di nuove stufe con le quali risparmiare combustibile, fatto importante in una contrada nordica abitata dal gelo per molti mesi, al disegno di tempietti arcadici nei giardini delle tenute patrizie. E però, vivendo verso la fine del secolo XVIII, scompare infatti ancora giovane nel 1803 in piena temperie napoleonica, aveva anche assimilato le suggestioni romantiche dell’appassionato di poesia popolare: pare che la sua collezione di canti del folclore russo fosse la più estesa e la più significativa.
A lui è ascritta la traduzione della saga scandinava di Re Harald e la prima pubblicazione della bilina di Dobrynya Nikitich. Non manca fra le sue carte nemmeno un taccuino italiano, cronaca architettonica del suo viaggio nella penisola latina, con schizzi dei monumenti di Roma, Pisa, Firenze, Venezia. Tuttavia il fine di queste semplici linee resta la bella inusuale architettura del tempio con campanile di Alexandrovo della cui idea formante se ne vuole mostrare il transito in un progetto utopico di oltre un secolo posteriore. La caratteristica che ogni storico dell’arte annota di questo complesso è il singolare modulo costruttivo della piramide campanile composta al tempio colonnato rotondo a copertura emisferica, un giuoco di forme indubbiamente ben riuscito. Non mi limito a questo aspetto solo geometrico: le dimensioni raccolte delle costruzioni, la loro prossimità con alberi che protettivi quasi le sovrastano creano un quadro estetico di invulnerabile armonia. La dolce costruzione arcadica di Alexandrovo sembra generare in un processo quasi prometeico la Città del Sole ideata e mai costruita, perché in pratica quasi impossibile, dall’architetto costruttivista Ivan Leonidov. I suoi primi disegni e schizzi colorati per questo progetto sono della metà degli anni 30. Gli studi proseguono inoltrandosi nel tempo del secondo conflitto mondiale. La Città del Sole di Leonidov, ispirata all’Utopia di Campanella, si configurava in un complesso costituito d’una piramide a larga base e non slanciata troppo in alto, a lato d’una mirabolante selva di altissime antenne disposte in circolo sulle quali a quota vertiginosa sembra essere ormeggiata, ma in realtà è saldata, una sfera gigantesca. Quasi un satellite ancorato alle aste che tutte lo sorreggono, essendone in contatto lungo la circonferenza massima, quella equatoriale, e impedito così di fuggire per i suoi sentieri siderali. Completano questa fantasia architettonica degli strani edifici ai piedi delle antenne la cui sagoma geometrica pare essere quella di piccoli coni o forse di nuovo piramidi. Belli, davvero belli sono i bozzetti colorati di Leonidov: candida la piramide, brunita come bruciata la sfera sospesa. Blu notturno il cielo. Blu, rosso giallo, arancio le quattro piccole costruzioni ausiliarie alla base delle antenne. Fin qui la descrizione che come si vede non poteva restar del tutto estranea a qualche fuga suggestiva. Tuttavia, ricordando il fine di queste linee, è il transito delle forme dall’arcadica Trinità di Alexandrovo a quest’utopia architettonica irrealizzabile che si doveva documentare per ciò che è possibile, trattandosi d’un’intuizione e non d’una discendenza rigorosamente accertata. Si immagini dunque di allargare ora a dismisura la base della piramide campanaria senza crescere nel medesimo rapporto l’altezza: otteniamo in linea di massima e senza troppo indulgere in pignolerie e particolari la piramide del disegno di Leonidov. Si immagini poi di allargare il circolo che fa di traccia in pianta al colonnato del tempio, si immagini che le colonne si stirino a dismisura, riducendosi ad aste altissime, si immagini ancora che il segmento semisferico che è la cupola del tempio, staccandosi così tanto dal suolo riassorba nella sua matrice che era la sfera intera la parete laterale cilindrica del tempio, tornando dunque ad essere sfera: non otteniamo esattamente la sfera sospesa alle altissime antenne disegnata dal geniale costruttivista? Estendiamo oltre il dominio fantastico ma non ingiustificato: immaginiamo che gli alberi che ombreggiano protettivi la Trinità di Lvov si irrigidiscano nei solidi che sono la matrice geometrica delle loro sagome: piramidi o forse coni. Essi divengono le costruzioni piramidali o coniche ausiliarie ai piedi delle antenne. Questa intuizione, quando mi è balenata, da subito chiara e suggestiva per le profonde riflessioni che può propiziare, mi è come uscita per suo moto proprio dal lapis e si è fissata in un disegno che qui allego.
Poscritto
Il falco gheppio che volteggia fra gli alberi del giardino della Trinità ha originato anch’esso un transito di forme; nel cielo stellato della Città del Sole vola l’aliante del costruttore russo Boris Tscheranowskij Bitsch II del 1932.
Poscritto secondo
Nikolaj Lvov ha disegnato e costruito un bel portale d’ingresso alla fortezza Pietro e Paolo in Pietroburgo nel lato di essa che dà sulla Neva. Il portale si distingue per una elegante ed originale composizione che vede le due coppie di colonne ai lati dell’arco d’ingresso elevarsi sui piedritti sopra i quali due coppie di cassettoni ben proporzionati sembrano voler inscatolare la parte inferiore delle quattro colonne. La composizione è così fatta senza intento utilitario ma solo estetico, tuttavia l’impressione che se ne riceve è quella di un vigore costruttivo che si afferma pur non volendo abdicare alla levità lineare del neoclassico. Segnalo questo che può apparire come un dettaglio nella mutevole e vasta opera di Lvov per il fatto che in una variante dell’architettura a sfera per il tempio musicale di Alexander Scrjabin vista in uno scritto precedente, avevo disegnato il portale d’ingresso alla costruzione sferica proprio mutuando da Lvov il particolare delle colonne intervallate dalle due coppie di cassettoni. L’effetto, almeno nei miei schizzi, non era privo d’una propria eleganza nel congiungere il moderno costruttivismo della sfera agli obelischi ed al portale, in guisa di araldi dello stile neoclassico transitato indenne ed eguale a sé stesso attraverso il tempo.
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