L'altra metà del genio

Mariù Pascoli, donna inquieta, sorella fedele, sacerdotessa del culto del poeta e amica di d'Annunzio

Personaggio affascinante e controverso seppe creare intorno al fratello l'ambiente di cui aveva bisogno, senza trascurare importanti amicizie

di Francesca Allegri

Mariù Pascoli, donna inquieta, sorella fedele, sacerdotessa del culto del poeta e amica di d'Annunzio

Mariù Pascoli

Siedo pensosa, o Gabriel. Da canto

m’è il dono vostro. Con la sua corona

di rose, avvolta nel suo niveo manto,

grande ma buona,

la Pania dice: «A te, povera figlia,

molto fu tolto, molto fu negato!

Alla mia neve pallida somiglia

freddo il tuo fato!

Quale ardire! Indirizzare una poesia a quello che all’epoca, è il 10 gennaio 1904, era ritenuto come uno dei maggiori poeti europei: Gabriele d’Annunzio.

 Ma si sa, le donne hanno sempre stravisto per lui, il grande seduttore. Tuttavia questa non è una delle sue fascinose amanti, ma quella che viene da sempre ritenuta una zitella di scarso fascino, poco elegante e, ben lontana dalla mondanità, chiusa nel guscio del suo misero nido familiare. Non a caso si parla di nido, la donna in questione è, infatti, Maria, Mariù Pascoli l’onnipresente sorella dell’altro grande poeta del periodo.

La poesia compare sulla prima pagina della rivista il Marzocco, è il ringraziamento per il dono di un panettone che il Vate aveva inviato, per le feste natalizie, proprio a Mariù. E non era la prima volta  che fra i due vi era corrispondenza poetica, anche nella poesia conclusiva di Alcyone, il Commiato, una lunga ode dedicata tutta a Pascoli e alla poesia, compariva negli ultimi versi Maria, muta, ma certamente in un atteggiamento non passivo.

Sarà poi lo stesso d’Annunzio che le chiederà il permesso di pubblicare la poesia e su una rivista prestigiosa. Come molto spesso quando si tratta di donne vissute nell’ombra di un grande uomo, si tende a minimizzare la loro importanza, in questo caso alcuni critici affermano che D’Annunzio, conscio del potere di Maria sul fratello, abbia cercato di ingraziarsela  con un atto di omaggio, ma non è detto che sia così.

Gabriele aveva già dedicato a Giovanni un’intera ode e, se questo non fosse bastato, a cosa sarebbe servito pubblicare anche la poesia breve della sorella? È più probabile che, invece, con il suo fiuto da vero intenditore abbia capito che c’era un valore singolare dietro a quei pochi versi, che del resto non sono gli unici  da lei pubblicati su quella rivista in anni precedenti e seguenti; senza contare la sapienza metrica non comune nell’uso delle strofe saffiche, del resto le stesse usate da d’Annunzio nel Commiato di cui si ripetono qui anche le parole conclusive: giglio del mare. Maria, coraggiosamente, risponde qui a Gabriele, echeggiandone la poesia. E se poche furono le poesie realmente pubblicate, se ne trovarono fra le sue carte poi alla sua morte circa un centinaio, in cui spesso si esprime il rimpianto dei figli non nati o la contemplazione della natura.

Questa donna dunque, descritta sempre come la pallida vestale della casa del fratello, dimostra, se non una profonda cultura, certo la conoscenza di regole poetiche e una forte sensibilità. Del resto la forza di carattere è ciò che maggiormente colpisce chi ne studi la biografia, biografia di una vita nata nel segno della difficoltà.

Figlia di Ruggero e Caterina Pascoli nasce nel 1865 poco prima che il padre sia ucciso, nel momento in cui le difficoltà familiari si fanno gravi. Il padre rivestiva, infatti, un ruolo di prestigio, anche economico, come amministratore delle immense proprietà dei Torlonia. Dopo la sua morte la famiglia è costretta a trasferirsi a San Mauro e, diversamente da quanto comunemente si afferma, se pure le loro condizioni non fossero più prospere come una volta, erano ben lontani dalla miseria.

Tuttavia la disgrazia maggiore si ha con la morte della madre che non riesce a reagire all’assassinio del marito e alla morte di una delle figlie. È allora che la situazione, specialmente per lei e Ida, l’altra sorella, si fa veramente complicata, vivranno per un po’ in casa del fratello Giacomo, il maggiore di età, ma quando questi decide di sposarsi saranno portate in collegio, cosa che del resto era piuttosto comune nelle famiglie dell’epoca, e dal collegio di suore usciranno solamente quando Giovanni, ormai laureato e professore, le prenderà con sé.

Si ricostituisce allora il nido che non comprende, però, gli altri fratelli che ne resteranno sempre al di fuori. Qualche anno dopo sarà Ida ad andarsene con grande dolore di Maria e Giovanni che vivono il suo matrimonio, del resto mostratosi ben presto infelice, come un vero e proprio tradimento. Da allora in poi la vita si svolgerà fra loro due, uniti in ogni momento della loro esistenza e profondamente infelici le rare volte che devono, anche se per brevi periodi, allontanarsi.

Maria lo seguirà sempre, terrà la sua casa, gli si dedicherà completamente fino a rendersi indispensabile. Ma come vive Maria questo suo ruolo di angelo del focolare fraterno? Certo con orgoglio, profondamente consapevole della grandezza poetica dell’uomo che le sta accanto, ma non senza qualche segreto fremito di ribellione. Bastino, a questo proposito i seguenti suoi versi, per mostrare una Mariù assai diversa da quella che siamo soliti immaginare.

Le trine, ahimè! le calze e tutto quanto

opra è di donna, il far continuamente

m’annoia e m’addolora tanto tanto.

Farle però vorrei, ma similmente

vorrei scrivere, leggere e studiare

per dar respiro all’inquieta mente.

Una donna che sembra tutt’altro che contenta del suo ruolo e che non si mostra per niente pacificata: la sua mente è inquieta, ben lontana dunque dal ruolo di vestale!

Ma, forse, gli anni più significativi della sua vita si avranno alla morte del Fratello nel 1913, allora veramente diverrà la vestale della sua opera e della sua memoria.

Gli sopravvivrà per quaranta anni vivendo nella casa di Castelveccho di Barga dove fa trasportare i mobili e tutti gli arredi della camera di Bologna dove Giovanni era morto. Qui tutto conserva: i libri, gli scritti, le lettere e le cose più minute, perfino abiti e biancheria. È lei che riceve quanti vengono a studiare le carte del Poeta, anzi fa costruire per loro una foresteria a lato della sua casa, dove niente viene toccato  e tutto rimane come prima della morte di Giovanni, non farà installare neppure la luce elettrica.

Non sono anni né inoperosi né chiusi; per molto tempo si dedica, infatti, a redigere una lunga biografia del fratello, fino al 1943 quando questa, spedita ad un editore per la pubblicazione, sarà definitivamente perduta sotto i bombardamenti di Milano. 

Ma Maria non si perde d’animo e, ormai in tarda età, ricomincia a scrivere, si avrà così Lungo la vita di Giovanni Pascoli che, integrata dopo la sua morte da Augusto Vicinelli, diverrà opera fondamentale per chi intenda studiare l’opera e la biografia del Poeta. Così questa donna anziana e fragile avrà la forza e il coraggio di ricominciare e portare a termine per la seconda volta, quasi completamente, la sua opera. 

Certo come ogni biografia questo scritto illumina, oltre alle vicende del protagonista, anche la mentalità ed il carattere di chi la compone e come tale va interpretata, quello che qui conta, tuttavia, è come Maria sia riuscita ad erigere per il fratello un opus aere perennius, di cui in futuro ogni studioso pascoliano non potrà non tenere conto.

Intanto accanto a questa sua opera di biografa alcuni importanti incontri: Benito Mussolini, il ministro della pubblica istruzione Bottai e per ben due volte Maria José, futura regina d’Italia. Si sposterà poco e sempre nel nome del fratello, nel 1924 sarà a Lucca dove, alla presenza di Vittorio Emanuele III, partecipa a una commemorazione del Fratello. Il 4 giugno del 1925 sarà alla cerimonia di proclamazione di Pascoli quale vate di Italia, questa volta alla presenza della regina Margherita, ormai anziana. È del 10 agosto del 1925 questo suo ritratto ad opera di Ugo Ojetti che la incontrò a Castelvecchio: E subito ritrovo la somiglianza di lei con Eleonora Duse: nasino a martello, fronte rotonda, zigomi larghi, capelli grigi lisci e lenti, pallido sangue sotto la pelle fina: una Duse esile e minuta, rimasta a vegetare nel chiuso, in un riflesso invece che nella grande luce.

Infine nel 1934 sarà più volte a Bologna per trattare con quella università una borsa di studio da intestare a Giovanni. Con un coraggio da non sottovalutare volle restare a Barga durante i bombardamenti del 1944 e morirà diversi anni dopo, nel 1953, a ottantotto anni.

E per finire da dove abbiamo cominciato un biglietto di d’Annunzio, dopo l’ultimo incontro che questi ebbe con Pascoli il 9 marzo del 1910. D’Annunzio, inseguito dai debiti, sta lasciando l’Italia per la Francia e, fra i pochi che partendo va a salutare, vi è proprio Pascoli nella sua casa di Bologna.

Il racconto di questo ultimo incontro è altissima prosa: dal volto, dal corpo, perfino dall’ abito traspare la grande stanchezza di Pascoli e D’Annunzio comprende che non si rivedranno; è una pagina di grande tristezza e tenerezza. All’incontro segue questo scritto a Mariù: Cara sorella, speravo di poter venire io stesso a portare il piccolo libro nella casa remota che per tutti gli spiriti beneficiati dalla poesia è santa in un culto di riconoscenza e di aspettazione. Ma il vento implacabile delle mie sorti mi porta lontano…Tornerò. E nel tornare vorrei fare una sosta men breve.

Gabriele, forse colui che meglio di altri ne ha compreso il valore, non tornerà mai più.

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