Editoriale

E se il centrodestra ricominciasse a fare politica?

Magari ricominciando dai temi sociali che la Lega sta cavalcando con intelligenza

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

on sappiamo se Matteo Salvini  abbia letto Carl Schmitt e condiviso la teoria del nemico. Sta di fatto che l’avere identificato nell’ ex ministro  Fornero, raffigurata “piangente” sui manifesti della Lega Nord,  il senso della  lontananza politica e soprattutto della  “separatezza” esistenziale di   larghi strati della popolazione, ha permesso quel trasporto emotivo grazie al quale è stata raggiunta quota  cinquecentomila firme per il referendum contro la legge sulle pensioni, voluta dalla stessa Fornero.

Al di là dell’occasione referendaria, l’attuale movimentismo leghista  sul terreno sociale offre più di uno spunto di riflessione.

C’è intanto un primo elemento politico. Il partito di Salvini va  oggettivamente coprendo  uno spazio ormai lasciato  libero dalla sinistra, sia di orientamento riformista   che antagonista, ormai attratta nell’orbita di governo, grazie alla strategia inclusiva di Matteo Renzi, che tante diserzioni sta provocando anche nell’area vendoliana.

C’è poi una sorta di mutazione antropologico-programmatica della Lega, la quale da un lato utilizza uno strumento costituzionalmente dato, ma d’impronta extra parlamentare, qual è appunto il referendum, un tempo appannaggio del movimentismo radicale,  dall’altro manifesta la volontà di rappresentare, anche simbolicamente, il disagio sociale, oggi reso drammatico dalla precarietà, dalla disoccupazione, dal blocco del turn-over, dall’impoverimento dei territori, a cominciare dal Nord Est, ma non solo.

Proprio presentando le firme a sostegno dei quesiti referendari in Cassazione, Salvini ha “offerto” agli italiani l’opportunità “… per restituire diritti acquisiti, dignità a lavoratori, esodati, giovani e pensionati”, così appropriandosi di parole d’ordine un tempo appannaggio della Cgil, della sinistra  e di una destra sociale, che su questi crinali ha sempre avuto  la sensibilità politica, il retroterra culturale e gli strumenti per giocare la propria originale partita.

Oggi, in apparenza, non è più così. Nello sfarinarsi delle ideologie, con una sinistra che ha visto tramontare con il classismo le proprie ragioni d’essere politiche e sociali, a destra si è sbiadita, in nome di un confuso liberismo, l’essenza etica  della “questione sociale”, che un maestro della cultura partecipativa, Ernesto Massi, così fissava alla fine degli Anni Quaranta del Novecento: “Potremo ragionare di orientamenti economici quando ci saremo bene intesi sui fini sociali da raggiungere, che sono fini etici: perché il fine di ogni società è il perfezionamento dell’uomo e il bene comune. L’economia invece è la scienza dei mezzi, rispetto all’etica che è la scienza dei fini”.

E’ proprio partendo dalla necessità di una ritrovata  consapevolezza e sotto l’impulso del movimentismo leghista  che vanno ricercate e fissate, da destra, le priorità  per una rinnovata azione  sociale.  Gli argomenti non mancano. A cominciare da un tema che a destra dovrebbe essere centrale, qual è quello della difesa degli interessi nazionali, ivi compresi quelli produttivi. 

Non è una novità che l’Italia abbia   l’assoluta necessità di  una seria politica economica orientata a presidiare le attività industriali strategiche, contro gli evidenti tentativi messi in atto da altri paesi di impossessarsi delle nostre eccellenze produttive. 

Si parta allora da qui per rivendicare, da destra, una coerente strategia economica e sociale, fatta non di soli slogan, non di retorica difesa del “made in Italy”, ma di azioni concrete e conseguenti contro la falsificazione dei marchi e  le frodi alimentari.

Ci si impegni, senza sconti, contro  le delocalizzazioni selvagge, che – come ha scritto Luciano Gallino (Il lavoro non è una merce–Contro la flessibilità)- “hanno messo in concorrenza tra di loro più di mezzo miliardo di lavoratori aventi retribuzioni elevate ed ampi diritti, con un miliardo e mezzo di lavoratori aventi retribuzioni irrisorie”.

Si trasformino in norme cogenti i bei propositi,  sintetizzati nell’acronimo “Responsabilità Sociale dell’Impresa” (Rsi) ,  contro il lavoro minorile, per il salario giusto, per la salubrità dei luoghi di lavoro, per l’applicazione della contrattazione collettiva,  tutti requisiti largamente inapplicati nei cosiddetti “Paesi emergenti” le cui merci, frutto di uno sfruttamento selvaggio, invadono i nostri mercati.

Sul versante della legalità, altro tema-bandiera di una certa idea della destra, si coniughi rispetto delle regole e sensibilità sociale, mettendo la parola fine al commercio abusivo, alle fabbriche fantasma, presenti sul territorio nazionale, allo sfruttamento dei nuovi lavoratori-schiavi immigrati.

Se la Cgil e la sinistra, su questi temi, hanno alzato bandiera bianca, nel nome di una falsa solidarietà e di una gretta  visione del “buon governo”, è tempo che  da destra si rilancino, con convinzione, le ragioni di una socialità vera, concreta, immediata, in grado di coniugare Nazione e giustizia sociale, legalità e visione etica.

La Lega ha dimostrato che su questi temi c’è uno  spazio politico da occupare  e volontà da mobilitare. Ora, anche a destra, si tratta di passare dalle buone intenzioni ai fatti concreti. E gli argomenti – come abbiamo visto – ci sono tutti.

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