Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Il principio di giustizia universale è uno di quei grandi concetti del diritto, sviluppato soprattutto tra la seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga, che manifesta che gli Stati non sono disposti a sopportare le barbarie e la violazione estrema dei diritti degli esseri umani e di altri interessi che coinvolgono ugualmente l'intera comunità internazionale.
Pertanto, i meccanismi di solidarietà internazionale sono stabiliti, e ogni Paese può agire a nome della comunità internazionale per combattere e prevenire l'impunità causata da lacune o mancanza di prosecuzione della violazione dei diritti legali relativi all’ ordine mondiale.
Per ciò, si stabiliscono meccanismi di solidarietà internazionale e qualsiasi Stato può agire in rappresentanza della comunità internazionale per lottare ed evitare l'impunità provocata dai buchi neri legali o la mancata persecuzione della violazione di beni giuridici appartenenti all'ordine mondiale.
Con tale impegno, il Potere Giudiziale ha stabilito un principio di assoluta giustizia universale, candidandosi a perseguire le gravi violazioni dei diritti umani o interessi internazionali a prescindere dal luogo ove è stato commesso l’atto criminale e la nazionalità dell'autore.
Bene, dopo quanto sopra, perché i nostri due marò non sono ancora in Italia?
Facciamo, una volta per tutte, chiarezza estrema su questo tragico caso di cui discorriamo, ma non debitamente, da parecchio tempo.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la nave sulla quale i due
militari erano in servizio anti-pirateria, è apparsa insistentemente sulle
pagine dei giornali italiani occupando occasionalmente i telegiornali
nazionali.
E a seguirlo dall’inizio, il racconto dell’incidente diplomatico tra Italia e
India, ci rendiamo conto che è pieno zeppo di eufemismi – dall’una e l’altra
parte, piegato a una ricostruzione degli avvenimenti distante non solo dalla
realtà ma, a tratti, anche dalla plausibilità più spicciola.
E’ il 15 febbraio 2012 e la Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, diretta in Egitto. Sulla nave ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco.
Non distante dall’imbarcazione, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Verso le 16:30 locali si compie, irrimediabilmente, la tragedia.
I soldati presenti sull’ Enrica Lexie sono convinti di essere sotto attacco pirata, così che i marò sparano contro la nave da pesca ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri del personale di bordo.
La St. Antony avvertirà dell’incidente la guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatterà via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse, realmente, stata coinvolta in un attacco pirata.
Da quest’ultima confermeranno, al che viene chiesto alla nave di gettare l'ancora al porto di Kochi.
La notte del 15 febbraio, i due cadaveri vengono sottoposti
all’autopsia; il 17 mattina ora locale saranno entrambi sepolti.
Il pomeriggio del 19 febbraio, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, vengono
arrestati con l’accusa di omicidio.
Il tribunale di Kollam dispone che i due soldati siano tenuti in custodia presso una guesthouse dellaCISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano preposto alla protezione delle infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) e non, come erroneamente scritto da tutti i giornaloni italioti, in una regolare galera.
Fino a ora i fatti che potremmo definire nudi e crudi.
Ma il vero, grande, decisivo intoppo per la liberazione dei due Marò, è la querelle nata immediatamente, sull’esatta posizione della Enrica Lexie.
La prima tesi, portata avanti in maniera goffa e maldestra dalla diplomazia italiana, rafforzata dagli organi d’informazione tutti, meno che da noi di Totalità che spiegammo a dovere come effettivamente stavano le cose, affermava che la nave con i due marò fosse in acque internazionali e, perciò, la giurisdizione dovesse essere esclusivamente italiana.
Il governo italiano, presieduto in quel periodo dal disastroso Mario Monti, ha più volte argomentato che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, quindi in acque internazionali, il che avrebbe dato la possibilità ai due soldati italiani ad un processo presso un tribunale dello stivale.
Spiegazioni tecnico-scientifiche? No, una tesi sviluppatasi
solo sulle dichiarazioni dei marò e su alcune non specificate rilevazioni satellitari, mai
dettagliatamente appurate.
Invece, per il PM indiano l’incidente si sarebbe verificato entro il limite
delle acque nazionali con il risultato che Latorre e Girone dovevano essere
processati presso la Corte Indiana.
Sebbene l’enorme caos causato dal campanilismo della stampa
indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie, dopo poco, non sarà più
un mistero e ufficialmente verrà ritenuta valida la perizia indiana che con la
sua equipe d’investigazione speciale si è occupata del caso depositando sui
banchi del tribunale di Kollam l’elenco degli elementi a sostegno
dell’accusa, citando i
risultati dell’esame balistico e la posizione
della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati ripresi dal GPS della nave italiana e le immagini satellitari
raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5
miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta zona contigua .
Secondo il Pubblico Ministero indiano, il diritto marittimo internazionale
considera «zona contigua» la linea di mare che si estende fino alle 24 miglia
nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria
giurisdizione.
Da qui è iniziata un’accesa disputa tra la versione ufficiale delle autorità indiane e le varie controperizie dei tecnici italiani, con a capo l’Ing. Luigi Di Stefano, già incaricato di parte civile per la tragedia di Ustica.
Di Stefano presenterà una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò, basati essenzialmente su elementi estrapolati da TV e giornali italiani e stranieri, tutti diffusi a qualche settimana dall’incidente.
Nella perizia, infatti, saranno riconosciuti stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, filmati ripresi da Youtube, documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 e altre fotografie ricavate da un video della Bbc, congiuntamente a una serie di cervellotici calcoli balistici e riproduzioni in 3d.
Non si menzionerà mai, in tutta la relazione, la fonte ufficiale dei tecnici indiani che, invece, se fosse stato fatto forse, i nostri Marò, oggi sarebbero a casa.
Come riportato nell’articolo, è confermato da parte delle
autorità indiane che la nave si trovasse a 20.5 miglia marine e ciò la farebbe
rientrare nella zona contigua.
A questo punto è stato anche dichiarato che dato fatto la farebbe ricadere
automaticamente nella giurisdizione indiana, senza possibilità d’appello
alcuna.
Ed è qui che le bizzarre menti, di chi ha governato fino ad ora in Italia, dovevano
puntare il dito, poiché stando a quanto riportato dall’art. 33 della convenzione di Montego Bay , di cui abbiamo già
ampiamente parlato in queste pagine, e al diritto internazionale, l’estensione
della giurisdizione nella zona contigua è limitata a certe fattispecie esclusive.
Quindi, sarebbe bastato un minimo di logica e porsi la domanda: avrebbe senso di
sussistere la divisione tra la zona contigua e le acque territoriali se nelle medesime
lo Stato esercitasse l’identica giurisdizione, godendo degli stessi diritti?
Ovviamente no, perché altrimenti basterebbe parlare di acque territoriali
estese fino a 24 miglia e tanti saluti alla scissione di 12+12.
Anche Harin Ravel, un additional solicitor general indiano, dirà:
“I have the coordinates of the ship. The vessel carried an Italian flag and was found to be at 20.5 nautical miles from the coast. Our territorial waters end at 12 nautical miles. Beyond it the international law would apply”.
Amen!
Inserito da annamariadepalma il 08/08/2014 22:33:46
Una donna araba convertitasi al cristianesimo e incinta , condannata a morte dall' ISLAMc poi salvata grazie a tutta la smobilitazione mondiale e qundi ricevuta da RENZI !!! Dobbiamo aspettarci che i nostri due eroi ITALIANI ..... RIMANGANO INCINTI??
Inserito da NUNZIO il 08/08/2014 16:21:21
Sono in pieno accordo, invece con Bea e col Dott. Melani, in quanto lo stesso Daily Telegraph si basa su quanto detto dal capo redattore. Non riesco a capire perchè chi non è da una certa parte è un venditore di fumo... Con gli italiani come lei Massimo da Roma non si va avanti... Volete le cose a vostro totale tornaconto
Inserito da Massimo Melani il 08/08/2014 16:18:25
Gentile Massimo da Roma, un copia-incollatore sarà lei e tutti quelli che la pensano come lei. Io ho semplicemente espresso il mio pensiero su basi e fonti in mio possesso. Personalmente ciò che ha riportato lei per iscritto sembra più preso da un libro di Salgari che da veri resoconti con solidi basi. Io non ho assolutamente congetturato niente. E' lei una persona che vede il marcio in ogni cosa, ma nonostante tutto la rispetto e la invito, se non a leggere i miei, a soffermarsi sugli altri articoli della rivista. Massimo Melani
Inserito da massimo da roma il 08/08/2014 16:04:48
In totale disaccordo con bea: Mi permetto sommessamente di segnalare al redattore: 1.Che la barca che approssima la Enrica Lexie "con rotta a puntare" fosse proprio il St.Antony è una congettura ad oggi, priva di riscontri. Per altro pubblicamente smentita in una intervista radiofonica dal Cap. Noviello (testimone oculare e vice comandante della petroliera). Sulla nave italiana 30 uomini (24 marittimi +6 militari) non 34. 2.Frasi quali "irrimediabile tragedia" e "sparano contro la nave da pesca ed uccidono" si spingono ben oltre l'ingenua congettura priva di riscontri. Sono il sintomo del pregiudizio, una sentenza di colpevolezza emessa dal giornalista prima che si sia tenuta la prima udienza del processo. 3.I media italiani e indiani concordano sul fatto che il proprietario del St.Antony con due cadaveri a bordo NON contatta le autorità. La stazione di polizia costiera di Kollam (la Guardia Costiera si trova solo a Kochi e Trivandrum) sarà allertata da un collega a terra raggiunto telefonicamente dal peschereccio. La Enrica Lexie venne richiamata "ingannevolmente" nelle acque territoriali indiane dal Centro soccorso di Mumbai (2.500 km. a nord di Kollam). 4.La custodia nella "confortevole" guesthouse del CISF sull'isola Wellington a Kochi dura dal 19 febbraio al 4 marzo, il giorno successivo se ne dispone il trasferimento nel carcere giudiziario di Trivandrum dove resteranno fino al 25 maggio (solo la ferma presa di posizione della diplomazia italiana ha ottenuto fossero tenuti separati dai detenuti comuni). In conclusione: In cella no, ma in carcere si, con buona pace dei giornaloni italioti. Quanto al comfort indiano ... 5.Nel maggio 2012 il SIT (squadra investigativa speciale della polizia del Kerala) invia al giudice in busta sigillata le sue risultanze (46 prove materiali, 126 documenti, 60 testimonianze) lo veniamo a sapere dalla stampa indiana, nei tribunali indiani le prove "presentate" non verranno mai "depositate" ne divulgate. Quanto al valore legale delle prove a carico, basti far notare che quando la Suprema Corte di Delhi nel gennaio 2013 ha sollevato i tribunali keraliti, arrogando a se la causa per vizio di giurisdizione invece di procedere in giudizio con quelle già prodotte dal SIT chiede alla NIA (agenzia antiterrorismo) di reinvestigare il caso ex-novo. Se son loro i primi a non dare valore alle prime indagini perchè si assume lei questa responsabilità? 6.Il motivo per cui le fonti del lavoro definito "cervellotico" di Di Stefano (http://www.seeninside.net/piracy)e di tutti gli altri che se ne sono occupati sono limitati a fonti giornalistiche e televisive è semplice e scevro da qualsiasi dietrologia: Al netto delle "indiscrezioni giornalistiche" non si citano fonti ufficiali semplicemente perchè non sono disponibili. L'India NON ha mai fornito alcun documento ne alcun riscontro. Ignorando le numerose rogatorie internazionali della magistratura italiana come pure le cinque richieste di contatto della Farnesina. Non mi sembra sbagliato procedere con quello che si ha, in attesa da 32 mesi di avere di meglio. L'alternativa sarebbe il silenzio... che qui lei per primo ha violato. In conclusione, la mia personale impressione del suo articolo è che abbia attinto e rimaneggiato le tante sciocchezze a favore delle tesi inmdiane come proposte da wuming (ovviamente senza neanche verificarle) attaccando nel finale dieci righe a favore della giurisdizione esclusiva o concorrente dell'Italia. Un pessimo articolo, ma un discreto pamplet sulla schizofrenia. Grazie. m.
Inserito da bea il 08/08/2014 13:01:02
Giornalismo investigativo al top, con poche righe detto tutto, complimenti! Leggere tutti i detagli in un riassunto - anche se in breve - si capisce che una soluzione sia sempre più urgente. Può darsi che il ministro dell'estero debba studiare un po' le leggi navali? Solo parlando parlando non si fà politica ne sarà possibile salvare la vita dei due marò, a meno riportarli a casa. Una vergogna.
Inserito da capezzuto il 08/08/2014 12:20:55
Dimenticati sull'altare dello sporco affarismo di stato
Inserito da Graziella il 08/08/2014 11:56:43
....da un popolo dove c'è l' arte di stuprare e uccidere bambine non bisogna attendersi nulla di buono....su un governo come il nostro non bisogna fare affidamento e.... allora?.....A CASA I NOSTRI SOLDATI
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