Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Chi scrive d'arte come Sigfrido Bartolini oggi in Italia? Nessuno. È unico. Scomparso Giovanni Testori e troppo indaffarato in altre meritorie attività Vittorio Sgarbi, la sola prosa godibile e il solo giudizio di cui mi possa fidare è il suo. Lo dico da ignorante della materia, ma da persona che sa bene di quanto sia decisiva la poesia per sopravvivere in questo nostro mondo di poveri uomini. Senza bellezza sprofonderemmo. Ma essa dove sta? Una volta era chiaro in quali colori e in quali forme si offrisse a noi: Raffaello, Michelangiolo, Caravaggio. Ma adesso? Ne abbiamo perduto il filo.
Quello che viene spacciato per meraviglioso o persino sublime dall'accolita degli esperti ed è presentato in mostre altisonanti, dà pena. Il guaio è che oggi è spacciato per bello non solo il brutto ma anche lo sconcio, ma addirittura si rinuncia a questa ricerca “avanguardeggiando” fino ai confini del nulla. (È il trionfo dell'astrattismo, che però riesce ad essere molto concreto in fatto di denaro: lì è solido, comprensibile a tutti. E l'artista magari rinuncia ai valori della realtà quanto alle forme, ma è attaccatissimo al guiderdone che deriva dalla produzione di orinatoi in ceramica o pastrocchi insopportabili)
Io non saprei scrivere di quadri e incisioni, come tanti di voi che leggerete le pagine dopo le mie, ma le nostre madri ci hanno dato un certo istinto per il bello. Credo sia una faccenda della natura: chi non resta incantato dinanzi a un paesaggio alpino, o dinanzi alla Gioconda? Poi, come tanti, mi perdo nel ginepraio della cosiddetta arte contemporanea. Finché ho conosciuto e letto Bartolini. Ho scorso un suo articolo, ho paragonato quel che vi leggevo con quel che gli occhi trasferiscono al mio cervello, ed ho pensato: è lui. Non altri che Bartolini può essere la guida cui affidarsi per giudicare al volo se quel pittore mente o dice la verità, se c'è del vero in una esposizione oppure se vi si rintraccia qualche pietra preziosa.
Ecco l'ho scelto come prima firma quanto all'arte per i quotidiani che ho diretto. Dall' «Indipendente” fino a «Libero», passando persino per il settimanale «Il Borghese». Me ne vanto. Ho avuto fiuto. Ed ora, riprendendo tra le mani quanto ha scritto per le mie gazzette, capisco che la sua scrittura e i suoi giudizi reggono eccome. Hanno il pregio della nettezza. A volte della crudeltà. Ma non ce n'è altri che, come lui, abbia saputo strappare il velo alla “ Grande Impostura”.
Egli la intravede nel dominio assoluto di un mercato il quale ha trappato l'arte dalla vita, ne ha creata una parallela e lontanissima dal bello e dal vero, ma perfettamente funzionale al potere di una combriccola che gestisce la menzogna per arricchirsi e ricavarne potere. Se si accontentasse dei soldi, in fondo poco male. Il crimine vero è chi ci deruba di qualche cosa di essenziale, porta via l'anima. Bartolini parla di una “vera e propria mafia culturale”. Di essa fanno parte banchieri, finanzieri, marxisti, massonerie varie. La ragione sociale di questa società del malaffare, oltre al business, è di cambiare gusti e carattere dei popoli”.
Insomma, diabolicamente impossessarsi del nostro senso del bello, del buono e del giusto, “ recidendo le radici dei popoli”. Ce l'hanno fatta? Quasi. Bartolini ci aiuta a resistere.
Tratto da Introduzione a S.Bartolini, La Grande impostura, Firenze, Polistampa, 2001
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