Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
opo il risultato delle elezioni europee, la verità in politica sembra profilarsi sempre più in maniera definitiva come la sommatoria di tutte le contraddizioni messe in campo dal più intelligente, in questo caso Matteo Renzi. La Verità, insomma, almeno per una buona parte del popolo italiano, la decreta chi la racconta meglio. Così, la fiducia degli elettori ancora una volta è stata riposta nella speranza e nell’azione (seppur tutta potenziale) di un uomo mandato della provvidenza. Il risultato del voto italiano somiglia - insomma - al Nobel dato dagli accademici svedesi ad Obama, un premio preventivo, un atto di fiducia. Più che una speranza, un’ipoteca sulla speranza.
Al di là dei trionfalismi in casa Pd, però c’è una lettura - a mio avviso in po’ più oggettiva - del dato elettorale. Quello squisitamente numerico, quello che non si ferma alle percentuali, di per sé esaltanti. Il Pd di Matteo Renzi ha ottenuto 11.172.861 di preferenze per 28.908.004 (58,68 %) di votanti. Un ottimo risultato relativo, non c’è che dire, visto che alle precedenti elezioni europee il Pd prese 7.980.455 su una base di 32.659.162 (66,46 %). A parte quell’8% di astenuti in più, circa due milioni e mezzo di italiani, che questa volta si sono astenuti, che già fa molto pensare (sarebbe interessante farne l’identikit, di questi elettori, che certo non sono il potenziale mercato del Partito democratico) c’è una considerazione, a mio avviso valida, sulle potenzialità del voto del centro sinistra in Italia che, con tutte le migliori intenzioni dei vari leader che si sono succeduti, non “schioda” da una oggettiva minoranza nel Paese e non va storicamente oltre i 12.095.306 ottenuti da Veltroni per 37.874.569 di votanti, che fanno l’80,51% dell’elettorato. (Per la cronaca, furono 8.646.034 i voti alle ultime politiche presi da Bersani su 35.270.926 votanti che costituiscono il 75,20% degli aventi diritto al voto).
Insomma, a parte che Veltroni rimane il miglior leader (senz’altro almeno dal punto di vista della performance elettorale, Matteo se ne faccia una ragione) che la sinistra abbia mai avuto, e a parte che egli sia una sorta di precedente quasi genetico di Renzi (solo ancora più Pop e più arrogante), c’è da segnalare, non con poco rammarico, ed anzi, con una certa rabbia, che ogni volta la sinistra in Italia vince lo fa per una debolezza del centro destra. E mai come in queste Europee si è visto un centro destra tanto inconsistente nella proposta, svogliato e diviso sul piano della progettualità e del rinnovamento.
Forza Italia è rimasta una ditta di imprenditore che fu geniale, ma che non è più in grado di puntare su altro che non sia un brand che fu di gran moda e che ora richiama solo gli aficionados (non è un caso se negl’ultimi giorni di campagna elettorale Berlusconi ha parlato soprattutto agli anziani), Fratelli d’Italia, poi, invece che puntare sull’elettorato in disaffezione del centro destra attraverso una politica più inclusiva, prima - tergiversando - s’è fatta sfuggire alcuni temi più propri dalla Lega di Salvini, poi l’ha rincorsa quasi confondendosi con questa. Il risultato è noto: sono mancati i voti decisivi proprio al Nord. Del Nuovo Centro Destra neanche ne parlo, perché finirei per dar ragione a Marco Travaglio e davvero mi pare una nemesi troppo pesante per me stesso.
Si, dunque, Renzi avrà pur vinto, anche se che se ne farà di questa vittoria è ancor tutto da capire. Chi ci crede che durerà fino al 2018 con il parlamento che si ritrova, ma quali riforme pensa di fare con l’esecutivo che s’è scelto? Lo scenario imminente pare chiaro: butterà sul tavolo due o tre proposte di riforme epocali che non riuscirà neanche a portare fuori dal suo studio di palazzo Chigi, ma che annuncerà con quel suo stile strombazzante urbi et orbi, poi, assai berlusconianamente, darà la colpa dell’irrealizzabilità a chiunque - Napolitano, parlamento, sindacati e alleati, magari perfino al Costituzione - e al primo pretesto andrà a elezioni, chiedendo un ulteriore atto di fede ad un popolo sempre più disperato e sempre più speranzoso. Qualsiasi sia la legge elettorale, tanto, l’Italicum - s’è ben capito - è un altro mero strumento di moina politica, di veti e di alleanze variabili.
Eppure, a ridosso di quest’ultima tornata elettorale, se c’è una cosa chiara che si comprende, incrociando un po’ di numeri e qualche idea che nasce quasi spontanea, è che nel versante del centro destra, che è - ripeto - più che potenziale maggioranza, ci sono spazi che assomigliano a praterie. Solo una classe dirigente - tanto politica che della cosiddetta società civile - senza acume può tramutarli in deserto. E in un ventennio futuro targato Matteo Renzi, l’uomo che ha saputo trasformare la verità in un concorso a chi la racconta meglio.
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