Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Presidente Alleanza per il Lavoro Network
span style="text-align: justify;">Dopo i recenti scandali emersi dalla vicenda Expo, una nuova inchiesta giudiziaria esplode e scoperchia un caso degno della peggiore tangentopoli.
Il caso Mose scuote e fa tremare i palazzi di potere della Serenissima trascinando nel vortice esponenti di spicco del mondo politico, imprenditoriale, manageriale e chi più ne ha più ne metta. 100 indagati e 35 provvedimenti restrittivi (25 in carcere e 10 agli arresti domiciliari) per un affare di fondi neri e triangolazioni di denaro di ben 25 milioni di euro.
Arresti domiciliari quindi per l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, l'ex magistrato contabile Vittorio Giuseppone e il Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, scattate, invece, le manette per l'assessore regionale alle infrastrutture, l'ex generale delle fiamme gialle oggi in pensione ma anche consiglieri politici, manager e assidui frequentatori di salotti buoni della finanza del nordest.
Non solo cattiva politica, ma un sistema integrato e pluridiramato di corruzione e malaffare legata alla più grande opera pubblica italiana, il Mose. L'enorme sistema di dighe galleggianti sorto per difendere Venezia dall'acqua alta. Più di 26 anni dalla presentazione del prototipo (era il 1988) ad oggi, e un costo che, nel corso di questi anni, è salito con destrezza tra grovigli di interesse e di favori reciproci da 1,3 a 5 miliardi di euro.
Evidentemente nemmeno gli scandali di “mani pulite” sono serviti, non dico a “pulire” le coscienze (sarebbe stato forse chiedere troppo) ma almeno a spaventare i soliti personaggi.
Invece no, come se nulla fosse accaduto, si ripropongono sempre i soliti nomi, magari in compagnia di nuove reclute assoldate sulla base delle ultime spartizioni politiche del potere e delle "mazzette".
Nel suo editoriale Gian Antonio Stella denuncia un dato interessante: nelle nostre carceri i detenuti per reati economici e fiscali sono solo lo 0,4%, percentuale dieci volte più bassa rispetto alla media europea e 55 volte in meno di quelli detenuti nelle carceri tedesche. E' chiaro che mentre in Germania i colletti bianchi, macchiati di reati come corruzione e concussione, finiscono dentro (e ci rimangono) da noi, molto spesso, non si fanno neanche un giorno di galera, anzi sono lasciati liberi di agire indisturbati e di organizzare ancora meglio le proprie “opere future”.
Di fronte a questo scenario imbarazzante come dovrebbe sentirsi un cittadino-imprenditore corretto e irreprensibile che tira avanti onestamente, nel rispetto delle leggi, pagando fino all'ultimo centesimo di tasse? Sapendo dove finiscono i nostri soldi, con quale stato d'animo questo imprenditore potrà pagare la prebenda dovuta allo Stato - socio di fatto delle nostre aziende - a prescindere dal bilancio societario?
Eppure siamo figli di persone che ci hanno trasmesso come valori imprescindibili ed essenziali, l'onestà e il rispetto delle regole e pagheremo quelle tasse a testa alta, sapendo bene di appartenere ad una minoranza. Anche perché, come ama ripetere un mio amico, si tratta di un principio “estetico” e di reputazione. Un tempo quando una famiglia veniva investita da uno scandalo, nel migliore dei casi i componenti preferivano cambiare città, scuola e lavoro, nei casi peggiori il colpevole arrivava a suicidarsi per lavare col sangue l'onta della vergogna. Oggi invece, grazie misteriosi meccanismi di riciclo, siamo fortunati se non fondano un partito!
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