Editoriale

Il caso dell'apertura del Colosseo e la necessità di riformare il sistema legislativo dei Beni culturali

Separare le carriere è il principio fondante di un sistema che possa funzionare non solo nella giustizia ma anche nella cultura, ma bisogna fare presto

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

osì alla fine il problema della chiusura del Colosseo lo hanno risolto la sovrintendente e due direttrici: garantiranno loro l'apertura del monumento più famoso al mondo.

Poiché però sono solo tre, in luogo dei cinque che sarebbero stati necessari, le entrate dei visitatori  saranno contingentate, non più di 3000 persone scaglionate in gruppi.

Non si può non apprezzare la scelta della sovrintendente, ma nello stesso tempo il salvataggio in extremis della "faccia" ridicolizzata dal rigore dei sindacati è il segno della sconfitta di un sistema. La sovrintendente ha fatto il suo dovere in un paese dove nessuno più si sogna di farlo a cominciare da chi lo governa, e quel che è peggio è il fatto di non poter ricorrere a nessuna soluzione alternativa se non quella che i dirigenti della sovrintendenza prendano il posto dei custodi.

In un paese che non fosse ostaggio dei sindacati dediti alla tutela dei già tutelati e indifferenti a tutti gli altri, in una situazione del genere si potrebbe ricorrere al personale volontario che supplisca in una situazione così grave.

E invece no. No, perché la burocratizzazione, che tutto governa, chiede una serie di adempimenti (assicurazioni, permessi ecc) che a loro volta posso essere assolti solo se previstiti con largo anticipo, ovvero l'esatto contrario di un'emergenza. Inoltre i sindacati non permetterebbero mai che dei volontari gratuiti assolvessero i compiti dei "volontari" pagati, considerandola una lesione grave del diritto sancito dal contratto. Il diritto di non far funzionare un istituto, qualunque esso sia e in qualunque situazione, diritto essenziale per garantire la propria tutela avendo a disposizione un'arma di ricatto.

Allora se così stanno le cose, se anche per una questione tanto semplice e minuta, come l'apertura di una sera del Colosseo, diventa un problema irrisolvibile di fronte al quale anche il ministro dei Beni culturali dice: ho le mani legate (e dunque se uno ha le mani legate e non può fare funzionare il ministero di cui è alla guida dovrebbe dimettersi), se così stanno le cose, come si può pensare di risolvere i problemi di questo paese? 

Di fronte a ciò lo slogan, separare le carriere, che non vale solo nel campo della giustizia ma ovunque, deve diventare legge. I ruoli del pubblico e del privato devono essere separati e chiari, lo Stato tutela e il privato valorizza, ma affinché il privato si impegni a investire nella valorizzazione dei beni culturali occorre una detassazione vera, e non fittizia come quella annunciata dal governo che di fatto è funzionale a "sfruttare" l'impegno del privato per un breve tempo concedendogli un bonus fiscale del 65% per un solo anno poi ridotto il successivo.

Il privato ormai non si fida più di uno Stato che detta regole a tempo, suscettibili di modifiche in corsa, tali per cui per fare "cassa", arraffare soldi ovunque si possa, si trasforma il sistema in qualcosa al limite della criminalità istituzionalizzata. 

Solo se i soldi spesi per la cultura potranno essere detassati totalmente e in maniera strutturale e definitiva si può sperare in un capovolgimento virtuoso che renda il nostro patrimonio in tutte le sue declinazioni (non solo per i grandi monumenti, ma anche per i piccoli archivi) un bene capace di generare ricchezza e farci uscire dalla crisi.

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