Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Il merito è una cosa, il titolo di studio è tutt’altra cosa. Per valutare il merito non possiamo basarci esclusivamente sul possesso del titolo e meno che mai sui voti ricevuti. Fa bene dunque il governo a mettere mano alla riforma del valore della laurea. Non è ancora l’abolizione del valore legale dei titoli di studio ma è qualcosa di molto vicino. Diciamo che si tratta di una svalutazione. Per accedere agli uffici pubblici - in pratica essere assunti dalla pubblica amministrazione - non sarà più necessario il titolo della laurea e il punteggio e saranno più importanti le prove superate e il merito dimostrato nel concorso. Non è poco. Per un sistema napoleonico, quale è a tutti gli effetti il nostro sistema dell’istruzione e della ricerca in cui vige il monopolio di Stato, è di fatto una rivoluzione.
Luigi Einaudi per tutta la sua vita ha fatto “prediche inutili” e la settimana scorsa il Corriere della Sera allegava al quotidiano proprio la predica sulla scuola intitolata significativamente “Scuola e libertà”. Se si rilegge quello scritto cristallino si vedrà che c’è scritto tutto da sempre. Tre anni fa ripresi alcuni scritti proprio di Einaudi e altri di Salvatore Valitutti sullo stesso tema e pubblicai con la Liberilibri di Macerata “La libertà della scuola”. Il tema era nell’aria. Oggi sappiamo che le “prediche inutili” sono utilissime.
Einaudi diceva di aver passato più di mezzo secolo nella scuola e quell’esperienza gli aveva insegnato che i pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea e certificati di licenza valgono meno della carta su cui sono scritti. Purtroppo, però, tutto il nostro sistema dell’istruzione e dell’università gira intorno proprio a questo valore che è detto valore legale dei titoli di studio. Di cosa si tratta realmente? Di una finzione. Sì, proprio così: né più né meno che una finzione. Non perché il valore non sia legale ma perché legalizza ciò che non si fa legalizzare. Qual è infatti la fonte dell’idoneità scientifica, tecnica, teorica o pratica, umanistica, professionale? Certamente non può essere la sovranità, il Parlamento, lo Stato o il preside, la commissione.
Il fondamento della critica letteraria - per fare un esempio - non può che essere il giudizio estetico, non certo lo Stato. Il fondamento dell’aritmetica non può che essere il calcolo, non certo la sovranità popolare. Là dove si introduce l’autorità pubblica o la pergamena del diploma e si crea il valore legale del titolo di studio si sta indebitamente introducendo un elemento - lo Stato, il governo - in un affare che non gli compete: l’educazione, la scienza. Perché questo sia il sistema italiano ora non è il caso di dire, ma è evidente che la questione risale alla natura del nostro Risorgimento e al rapporto con la Chiesa che di fatto deteneva il monopolio della cultura.
Qui, invece, vale la pena guardare alla questione della svalutazione fatta dal decreto del governo Monti. Va a colpire, cioè riformare, proprio il punto essenziale del nostro sistema napoleonico ossia panstatale: l’utilizzo del possesso della pergamena di laurea per entrare negli uffici della pubblica amministrazione e nella sua gerarchia. Di fatto il sistema scolastico e accademico in Italia sono appaltati allo Stato che li utilizza per allevarsi gli impiegati e i dirigenti di cui ha bisogno per amministrarsi. In pratica lo Stato non sapendo come fare si rivale sulla scuola e l’università con il pessimo risultato di danneggiare contemporaneamente sia l’amministrazione dello Stato sia scuola e università che sono private della loro vera natura che è la libertà. La riforma del governo si applica sul lato amministrativo ma ha inevitabilmente un valore sia scolastico sia accademico perché la scuola e l’accademia hanno la possibilità di ripensarsi, la prima non come emanazione del Ministero bensì come istituti di formazione, la seconda non come consiglio di facoltà ma ricerca. Se lo sapranno fare non si sa. Nella scuola e nell’università conta quello che uno scrittore inglese chiamava il “fattore umano”. Di certo, però, siamo all’inizio di un cambiamento che può cambiare il sistema napoleonico dell’istruzione di Stato.
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