Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ome era prevedibile l’apertura del semestre europeo a guida italiana ha sancito la definitiva incoronazione di Renzi.
Chi legga le cronache di oggi: i commenti, le opinioni, i retroscena potrà trovare (tranne le solite eccezioni: Fatto, Libero, Giornale) solo un infinito e stucchevole profumo di incenso. Bruciano i bastoncini comprati dall’ambulante clandestino di turno i giornalisti pronti sempre a correre in soccorso del vincitore, quei bastoncini che del sontuoso profumo ecclesiale hanno solo poche tracce e in compenso pare siano tossici se se ne fa un uso ripetuto.
Francamente non possiamo dire che Renzi non se la sia cavata, non possiamo non apprezzare lo scatto d’orgoglio contro il tedesco di turno (Weber) che si è alzato per fare la solita lezioncina agli italiani, la replica di Renzi è stata immediata e precisa, e di questo gli siamo grati.
Non c’è dubbio il premier italiano quanto a parlantina non ha bisogno di prender lezioni, quel che invece gli fa difetto è, al solito, la sostanza.
La sostanza di Renzi alla fine si riduce all’esaltazione delle nuove generazioni, il suo “largo ai giovani” di fascistissima memoria sembra ignorare che l’Italia è un paese di anziani, ma degli anziani il Premier se ne frega, sembra voler ribadire ad ogni passo che questo non è un paese per vecchi i quali valgono solo nella misura in cui possono essere spremuti come limoni: toglie le facilitazioni agli over 65 per l’entrata gratuita nei musei, perché sa che sono tanti e sono quelli che maggiormente li frequentano; ignora i pensionati ridotti alla fame e dà il bonus di 80 euro solo ai giovani attivi lavorativamente, per loro, anziani e pensionati, over 50 senza lavoro non c’è spazio nella trionfante marcia renziana.
Li esclude anche dal linguaggio, dai riferimenti e impiega una gergalità comprensibile solo alla generazione 2.0.
Il discorso al parlamento europeo è stato emblematico.
Prendiamo i due passi più citati: il selfie e Telemaco.
Da qualche tempo la Telecom manda in onda su tutte le televisioni (curiosamente ieri ha preceduto anche il Porta a Porta speciale con Renzi in studio) uno spot con Pif e una nonnetta che telefona ai suoi 28 nipoti, la pubblicità si conclude con il giovane conduttore che dice alla nonnetta: –Ci facciamo un selfie?– ottenendo di rimando: –Noooo, io non bevo–! E già perché giustamente la nonnetta non sa cosa sia un selfie, avrebbe capito se gli avesse detto facciamoci una foto con il cellulare, ma il selfie francamente la vecchietta non sa cosa sia perchè si tratta di gergo 2.0.
Renzi a Strasburgo, parlando dunque solo alla generazione
alla quale appartiene, ha detto che se l’Europa si facesse un selfie ....
Ma non poteva semplicemente dire autoritratto che oltrettutto sarebbe stato
anche molto più efficace, visto che il selfie essendo una fotografia a se
stessi, meglio se con il vip di turno, tende a rappresentare la vuota
espressione forzatamemente sorridente? L’autoritratto invece, per tradizione, è
il tentativo del pittore di affidare all’immagine dell’autorappresentazione i
sensi della propria personalità, ed è quello che Renzi voleva dire...
Veniamo a Telemaco. Peggio del selfie il riferimento al figlio di Ulisse che attende il padre vent’anni (dopo averlo cercato inutilmente per un poco), e quando questi torna a Itaca lo riconosce solo dopo il cane, Argo.
Ci piacerebbe sapere chi gli ha suggerito la citazione omerica del personaggio meno significativo del mito antico, talmente poco significativo da non essere entrato neppure nella teoria dei miti junghiana (e prima freudiana).
Recentemente Massimo Recalcati gli ha dedicato un libro, Il complesso di Telemaco, cercando di porsi nel solco della tradizione della fortunata psicologizzazione dei miti: secondo lo studioso Telemaco è colui che non si pone in conflitto col padre come Edipo e non si limita a contemplare sterilmente se stesso come Narciso, ma attende il ritorno del padre che ristabilisca la legge nella terra invasa dai Proci per disporsi ad accogliere l’eredità del genitore.
E chi attenderebbe questa “generazione Telemaco” citata da Renzi?
Se Renzi non fosse quello che conosciamo ci verrebbe il sospetto di una sorta di continuità, o forse meglio un antitesi, con l’appello che un paio di anni fa fu lanciato da Marcello Veneziani, sul “ritorno a Itaca” (potete rileggerlo all’indirizzo http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=1204&categoria=6&sezione=1&rubrica=) come necessario momento attraverso il quale far passare la ricostruzione della politica. Il ritorno a casa, alle origini, alla tradizione, alle radici, nella terra abbandonata dalla quale si è partiti per combattere una guerra che ha cambiato la storia, ma che ha perduto i suoi protagonisti (vinti e vincitori) costretti a trovare la via difficile di una ricostruzione.
Ulisse torna a Itaca, Ulisse il viaggiatore, Ulisse il vincitore che ordisce l’inganno per espugnare Troia, Ulisse che deve ritrovare la terra, la sua terra, per ricominciare perchè non sempre le vittorie sono portatrici di bene.
Ma Renzi, o chi gli ha suggerito la citazione, ignora tutto ciò e ci propone dopo la generazione Erasmus quella stolidamente intitolata a Telemaco.
E allora sorge la domanda: di quale Ulisse sta aspettando il ritorno il giovane Renzi?
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