Comitato direttivo
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Matteo Lancini, Psicoterapeuta Istituto Minotauro, Docente di Psicologia a Milano-Bicocca, «Corriere della sera», 26 luglio 2014
Il padre di Vincenzo Nibali, il fuoriclasse del ciclismo dominatore del Tour de France, ha detto in un’intervista a Corriere.it di aver convinto il figlio a continuare a correre con uno schiaffone. Un «salutare schiaffone», come tante volte si sente dire, avrebbe dunque rimesso in carreggiata il ragazzino nato per la bicicletta in un momento di sconforto, probabilmente stanco di pedalare, forse deluso oppure sfiancato dai sacrifici in sella alla bici. Bisognerebbe indagare la natura profonda della passione di Vincenzo, codificare in chiave simbolica l’origine della sua vocazione per sapere come siano andate davvero le cose. È difficile pensare che uno schiaffone possa far venir voglia di vincere, cha possa avere avuto un così alto potere motivante. Oggi per le nuove generazioni di certo non funziona più così, la qualità della relazione con l’altro conta ma quando è fonte di valorizzazione e rispecchiamento, non di umiliazione, né tanto meno quando cerca di spronare utilizzando metodi paradossali come «alzare le mani». Questo non significa che i figli abbiano smesso di far disperare i genitori, che spesso si trovano di fronte a situazioni insostenibili sul piano educativo ma soprattutto emotivo. Fin dalla più tenera età dei figli, i genitori quotidianamente impattano con la frustrazione di non riuscire a far passare un messaggio che porta con sé la preoccupazione e il desiderio di salvaguardia per il presente e per il futuro. I bambini si mettono in pericolo per la necessità di esplorare il mondo e i genitori spazientiti possono perdere le staffe. Gli adolescenti possono disattendere aspettative fino a un attimo prima condivise: tutto questo può risultare troppo frustrante e scatenare una rabbia difficilmente differibile o contrattabile. Può succedere di perdere la pazienza, ma questo non significa essere genitori autorevoli, né tanto meno è detto che così si riesca a riattivare la motivazione personale. L’attesa spasmodica di un ritorno sulla scena educativa della figura del padre può indurci a percorrere scorciatoie, ma la strada da percorrere per superare la crisi dell’autorità paterna non passa attraverso il ritorno alla punizione fisica.
Ecco fatto! La categoria degli psicoterapeuti, teorici della parola come unico strumento educativo, avversi al "sano" e ripetiamo "sano", sanissimo ceffone educativo, ha colpito ancora e ancora in nome della imbecillità della non violenza applicata come un mantra, ma poi dimenticata quando si tratta di "assolvere" dal punto di vista psicologico (colpa della società, della famiglia ecc) i violenti nelle strade, negli stadi e via discorrendo.
Il sano ceffone educativo per loro è paragonabile alla violenza, e peccato che neghino il fatto elementare che la violenza dilagante e sopratutto inarrestabile e inemendabile nasca proprio dalla mancanza di quel sano ceffone educativo impartito al bambino quando ancora la parola non è praticabile, o quando occorra una specie di shock capace di resettare un momento di tilt, come quello di cui parla il campione di ciclismo Nibali.
Già, ma per questi psicoterapeuti chiacchieroni e demagoghi, ogni ceffone è soltato manifestazione di violenza da rigettare. Non provano neppure a distinguere fra la reazione rabbiosa di un genitore di fronte a una malefatta o simili, questa sì inutile e diseducativa, e la "ragionata", ripeto ragionata, e razionale punizione atta a creare nel bambino un salutare tabù nei confronti di ciò che è e deve essere proibito.
Rubare (la marmellata o la Nutella, dei soldi o un gioco ad un amichetto) deve essere un tabù fino dall'infanzia, non si può e non si dovrebbe insegnare a non rubare attraverso il ragionamento, perché in via speculativa arriverà poi il momento in cui il furto diventerà giustificabile.
Il furto (e non solo ovviamente, il nostro è solo un esempio) invece deve rappresentare un tabù invalicabile, si deve radicare nella coscienza del bambino per rimanervi quando adulto magari sceglierà di fare politica!
Nello stesso modo il ceffone del padre di Nibali non è stata una gratuita manifestazione di violenza nei confronti del giovane Vincenzo, ma un atto "terapeutico" (dunque privo di cattiveria o di volontà di far del male) simile a quello che si pratica a chi sia in preda di una inarrestabile crisi isterica (ma ovviamente l'ineffabile psicoterapeuta ci direbbe: guai dare un ceffone a chi è preda nei nervi senza controllo!) e Vincenzo Nibali non sembra patire complessi e non sembra un giovane dolente.
Chissà perché, signor psicoterapeuta, Vincenzo Nibali è un vincente mentre tanti giovani allevati nella bambagia delle parole ragionanti sono degli irrimediabili perdenti? (E non di rado dei veri violenti)
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