Lampi di gioventù

‹Dalla parola alla pietra› Raccontare Michelangelo

Esperienze mistiche: meditazioni nel giardino di San Marco

di Niccolò Andreotti

‹Dalla parola alla pietra› Raccontare Michelangelo

Introduzione: alla scoperta del giardino

La risaputa e proverbiale voracità collezionistica di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo il Magnifico si esprimeva con maggior forza nelle sale, nel cortile e nel giardino del palazzo di via Larga (oggi via Cavour) e nel giardino che si affacciava su piazza San Marco. Qui Lorenzo, vero cultore dell’antichità, esibiva la propria vasta collezione ai personaggi importanti e permetteva l’accesso agli artisti scelti dal maestro Bertoldo, l’allievo prediletto di Donatello. Fra questi è documentata dalle due biografie coeve di Giorgio  Vasari e Ascanio Condivi la presenza del giovane Michelangelo a partire dai suoi quindici anni fino a qualche anno dopo la morte di Lorenzo. Oltre alla Madonna della scala e alla Battaglia dei centauri è possibile che il Buonarroti  abbia scolpito durante quegli anni la colossale statua di Ercole, più tardi venuta in possesso di Filippo Strozzi, per Piero de’ Medici.

L’incontro di Michelangelo con Lorenzo de’ Medici è uno di quegli appuntamenti del destino che segnano per sempre la vita di ciascuno: la permanenza dello scultore nel giardino gioca infatti un ruolo fondamentale in tutta la sua esperienza: qui nasce il suo legame con Donatello, momento cruciale agli inizi della sua carriera, e qui trova in Lorenzo un nuovo padre.

L’esperienza di uno dei maggiori geni dell’arte mondiale di tutti i tempi lo conferma: Lorenzo nel giardino coltivava artisti in un modo assolutamente inedito fino a quel momento, riconoscendoli membri della famiglia e incoraggiandoli ad emulare gli esempi antichi.

È proprio verso la scoperta di questo prolifico circolo di idee che vede protagonisti signori come Lorenzo, filosofi come Marsilio Ficino, letterati come Poliziano e artisti come lo stesso Michelangelo che ho deciso di immaginare in una impossibile ma “rivissuta” giornata all’interno del giardino, fra il caratteristico filare dei cipressi, l’ombra del portico e gli immensi capolavori michelangioleschi. Nessuna frase può aprire questo mio lavoro come quella di Albert Castelnau riportata da Arnaldo Della Torre:

“ Seduti fianco a fianco, due convitati discutono con passione. Il primo ha 28 anni, testa bionda con grazia femminea, col sorriso di un ideale colmo di fascino; il secondo è un adolescente,  figura titanica con la barba già rude e folta. L’uno già famoso si chiama Pico della Mirandola; l’altro, scultore sconosciuto, protetto da Lorenzo il Magnifico, Michelangelo Buonarroti.”[1]

 Mattina: Ficino parla, Michelangelo ascolta

È l’alba ma nel palazzo di via Larga  del Magnifico non dorme già più nessuno. In una grande sala dove i libri sono ben allineati sugli scaffali un bel fuoco scoppietta, le lampade di ottone sono accese e si sono appena aperte le discussioni di Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino, del Poliziano e del Benivieni animate e stimolate da Lorenzo. In silenzio entra il giovane Michelangelo che si sistema appartato, quasi nascosto: il suo arrivo non sembra suscitare alcun interesse fra i membri dell’Accademia. Invece lui si nutre senza saperlo delle più alte illuminazioni della scuola neoplatonica. Si aprono così allo scultore le porte di un mondo sconosciuto e meraviglioso, dove l’uomo ricerca e ritrova una sua nuova e insospettata dignità, dove il mondo classico diventa una realtà che ha una perfetta rispondenza nella vita attuale anche per lui che non ha mai studiato il latino e il greco con il suo maestro di infanzia Francesco da Urbino.

Le loro alte discussioni si muovono sempre intorno a quattro temi: la luce, la bellezza, l’amore e l’anima. Quattro temi che Michelangelo ha intuito nel suo silenzio essere strettamente legati: riportano tutti a Dio.

È il concetto di bellezza che Ficino esprime a stregare il giovane più che ogni altro: “La bellezza è un certo splendore che l’animo umano a sé rapisce” [2]. Per il canonico la bellezza dei corpi non è cosa corporea ed è proprio ispirato dalle sue parole che Michelangelo inizia a crearsi quello standard sublime che sarà l’eroe michelangiolesco.

Ma nella stessa sala si discute anche di amor celeste e terrestre, di Eros e Psiche, si leggono il Convito di Platone, il Pimandro di Ermete Trismegisto, le Enneadi di Plotino. 

Oggi l’Accademia disserta in particolare sull’Idea e sul Concetto, non in termini astratti, ma con riferimenti accessibili a tutti. Prende la parola Ficino:

“ Prendiamo questo sasso. Lo vedete? È un pezzo di pietra, informe, non rappresenta nulla. Eppure qui dentro è racchiusa un’ idea, è imprigionata una forma. Basterebbe che uno scultore levasse a poco a poco, con sapienza, tutto ciò che è ”di più” e ne verrebbe fuori, anzi, libererebbe, una statua meravigliosa. Non è con le mani, amici miei, che si dipinge o si modella, ma con l’intelletto!”[3]

Michelangelo rimane folgorato. Condivide in silenzio queste affermazioni e decide di farne prova il pomeriggio stesso sul sasso negli Orti di San Marco.  Se ne ricorderà anche molti anni dopo in uno celebre sonetto:

 

“Non ha l’ottimo artista alcun concetto

c’un marmo solo in sé non circonscriva

col suo superchio, e solo a quello arriva

la man che ubbidisce all’intelletto.”[4]

 Pomeriggio: primi passi nell’orto delle meraviglie

È venuto il momento di cimentarsi su un tema. Quale? Un tema della mitologia o della storia greca, decretano gli accademici.  Poliziano e Pico della Mirandola passano in rassegna tutti gli episodi, anche quelli più sconosciuti. Michelangelo si perde e con la fronte vergognosa e bassa sussurra: “Sono argomenti di cui non mi intendo”.  “Ti istruiamo noi sul mondo greco e sulla sua cultura” lo rincuorano. Altri temi vengono proposti e illustrati finché Lorenzo non interrompe la discussione: la ricerca e la scelta del tema dovranno spettare solo a Michelangelo.

Lo scultore si sente onorato ma al tempo stesso caricato di grandi responsabilità: Lorenzo crede in lui, non può deluderlo.

Ha passato lunghe ore copiando le opere dei grandi maestri ma adesso è lui che deve scegliere.

“Sento molto la Madonna – riflette -  È l’unica immagine che ho di mia madre”, così Michelangelo esce dall’incertezza: raffigurerà Maria mentre allatta il bambino proteggendone il corpo con le sue vesti. Sarà la Madonna della scala, sarà il primo lavoro di Michelangelo pervenutoci.

Michelangelo entra così nel giardino con le idee ben chiare. Non realizza neppure dei disegni preparatori, ma ha bisogno di trovare il marmo su cui lavorare: sarebbe forse possibile concepire un’opera di scultura senza conoscere la materia in cui deve materializzarsi? Così Michelangelo prega Bertoldo: lavorerà meglio quando avrà il marmo a portata di mano, in modo da poterlo vedere, toccare e studiare nella sua intima struttura. I due si dirigono verso Fiesole. Michelangelo osserva con attenzione tutti i blocchi, si ferma improvvisamente e chiama Bertoldo: “Eccolo! Questo fa al caso mio”. E’ un pezzo di dimensioni modeste ma di una bianchezza scintillante. Michelangelo ci versa dell’acqua per scoprire eventuali crepe, lo batte con il martello, lo esamina per ogni verso poi quasi ordina a Bertoldo: “Fissa il prezzo”. Tornato fiero con il marmo Michelangelo si sistema sotto la tettoia: adesso vuole lavorare in pace, al riparo da ogni sguardo e ascoltando solo le martellate degli scalpellini: per lui non c’è al mondo melodia più gradevole. Il blocco contiene già le forme che Michelangelo cerca,  Dio stesso le ha poste costrette nel marmo, lui dovrà solo liberarle e il tempo non gli manca: Lorenzo non commissiona, non promette denaro e non chiede nulla bensì lo stimola. I colpi del giovane sono netti, decisi e scanditi da un ritmo costante, mai incerto. Vederlo all’opera è uno spettacolo: nascosti dietro ai cipressi a osservarlo in silenzio sono in tanti. Bertoldo lo chiama ripetutamente, lui non si volta neppure: “È come voler fermare il mare in tempesta” lo consola Lorenzo sorridente.

 Sera: Lorenzo passeggia nei giardini

Sono trascorsi alcuni mesi dai primi colpi di scalpello del Buonarroti e tante forme sono state liberate dal marmo. Lorenzo è solito passeggiare al tramonto nei suoi giardini ammirando il frutto della sua generosità. Procede lento, con le mani dietro la schiena e il volto pensieroso: sa che è afflitto dallo stesso morbo che portò via suo padre a quarantotto anni, lui ne ha quarantatre. Le temps revient,  il tempo si rinnova, era stato in gioventù  il suo fiero motto personale, ma ormai, invece del doman non c’è certezza.  Ha perso ogni speranza di guarigione e tutti in città seguono con trepidazioni il decorso della sua malattia ma mai, neppure un giorno, ha rinunciato alla  silenziosa venerazione delle opere di Michelangelo, di suo “figlio”. Ecco la Testa di Fauno: Lorenzo ricorda, è il primo frutto del giovane artista, forse ispirato, a Lorenzo piace pensarlo, al corteo di ninfe e satiri del suo trionfo di Bacco e Arianna, al volto  d’anni e carne pieno del suo Sileno;  Michelangelo impiegò tre notti per la sua realizzazione e per tre giorni l’aveva tenuta nascosta sotto a un telo. Lorenzo fissò quel vecchio, le sue labbra sorridenti e le pieghe del suo volto. Nota ancora una volta come nel fauno la vecchiaia sia la maschera dietro alla quale si nasconde la gioventù: più che rughe di un vecchio queste pieghe sembrano studiate grinze di un volto giovanile. Le sue rughe e le grinze di Michelangelo nello stesso blocco di marmo.  Lorenzo sospira e passa avanti. Poco avanti si ferma davanti alla lastra marmorea della Zuffa dei Centauri: pensa ai discorsi sull’antico dei suoi accademici, a come questi abbiano aperto gli occhi a Michelangelo e guidato la sua mano. Poliziano in particolare lo spronava di continuo: quante volte lo aveva sentito narrare al giovane i classici appositamente tradotti per lui, in particolare quella continua trasformazione di ogni cosa che sono le Metamorfosi di Ovidio;  e fu proprio lui a raccontargli “tutta la favola del ratto di Deianira e della zuffa de’ Centauri”. Il giovane si mise subito a “farla in marmo”. [5] L’emulazione dell’antico, la bellezza Divina del corpo umano in movimento e la raffinatezza delle proporzioni: Lorenzo pensa che a quest’opera non manchi nulla, che Michelangelo sia riuscito non solo ad imitare ma addirittura a superare gli esempi precedenti. Ma il Buonarroti aveva inteso bene la lezione di Poliziano,  non per nulla autore di Orfeo, in cui il sommo cantore finisce sbranato dalle baccanti. E in quest’opera uomini e mostri non sono separati, in una dimostrazione frenetica di come lussuria, ubriachezza e furia omicida non portino altro che al caos, ovvero all’opposto dell’armonia e della compostezza. Forse si era ricordato di quello che più volte aveva affermato il dotto e un po’ pedante Marsilio (Lorenzo si lasciò sfuggire un sorriso): “ la materia, ricorda il divino Platone, è impura e irrazionale, compresa quella che compone il nostro corpo”. [6] Ma  il giovane scultore ricordava ai maestri:  “Ci sono duemila anni fra noi e i greci, pretendo di essere diverso da loro.”

 Conclusione:

Ormai è tardi e fa freddo, Lorenzo è sempre più debole e deve tornare nelle sue stanze. Spera tanto che quella di oggi non sia la sua ultima passeggiata nel giardino.

L’aria degli Orti Michelangelo la respirerà per tutta la vita, anche lontano da Firenze. Anche quando diventerà il primo degli artisti al servizio di Giulio II lo scultore non dimenticherà mai le giornate  in Accademia. È questa la magia di una vera scuola. Una scuola che ti forma senza plagiarti, che ti indirizza senza coercizione, basata su un rapporto tutto speciale: quello fra allievo e maestro. Un allievo come Michelangelo rispettoso e affamato di conoscenza, convinto che solo solide fondamenta possano sorreggere maestosi edifici. Maestri come Ficino e Poliziano: preparati ma mai saccenti e arroganti, guidati dalla volontà di trovare chi ispirandosi ai loro insegnamenti possa dirigersi verso nuovi orizzonti, a partire dal passato per modellare il futuro.  Sono tanti nella storia gli esempi di questa sintonia perfetta, esempi che  possono e devono farci riflettere sul tipo di scuola che oggi ci viene proposto ricordando sempre che poca favilla gran fiamma seconda.

 

BIBLIOGRAFIA

Arnaldo DELLA TORRE, Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Firenze, Carnesecchi, 1902.

Ascanio CONDIVI, Michelangelo : la vita raccolta dal suo discepolo Ascanio Condivi ; revisione, introduzione e note per cura di Paolo D'Ancona, Milano, Cogliati, 1928.

Alessandro PARRONCHI, Opere giovanili di Michelangelo, Firenze, Olschki, 1968.

Ernst H. GOMBRICH, “ Il mecenatismo dei primi Medici” in Norma e forma : studi sull'arte del Rinascimento Torino, Einaudi,  1973, pp. 51 – 83.

AA. VV. Il giardino di San Marco: maestri e compagni del giovane Michelangelo : Firenze, Casa Buonarroti, 30 giugno-19 ottobre 1992 / a cura di Paola Barocchi, Cinisello Balsamo : Silvana, 1992.

Eugenio GARIN, L’Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1998 (1° ediz. 1952).

Bruno NARDINI, Michelangelo, biografia di un genio, Firenze, Giunti, 2000.

Cristina ACIDINI, Michelangelo scultore,  Milano : 24 ore cultura : Motta, 2010.

John T. SPIKE, Il giovane Michelangelo. La nascita di un genio, Roma, Elliot, 2011.

Irving STONE,  il tormento e l’estasi. Il romanzo di Michelangelo, Milano, Corbaccio, 2013 (1°ediz. 1996).



[1] Arnaldo DELLA TORRE, Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Firenze, Carnesecchi, 1902 ,pp. 2-3.

[2] Marsilio FICINO, Convito, in Alessandro PARRONCHI, Opere giovanili di Michelangelo, Firenze, Olschki, 1968, p. 43.

[3] Bruno NARDINI, Michelangelo, biografia di un genio, Firenze, Giunti, 2000, p. 17.

[4]Michelangelo BUONARROTI, Rime, 151, in B. NARDINI, Michelangelo, cit. p. 18.

[5] Ascanio CONDIVI, Michelangelo : la vita raccolta dal suo discepolo Ascanio Condivi ; revisione, introduzione e note per cura di Paolo D'Ancona, Milano, Cogliati, 1928, p. 46.

[6] John T. SPIKE, Il giovane Michelangelo. La nascita di un genio, Roma, Elliot, 2011, p. 60.

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