Editoriale

L'automitografia di Francesco Piccolo che desidera la purezza dei perdenti, ma vuole vincere lo Strega usando Berlinguer

Il desiderio di essere come tutti è la fotografia della sinistra intellettuale che vuole piacere contro la volgarità del vincente berlusconiano

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

lla vigilia della votazione per la cinquina dello Strega lo davano tutti per vincitore o tutt’al più impegnato in un duello all’ultimo voto con Padre infedele  di Scurati (Bompiani). Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo era considerato in pol position per conquistare il maggior numero di consensi. Poi è accaduto che i voti dei giovani delle scuole, quest’anno allargati a un numero considerevole, ha incoronato Catozzella e il suo Non dirmi che hai paura; il risultato, uscito il giorno prima del voto per la cinquina, e rilanciato con grande enfasi, da tutti i giornali ha influenzato i votanti di casa Bellonci e Francesco Piccolo è finito, insieme a Scurati, dietro Catozzella,  che ha messo una pesante ipoteca sulla vittoria finale.

Il 3 luglio nel Ninfeo di Villa Giulia sapremo come andrà a finire, noi, mentre i telefoni dei 400 amici della domenica si fanno roventi per le chiamate di sostegno e raccomandazione di uno dei cinque in gara, vogliamo parlarvi del libro di Piccolo.

Si fa molta fatica a definire romanzo Il desiderio di essere come tutti, piuttosto si dovrebbe parlare più propriamente di automitografia di un cinquantenne di sinistra che cerca di spiegare al lettore, in termini narrativi, quello che Luca Ricolfi aveva spiegato in un fortunato pamphlet, Perché siamo antipatici. La sinistra e il complesso dei migliori.

Il personaggio che dice “io”, corrispondente all’autore del libro, ci racconta un quarantennio di storia che lo riguarda (prima dei 10 anni i ricordi sono ovviamente troppo sfumati per essere significativi), intrecciata con la relativa storia d’Italia. Autobiografia e storia vengono lette attraverso il concetto di purezza per quanto riguarda la disposizione etica del protagonista e offerte al lettore attraverso le figure di Berlinguer (ovviamente la purezza) e di Berlusconi (altrettanto ovviamente l’impurità).

L’autore confessa di essere diventato di sinistra il giorno in cui la scalcinata squadra della Germania est, contro tutte le previsioni, batté la potente compagine della Germania in una partita dei mondiali negli anni ’70. Il piccolo Francesco confessa la propria ingenua e quasi irrazionale attrazione per quella squadra senza chance di vittoria – chiaramente malmessa, povera, le cui monture degne di un campionato parrocchiale, creano un contrasto stridente con la più fortunata avversaria– che con un colpo di bravura ribalta il risultato già scritto.

La Germania dell’est versione calcistica diventa per lui il simbolo della rivincita del povero contro il ricco, anzi no, della rivincita del perdente contro il vincitore. E così confessa al lettore che infondo gli sconfitti, o coloro che vengono considerati tali anche se poi possono godere di un colpo di fortuna, diventano i suoi beniamini.

Si potrebbe anche essere d’accordo con Piccolo, se la sua analisi sul concetto di “sconfitta/o” non naufragasse in una superficialità, accettabile nelle chiacchiere da salotto, ma imperdonabile se adottata da un intellettuale che al tema dedica un libro.

Leggendo le pagine di Il desiderio di essere come tutti, Piccolo mi ha fatto tornare alla mente quando alla fine degli anni ’60 primi dei ’70 (non ricordo con precisione) i preadolescenti di 10-11 anni si schieravano a favore di Titti e contro Gatto Silvestro e viceversa. La maggioranza dei bambini parteggiava ovviamente per l’uccellino giallo che riusciva sempre a sfuggire agli agguati del pasticcione gatto di casa; una minoranza risicatissima, ma assai supponente e orgogliosa del proprio essere controcorrente, stava con gatto Silvestro proprio perché era un perdente, cioè alla fine una vittima, di quel canarino furbetto.

In effetti, Gatto Silvestro alla fine era più simpatico rispetto a Titti, faceva tenerezza, alla lunga Titti  indispettiva: quel cavarsela sempre, col ghigno tipico privo di compassione che hanno coloro che stanno senza dubbi dalla parte vincente (la nonnina alla fine premiava il già vittorioso uccellino e menava con la scopa in derelitto gatto incapace).

Non so se quei bambini, sulla falsariga di Piccolo, dopo aver scelto gatto Silvestro come proprio eroe siano diventati di sinistra, può darsi, ma certamente non per amore degli sconfitti.

Già perché la nobiltà della sconfitta, che Piccolo con una piroetta dialettica assai discutibile ascrive al campo della purezza della sinistra, è quanto di più distante filosoficamente ed eticamente dalla sinistra stessa.

Per lo scrittore la sinistra “pura” di Berlinguer, prima e dopo la morte del leader, ha costantemente corteggiato la sconfitta. Sconfitta scelta nella decisione di opporsi alla revisione della scala mobile voluta da Craxi, sconfitta subita con il fallimento del compromesso storico dopo il rapimento di Moro, sconfitta cercata da Bertinotti non votando la fiducia a Prodi. Se Renzi avesse potuto scrivere un capitolo di questo libro avrebbe sicuramente inserito anche la sconfitta di Bersani smacchiatore di giaguari.

Una sinistra “pura”, nelle pagine di questo libro, che sceglie o comunque accetta la sconfitta.

Il lettore –che non si faccia trascinare dalla prosa senz’altro gradevole di Francesco Piccolo e rifiuti di adeguarsi alla superficialità dell’assunto proposto – si accorge immediatamente che qualcosa non torna.

La sconfitta della sinistra di cui parla lo scrittore attiene ad un mero calcolo di voti nelle urne, non ha niente a che vedere con quell’incipit etico dello stare dalla parte di chi è più debole. La sinistra perde le elezioni per errate manovre di palazzo, per interessi incrociati dicibili o indicibili. La sinistra perde perché non sa intercettare una politica che dia agli italiani una speranza che sappia tradursi in fatti.

Per il resto la sinistra è più simile a Titti o alla squadra della Germania dell’ovest casualmente battuta da quella dell’est.

Francesco Piccolo non è uno dei giocatori in campo con la maglia logora e priva di lustrini, Francesco Piccolo, che ha scelto di contemplare la politica agendo in campo culturale, milita di fatto fra i vincenti  perché la cultura, dal tempo in cui la Democrazia Cristiana ne cedette la gestione alla sinistra (tenendo per sé la scuola, o parte di essa, considerata serbatoio di voti più ricco), non è mai stata né di destra, né Berlusconiana, per stessa ammissione di Berlusconi che ha a più riprese in passato dichiarato di non credere nella sua forza.

Perdere le elezioni nelle urne non significa essere più puri di quelli che le vincono, significa soltanto non saper fare politica (pur avendo apparati e forze tali che permetterebbero di vincere, non si parla di un partitino senza mezzi).

Se Piccolo vuol parlare di sconfitta come scelta di purezza allora legga il bel libro di William Morris, Nobiltà della sconfitta, scoprirebbe che oltre le seducenti chiacchiere da salotto, c’è una profondità di pensiero e una vera scelta di purezza che rende nobile lo sconfitto, e scoprirà che non è di sinistra.

Ecco, il libro di Piccolo è questo: non un romanzo, neppure un’autobiografia di cinquantenne in fase di bilanci (tutti positivi, buon per lui), ma appunto un’ automitografia dove Francesco Piccolo che parla di sé, si autoncensa mostrandosi sufficientemente autocritico (cita un reportage da Ovindoli dove era andato a seguire la settimana bianca di An spacciandosi per un militante, e dopo averne descritto l’”ovvio” squallore”, fa atto di contrizione per essere stato disonesto nei confronti di chi lo aveva accolto senza sospetto); sostanzialmente umile, disposto a riconoscere piccola parte degli errori, e indirizzato a rifiutare la partigianeria acritica (le cronache sulle partite di Basket le scrive rifiutando di entrare in intimità con la squadra di casa per essere imparziale!).

Alla fine il lettore non potrà che convenire che questo Piccolo, si dichiara di sinistra però… però cerca di essere equo, cerca di non essere spudoratamente partigiano…

Così il lettore accorto avrà una certezza: che nonostante le ripetizioni (non lessicali ma di suggestioni o fatti) che infelicitano queste pagine al punto da indurre al pensiero di un editing malriuscito, nonostante la scarsa significatività dal punto di vista squisitamente letterario, Francesco Piccolo ha deciso di mandare al diavolo gli sconfitti e di cercare di vincere almeno il premio Strega usando abilmente l’anniversario della morte di Berlinguer come volano destinato a piacere alla gente che piace.

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