Le tappe principali

La 500 a Gassogeno -Prima Parte-

Un racconto di attesa nel quale entra in argomento il viaggio di Julius Evola a Vienna dell’autunno 1944 per una missione segreta e mai completamente chiarita.

di Piccolo da Chioggia

La 500 a Gassogeno  -Prima Parte-

Fiat 500 a Gassogeno

È stato non molto tempo addietro quando da una località del basso Veneto che è inutile precisare, tanta è l’incertezza di questi frangenti, ricevevo un pacchetto con delle lettere accompagnate da un preambolo in guisa di avvertimento per il lettore. Che il posto fosse dalla regione che ho indicato lo desumevo dal timbro postale. Il preambolo, scritto da una mano sicura dei fatti raccontati e ben addentro alle vicende storiche, riportava dunque ad un momento tragico del secolo passato, il tempo della seconda guerra mondiale, e ad una figura che ancora per molti lati presenta una biografia non ricostruibile. Il pittore alpinista e filosofo Julius Evola come si sa, dopo l’occupazione alleata di Roma riuscì fortunosamente a passare la linea del fronte e a riparare al nord con un lungo viaggio simile a quello di tanti altri italiani trovatisi improvvisamente in mezzo ad un campo di battaglia divenuto l’evento italiano d’una resa dei conti planetaria. L’arrivo del filosofo al settentrione della penisola martoriata moralmente e materialmente è documentato in un brevissimo appunto di Evola sul suo diario, ma spetta al professor Renato del Ponte in un suo obliato scritto d’aver ricostruito con esattezza le tappe principali, ovvero le prime, del viaggio del filosofo verso Vienna. Ricapitoliamo dunque alcune tappe e incontri di questo strano itinerario. Alla stazione di Desenzano, sul lago di Garda, l’avvocato Pistoni, una curiosa figura di scrittore ed esoterista cattolico racconta di aver incontrato dopo lungo tempo che non si vedevano Evola, per l’occasione accompagnato da una raffazzonata valigia di cartone come quelle, divenute proverbiali, degli emigranti dell’epoca. Era l’estate del 44 e il filosofo aveva la destinazione che era pure quella del Pistoni, vale a dire un ispettorato governativo della cittadina lacustre ove si era ricostituita, per così dire, la redazione del giornale “La vita italiana” capitanata dalla prorompente individualità di Giovanni Preziosi. Il buon avvocato ripartiva presto alla volta di Milano mentre, così lui stesso racconta, sapeva che Evola era in procinto di andare in quel di Vienna. La missione viennese di Evola che è stata oggetto di tante strampalate congetture era in realtà quella di attendere alla traduzione di alcuni manoscritti di dottrine esoteriche, scoperchiati forse dalle bombe piovute dal cielo in un qualche polveroso archivio della capitale musicale del grande Reich. Essa era stata sicuramente progettata allorquando Evola giunse colle peripezie che possiamo immaginare a Verona dopo l’occupazione dell’Urbe e nella città scaligera, come ora lui medesimo rammenta nel diario del biennio 43 e 44, incontrava una sua conoscenza, quasi sicuramente un ufficiale dell’esercito germanico. Evola ha tinto con parole di un certo qual mistero questo incontro pure se è possibili intravedere in esse un lievissimo tocco d’ironia. Cosa poteva infatti fare di così tanto importante e segreto un filosofo e pittore d’avanguardia nel turbine di una conflagrazione oramai passata all’evoluzione quasi meccanica degli eventi infernali? Appunto lo studio e la traduzione di stinti manoscritti, poco efficaci, se ne può convenire, ad arrestare l’orda bruna delle armate corazzate sovietiche e gli sciami argentati dei quadrimotori alleati. Buoni tutt’al più a riscoprire qualche obliata lapidaria sentenza, di quelle non riportate dalla tradizione perché smarritesi con i loro codici, da aggiungere allo studio attento dei filologi. Sta di fatto che devesi esser trattato di un soggiorno piuttosto lungo nella città scaligera in attesa che la minuziosa burocrazia militare del grande Reich desse il semaforo verde al progetto che Evola ci dice essere bibliotecario ma che comportava in egual modo un corredo di parole d’ordine e indirizzi da annotare. Perché detto progetto era da perseguirsi come detto in Vienna, la capitale ammirata da Evola e da lui benissimo conosciuta fin da un viaggio del 1935 e descritta nelle sue cronache apparse su vari giornali del tempo. Del soggiorno del filosofo nella bella città sulle rive dell’Adige che l’estate ne fa brillare d’un verde chiaro e rinfrescante le acque, non è rimasta traccia, non sono noti gli alberghi presso i quali Evola ha trovato dimora né sappiamo chi, oltre all’ufficiale germanico che gli prospetta la missione, abbia incontrato. Fatto certo e testimoniato anche da altri è l’incontro col buon Pistoni: evidentemente, come ricostruisce il professor Del Ponte, Evola aveva saputo della vicina ubicazione sul Benaco del gruppo di Preziosi e decideva di visitarlo per qualche giorno. Solo così si spiega infatti la presenza del filosofo con la sgangherata valigia in una città distante all’incirca una quarantina di chilometri da Verona. Dalla capitale scaligera a Desenzano è possibile oggi come allora andare e tornare in una sola giornata senza necessità di pernottare. Pistoni, in una sua lettera al Del Ponte, nomina pure l’albergo di Desenzano, il Savoia, nel quale Evola alloggiava.

Sin qui si è ricostruito e con palesi necessarie semplificazioni non dovute se non alla carenza di documenti il primo tratto della controversa missione che porta il filosofo da Roma a Vienna. Qualche autore, non proprio afferrato in materia di geografia racconta che Evola dipoi prese la via del Brennero per giungere  rapidamente, passato l’”Alpenvorland”, nel Tirolo austriaco e di lì proseguire per la capitale asburgica. Tali affermazioni si sono rivelate essere delle mere congetture che, si può dirlo senza timore che l’autore che non abbiamo voluto nominare se ne offenda, rivelano davvero una scarsa conoscenza delle principali vie di comunicazione del Veneto: se da Verona si prende la via del Brennero è perché si vuole andare a Monaco di Baviera e non è certo questa la via più indicata per raggiungere Vienna. Alla capitale della musica si perviene ricordando che la strada ferrata Ferdinandea che collega Venezia con Padova, Vicenza e Verona fin da prima del 1860 venne progettata dai geniali imperialregi ingegneri delle strade ferrate Ermenegildo Francesconi, da Treviso, e Carlo Ghega, da Venezia, proprio in vista di unire le città venete con la capitale asburgica. Superfluo rammentare qui ai lettori come lo stesso Richard Wagner avesse composto una delle sue mirabili ouvertures proprio durante un viaggio sul treno che da Venezia lo portava a Vienna. La logica, per quanto martoriata dagli agguati del Caso che sfoggia il suo sovrano arbitrio tra i fuochi delle guerre, vuole dunque che il nostro filosofo si sia inoltrato sulla via dell’Austria con un treno della linea Verona-Venezia. Da proseguirsi poi con le tratte che attraversano Treviso, Udine, Tarvisio, Villach, Klagenfurt. Logica che riceve, per fortuna, onde non dare troppa corda agli appassionati di congetture e misteri, una prova dell’avvenuto percorso in una lettera che l’alpinista ed esoterista Domenico Rudatis inviava a Del Ponte. In essa lettera di tanti e tanti anni dopo le sfortunate vicende belliche, quando l’alpinista di origine cadorina abitava ormai da tempo in quel di New York, Rudatis racconta dell’avvenuta visita che Evola gli fece nella sua casa di Venezia proprio in quella stagione del lontano 44. Di più l’alpinista non dice assolutamente, ma è da credersi che questo sia non per strani vincoli al segreto quanto per il non voler troppo rammentare il tempo di quella disgraziata guerra. Disgraziata è la parola esatta usata dal Rudatis nella missiva,. Di cosa abbiano parlato fra di loro i due appassionati di ascensioni in alta montagna, cultori entrambi di spiritualità orientale ed entrambi ammiratori dell’arte delle altezze del pittore russo Nikolaj Roerich non è dato sapere. Ma non è difficile immaginarlo considerando il turbine di quei frangenti e le spiccate individualità dei due sodali: ricordi del passato, ipotesi sul futuro, e interiore distacco pur nella propria partecipazione alla grande recita. La testimonianza di Domenico Rudatis sulla visita veneziana di Evola si limita dunque a poche eloquenti righe ed è a questo punto che si innesta l’argomento del preambolo e delle diverse lettere ricevute con il pacchetto dal basso Veneto di cui si è detto nelle primissime linee. Evola, che solitario avrebbe dovuto prendere alla stazione di Santa Lucia a Venezia, un treno per Udine e Tarvisio in realtà giunse solo fino a Mestre, non sappiamo se accompagnato dal Cadorino o solo, e se in treno o con un filobus o con una vettura, dove doveva incontrarsi con un accompagnatore, rimasto anonimo, che l’avrebbe condotto con un’automobile fino a Vienna.


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