Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un addio davvero indovinato. L’amore delle tre melarance , del musicista russo Sergei Prokofiev, si è rivelata un’opera quanto mai idonea per chiudere il sipario sul gloriosissimo Teatro Comunale di Firenze, che cede ormai completamente il passo a un teatro dell’opera nuovo di zecca. Sabato l’ultima replica, poi il silenzio.
Il Teatro Comunale di Firenze, grazie soprattutto al festival del Maggio Musicale, è stato infatti uno dei maggiori protagonisti del Novecento musicale europeo. Ed è davvero arduo immaginare qualcosa di più “novecentesco” della bellissima , colorata e pirotecnica messa in scena del regista Alessandro Talevi, il quale aveva affermato per l’appunto che “ci sono opere di repertorio che si potrebbero definire opere del regista, inserendo il capolavoro di prokofiev tra queste. Ed ha avuto perfettamente ragione perché, senza nulla togliere alle musiche scintillanti e tipicamente proto novecentesche del compositore russo, eseguite peraltro con straordinaria vivacità e intensità da una grande orchestra diretta davvero “magistralmente” da Juraj Valcuha., la regia ha fatto la parte del leone. Una musica che si inquadra perfettamente ne clima dei primi decenni del secolo scorso, squassati dalla tragedia immane del primo conflitto mondiale, ma eccezionalmente fertili dal punto di vista culturale, con il fiorire di avanguardie in tutti i settori dell’arte decisi - almeno a parole – a far piazza pulita del passato per aprire sentieri inaspettati del tutto inediti.
“Sognavo di comporre delle opere con delle marce, delle tempeste, delle scene terrificanti, e invece mi volevano insegnare delle regole” Parola di Prokofiev, che esprimeva così il suo rifiuto per il modello tradizionale dell’opera, tanto quella romantica che quella russa stile Rimskij Korsakov ed epigoni. E’ il perfetto identikit delle Melarance: e in un'opera che è senza dubbio “visiva e gesticolante” e che presenta non pochi punti di contatto con il balletto e la pantomima (una concezione che potremmo definire “futurista” anche se certo con una maturità e una dimensione artistiche sconosciute al nostro futurismo teatrale e musicale) il rapporto e canto e orchestra, si risolve favore della seconda, che a Firenze ha saputo per l’appunto essere perfettamente all’altezza della situazione. Questo senza togliere nulla alla bravura di tutto il cast dei cantanti e anche della performance davvero straordinaria del coro, anche sul piano della recitazione.
Ma non c’è dubbio che il meccanismo ordito da Talevi abbia funzionato alla perfezione, grazie anche alle bellissime scene di Justin Arienti e ai divertenti costumi di Manuel pedretti. E’ un vero e proprio spicchio di Novecento quello che in scena al Maggio; sin dal Prologo, con i Tragici, i Lirici e i Comici e le Teste Vuote che portano le “divise” dell’epoca, bolscevichi e russi bianchi, francesi e britannici; un mago Celio che ricorda incredibilmente (sarà un caso?) Filippo Tommaso Marinetti e una fata Morgana che sembra più una chanteuse che non una attempata, rispettabile megera: per non parlare dell’aspetto innegabilmente “da Kaiser” del re e del principe ereditario. “ Nella mia produzione ho fatto riferimento alla esperienze personali di Prokofiev e guardato alla sua visione del mondo del 1918, disegnando paralleli tra alcuni personaggi dell’opera e quelli che esistevano nel mondo reale” dichiara il regista.
Ne viene così fuori un brillantissimo pastiche che è nello stesso tempo originale e del tutto rispettoso delle intenzioni dell’autore, con figure e figurini che ricordano per certi aspetti quelle dei nostri nonni e bisnonni nei primi decenni del secolo scorso: dal signor Bonaventura a curiosissimi personaggi geometrici, alla eccezionale figura “gallinacea” della terribile cuoca – orca assassina che perde tutta la sua grinta davanti a un nastro elegante. Difficile davvero trovare una cornice più idonea per una musica indiavolata e travolgente che non ignora il fascino del jazz (non per nulla ebbe la prima a Chicago) ma che resta sicuramente l’esempio di una eccezionale e forse troppo breve stagione europea. Da non perdere assolutamente l’ultima replica, sabato 7 alle 15,30.