Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Dal 1670 ai primi decenni del 1800 possiamo dunque immaginare un silenzioso progresso tecnico e ancor di più un buon perfezionamento delle varie arti nelle manifatture torinesi. La capitale del regno sui due versanti alpini pare restare, almeno all’inizio, alla periferia della grande rivoluzione industriale e dei trasporti innestata dalla macchina a vapore.
Ricordiamo alcuni fatti e dati a questo proposito: in Berlino, già nel 1795 era arrivata una macchina a vapore di Watt; nel 1803, in America, navigava con regolarità un battello a vapore; in Inghilterra il piroscafo fluviale Comet svolgeva un servizio regolare sulla Clyde dal 1812, anno della spedizione di Napoleone in Russia.
Nel 1813, anno della battaglia di Lipsia, un piroscafo navigava da Londra a Parigi risalendo la Senna e nel 1816 anche la Sprea berlinese aveva il suo battello a vapore. Per le ferrovie: del 1825 è la prima in Inghilterra, seguita nel 1830 dalla prima strada ferrata americana, nel 1832 in Francia, 1835 in Belgio e Germania, 1838 in Austria e Russia, 1839 nel Regno di Napoli che pure aveva visto il varo, nel 1818, del primo piroscafo a vapore costruito in Italia.
Ciò considerando solo ferrovie ad uso civile, visto che già nel 1812 una sbuffante locomotiva trainava regolarmente la sua teoria di vagoncini carichi di carbone sulla piccola ferrovia mineraria inglese per la quale era stata progettata e costruita in sostituzione della trazione animale. Ciò rende ragione peraltro di quella memoria che dice che Napoleone, saputo dell’invenzione di una macchina a vapore semovente che traina carri lungo delle rotaie, abbia espresso la propria riprovazione per tale abuso della meccanica.
E in effetti l’Empereur doveva sapere certo con dovizia di dettagli cosa bolliva nella pentola della tecnica inglese ben prima della fatale giornata di Waterloo. Le date sono coerenti vista la notizia del convoglio minerario trainato con successo da una locomotrice a vapore apparsa su di un giornale inglese con illustrazione allegata nel 1812. Per un’ironia della storia è nella Francia di Carlo X, il sovrano della Restaurazione e del ritorno all’ancien Régime che fa capolino una ferrovia mineraria di 17 chilometri di lunghezza sulla quale si muovono locomotive a vapore: dall’ottobre 1829 alla miniera di St. Etienne una locomotiva di fabbricazione inglese rimontata in Francia tenta qualche avanzata sbuffando sui binari di prova dell’officina.
La prima ferrovia nel regno sabaudo è posteriore di otto anni al 1840, che pure è l’anno in cui Milano si collega per via ferrata a Monza e le ferrovie dei vari principati e ducati germanici si estendono già per 549 chilometri, quelle francesi per 497 e quelle belghe per 336. In pratica, in quell’anno, un viaggio da Parigi a Berlino via Bruxelles poteva esser effettuato già per qualche tratto in ferrovia. Il ritardo tecnico ha però una importanza relativa, date le dimensioni, la geografia e la portata del regno alpino, sulla storia che qui si cerca di seguire; notevolmente significativa è invece la razionalità con la quale in Torino, lungo questa epoca, viene dato impulso ad un’istruzione tecnica e professionale di elevata qualità, ben articolata sui vari rami e soprattutto diffusa.
Nel 1854 la scuola d’artiglieria si trasforma in scuola di artiglieria e genio con una sezione di metallurgia; a fianco di essa è fondata, nel 1859, la scuola di applicazione per gli ingegneri che è il nucleo iniziale del noto e successivo Politecnico e, nel 1866, in stretta contiguità, è istituito il Regio Museo industriale. Assicurata, con queste istituzioni un’istruzione matematica e tecnica adeguata alle necessità, l’istruzione professionale per le varie arti risulta diffusa, come nella vicina Francia, dalle varie scuole specifiche nelle quali i maestri costituiscono uno strato culturale dal livello medio piuttosto elevato. La prova di questo è nei prodotti tessili, del legno e di altro artigianato torinese e piemontese dell’epoca: la manifattura è ineccepibile e vi si riscontra sempre un certo buon gusto estetico, misurato e non banale. Quanto questo sia importante per capire la radice del successo torinese e poi italiano nell’arte del disegno di automobili è del tutto superfluo sottolineare.
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