Editoriale

​Padre, marito e assassino, così un uomo si trasforma in un mostro disgustoso e spaventevole

Non definitelo bestiale, solo gli uomini sanno compiere atrocità tali, in nome della conquista della propria libertà

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

ifficile da digerire, impossibile accettarlo; l’unica sensazione che si prova è disgusto e paura. Sabato sera una donna di 38 anni e i suoi due figlioletti di cinque anni e di venti mesi sono stati barbaramente trucidati. La donna è stata colpita ripetutamente con un coltello e lasciata morire per dissanguamento, i piccoli sono stati presi per il collo e accoltellati, forse essendo così piccoli sono morti velocemente (speriamo).

Il delitto è avvenuto poco prima della mezzanotte, quando sarebbe scesa in campo l’Italia per la prima partita dei mondiali contro l’Inghilterra; l’assassino, ora lo sappiamo, dopo aver compiuto il massacro si è lavato, ha allestito una scena che rendesse credibile la rapina mettendo a soqquadro la casa e aprendo la cassaforte per far sparire i pochi contati che vi erano conservati.

Quindi si è chiuso la porta alle spalle ed è andato a guardare la partita con gli amici.

Già, perché l’assassino, il mostro di questa storia, colui del quale si era detto in un primo momento che si fosse salvato dalla mattanza grazie a quella provvidenziale partita che lo aveva portato fuori casa, ha un nome un cognome e soprattutto una parentela con le vittime, si chiama Carlo Lissi, non scordatevi questo nome, egli è il padre e marito delle vittime.

Carlo Lissi non è solo un assassino, è un idiota, un criminale con l’aggravante della stupidità acuta, non riesce neppure ad avere la “grandezza” della malvagità, il suo segno negativo non è un numero di grandezza esponenziale parametrato sull’orrore del delitto, ma è prossimo allo 0 inteso come niente.

Ha confessato Carlo Lissi, ha detto che  considerava la famiglia un ostacolo. Ha raccontato che si era innamorato, non corrisposto, di un’altra donna che lo aveva rifiutato.

Chissà magari verrà fuori che questo idiota, cui la sorte troppo benigna (è proprio vero che la fortuna è cieca e beneficia chi non lo merita), aveva regalato una famiglia perfetta: una brava moglie, e due figli sani, belli, sereni, e nessun problema economico in tempi in cui la disperazione falcia la serenità di tante famiglie, verrà fuori che la moglie più grande di lui di 8 anni gli provocava uno stato di disagio come quello della sudditanza psicologica da un genitore.

Lui non era soddisfatto, voleva forse “nuovi stimoli”, di solito gli uomini stupidi non sanno apprezzare quel che hanno, cercano altro, soprattutto non vogliono responsabilità, vogliono sentirsi liberi e leggeri, non pianificano il futuro, distruggono il presente per insofferenza momentanea che essi definiscono definitiva e irrevocabile come accade a chiunque teorizzi il vivere alla giornata (da non confondere con l’oraziano Carpe diem che significa vivi intensamente in momento senza farti distogliere dal pensiero del futuro) per sottrarsi ai doveri del domani.

Quell’uomo aveva corteggiato una collega (a quanto riferiscono) e ne era stato respinto. Chissà, magari la donna per non umiliarlo gli aveva detto quello che in questi casi si dice «Tu sei sposato, hai una famiglia, dei figli, no, guarda non è proprio il caso».

O forse se lo è figurato lui che il rifiuto fosse dovuto al suo status di marito e padre, non lo sappiamo e non lo sapremo mai perché dal momento della confessione (alla fine della quale pare che abbia invocato per sé il massimo della pena!) entrano in campo gli avvocati che, a meno di colpi di scena, cercheranno di invocare per il loro cliente l’infermità mentale, magari temporanea.

Avranno ragione a farlo perché senza dubbio l’idiozia e la stupidità sono stati alterati della mente, chiunque compia una stupidaggine, piccola o grande che sia, dimostra un malfunzionamento temporaneo dell’intelligenza (intesa in senso etimologico di intelligere, capire quel che si fa e quel che non si può fare).

Se passiamo con il semaforo rosso, se mettiamo il sale a posto dello zucchero nel caffè o ci laviamo i denti con la schiuma da barba al posto del dentifricio che è giusto lì vicino, siamo anche noi vittime di un momentaneo mancamento di attenzione e dunque di “intelligenza” che comunemente chiamiamo “distrazione”, e se lo facciamo consapevolmente, il fatto stesso di compiere un atto proibito o stupido è ugualmente indice di malfunzionamento dell’intelligenza stessa. Non per questo possiamo essere definiti irresponsabili, ovvero non imputabili della mancanza e dunque tali da non doverne subire le conseguenze.

Giustamente si potrebbe obbiettare che la temporanea infermità mentale non significa essere assolti, ma semmai una riduzione della pena e una terapia adeguata. Bene per la terapia, ma non per la riduzione della pena perchè essa dovrebbe valere per chiunque si macchi di qualunque crimine che come tale compiuto per consapevolezza criminale o per leggerezza denuncia un black out intellettivo.

A questo punto vedo già gli psicologi e gli addetti ai lavori della psiche sbottare inorriditi che queste sono semplificazioni inaccettabili. Può darsi, ma quel che dovrebbero chiedersi è come possa invece essere accettabile che un uomo di 31 anni massacri la famiglia e vada a godersi la partita con gli amici dopo aver simulato una rapina.

Ovviamente non è accettabile.

Fin qui il disgusto di cui parlavo all’inizio.

Veniamo alla paura. La mattanza compiuta da un uomo normale, e sottolineo il “normale” fa più paura di un atto criminale compiuto a scopo di rapina, o commesso da un serial killer patologico, da una persona malvagia, o disperata.

Carlo Lissi era una persona normale che improvvisamente ha deciso di liberarsi del peso della responsabilità di una famiglia che evidentemente costituiva per lui un legame insopportabile, e lo ha fatto nel modo più veloce e definitivo.

Divorziare avrebbe voluto dire liti, lungaggini, trovarsi un’altra casa (quella dove viveva era della moglie), troppo estenuante per chi non vuole responsabilità, per chi vuole tutto subito senza pagare pegno per le proprie scelte (giuste o sbagliate che siano)

La storia della famiglia di Motta Visconti fa paura perché potrebbe essere la nostra storia di famiglie “normali”, in tempi in cui la teorizzazione del tutto e subito, del diritto alla felicità (ovviamente malintesa, ma all’origine del male c’è sempre il malintendimento), della ricerca di nuovi stimoli, sensazioni frizzanti, effervescenza al posto di serena stabilità è diventata il dio sul cui altare sacrificare anche due creature innocenti.

E vi prego, escludete l’aggettivo “bestiale” per definire l’orrore di questa vicenda, atrocità di questo genere sanno compierle solo gli uomini. 

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