Tazio Nuvolari

Qualche appunto sull’estetica della motocicletta da corsa anni 30 - Quarta Parte-

Le Rudge erano le motociclette ufficiali della scuderia ed erano preparate in vari modi in relazione al circuito da affrontare

di Piccolo da Chioggia

Qualche appunto sull’estetica della motocicletta da corsa anni 30 - Quarta Parte-

  Siamo nel 1932 o nell’anno immediatamente successivo e ai Gran Premi europei della classe 500 fa capolino una nuova macchina, la bicilindrica svedese Husqvarna. Costruita in modo inappuntabile, questa motocicletta costantemente evoluta diventa, in leggero anticipo  sulla Moto Guzzi, la prima reale minaccia alla supremazia tecnica inglese. In quest’immagine è ritratto un quadro tipico dei Gran Premi del tempo. Siamo in attesa della partenza e le tre Husqvarna sono in prima fila con i loro piloti nei più diversi atteggiamenti che si danno a chi vuole scaricare la tensione. Quelli delle macchine con il numero 1 e 2 sono seduti in apparenza tranquilli sulle motociclette installate sui cavalletti.


Deve essere intorno al 1933. A Modena, nell’officina della scuderia Ferrari non albergano soltanto le Alfa Romeo di color rosso fuoco costruite a Milano ma qui preparate per le corse. Alberga pure una piccola agguerrita sezione di motociclette da gran premio contrassegnate sul parafango anteriore dallo scudo con il cavallino rampante e la sigla SF. In questa fotografia che è pure un bel documento storico Enzo Ferrari e Nuvolari, il mantovano volante, stanno al centro.

Nuvolari con la mano sulla manopola dell’acceleratore della Rudge Whitworth. Le Rudge erano le motociclette ufficiali della scuderia ed erano preparate in vari modi in relazione al circuito da affrontare. La ruota posteriore a disco per i circuiti veloci conferisce alle macchine un aspetto estetico di maggiore slancio nella direzione del moto.  Essa rotola sull’asfalto e scivola entro l’aria senza agitarla con il vorticare dei raggi.

È una foto assai sbiadita ma esteticamente eccezionale per il senso che essa ci trasmette di un’epoca. Siamo nel 1934 a Monthlery in Francia e Guthrie sulla Norton 500 sta effettuando un record sulle lunghe distanze. Notare la semplicità davvero spartana della macchina e la posizione tesa eppure elegante, quasi da fantino, del pilota inglese. La Norton 500 del record è una normale motocicletta da gran premio, sono identici telaio e motore, e però alleggerita e, qui, carenata anteriormente da una straordinaria ogiva cuneiforme. Nei record essendo permessa l’alimentazione dei motori con solo alcool, erano raggiunte velocità sul giro superiori a quelle raggiunte nelle competizioni ordinarie. Questa identica motocicletta l’anno successivo, il 1935, spogliata della carenatura anteriore, farà registrare un giro del circuito francese a 198 orari di media durante il tentativo, coronato da successo di elevare il record dell’ora lasciando dietro di sé 183 chilometri. La macchina ha una straordinaria armonia nelle proporzioni, quali interasse fra le ruote, l’altezza, l’inclinazione della forcella e via di seguito, cui corrisponde una disposizione dei pesi che rende proverbiale la tenuta di strada di una motocicletta ancora a telaio rigido, ovvero senza sospensioni alla ruota posteriore. Nell’immagine la ruota anteriore della Norton è leggermente impennata.

I piloti inglesi più anziani hanno un’esperienza invidiabile per le loro ripetute avventure sul circuito più importante e pericoloso d’Europa quale è il Tourist Trophy che si tiene nell’isola di Man, famosa anche per una particolare specie di gatti senza coda. Alcuni di essi divengono bravi scrittori tecnici come Graham Walker e tutti sono ottimi collaudatori. È naturale che vengano richiesti dai costruttori stranieri per dar loro un aiuto alla messa a punto delle macchine, in special modo in relazione ai telai, alla geometria dello sterzo ed alla distribuzione dei pesi che sono fondamentali per avere una tenuta di strada inappuntabile. Qui nella fotografia è un buon compagno di squadra di Walker nelle gloriose Rudge, Ernie Nott a provare in corsa l’Husqvarna 500 rinnovata. È il 1934. Di lì a poco la macchina svedese diviene una protagonista dei circuiti europei. Un altro inglese che correrà sulla veloce bicilindrica scandinava è Stanley Woods. Tutti questi piloti hanno in comune nel condurre la macchina.

La DKW 500 da corsa del 1935 nella versione assolutamente speciale ideata dall’ingegner Kuchen, a telaio in lamiera stampata in un sol pezzo con serbatoio della miscela ed il parafango posteriore. Ampio sellone e pedane ausiliarie quasi al mozzo della ruota motrice onde permettere al pilota una posizione di massima aerodinamica. Motore bicilindrico due tempi con cilindri sdoppiati e disposti parallelamente al suolo per abbassare il centro di gravità della macchina con conseguente miglioramento della tenuta di strada e della penetrazione nell’aria. Raffreddamento ad acqua e sovralimentazione a cilindro pompa secondo il progetto del famoso ingegnere Zoller. Nel 1935 una DKW 500 da corsa con motore simile ma telaio ordinario e 42 cavalli fermava, sul circuito berlinese dell’AVUS, i cronometri su velocità di 185 chilometri orari tondi (così scriveva Motor-Kritik nel numero18 del settembre 1935 a pagina 593: nach Stoppungen auf der AVUS läuft die DKW rund 185 Km/Std). La versione qui raffigurata, dalla migliore aerodinamica, era più veloce ancora.

In attesa del via al Gran Premio di Tripoli del 1935. Da sotto l’ombra dei pini di Roma secolare esce dal nido una Rondine più che futurista. Ed è quasi una burla per le macchine scagliate contro il vento dall’industria veloce lombarda: la Rondine quattro cilindri, sovralimentata da compressore volumetrico, con doppio albero a camme in testa, telaio perimetrale e schermatura aerodinamica non anticipa soltanto ma ravvisa l’”idea” definitiva di quella che deve essere ed è anche oggi una macchina da Gran Premio.  A Tripoli la Rondine vinse contro la rivale Moto Guzzi che correva a 178 di media sul velocissimo circuito. La moto lombarda, al culmine del suo ciclo tecnico, lasciava la moto romana a dieci secondi di ritardo sul giro ma, non è dato sapere se ciò accadeva perché preoccupata per le potenzialità della Rondine, tirava troppo e non lesinava sui consumi. Col risultato di terminare a serbatoio vuoto  qualche chilometro prima del traguardo. Per questa vittoria inaspettata della macchina romana il ferrarese Italo Balbo, che sul suo circuito si attendeva la vittoria delle Moto Guzzi, si arrabbiava tantissimo col conte Bonmartini, patrono della scuderia della Rondine.  Questi pare avesse spinto per trovare un escamotage nel regolamento al fine di escludere il pilota scozzese Stanley Woods, imbattibile sulle bicilindriche lariane che infatti non partecipava alla corsa. Balbo se ne andava via a fine corsa disertando la premiazione per non doversi forzatamente congratulare con chi gli aveva rovinato la giornata. Una storia d’altri tempi sulla quale l’acqua passata ha mondato ogni risentimento: la Moto Guzzi con Woods avrebbe vinto, e forse di misura, il Gran Premio coloniale ma un qualcosa doveva pur premiare il coraggio e l’intelligenza davvero lungimiranti di progettisti e piloti. La Dea Fortuna, che ha gli occhi bendati, non vede molte cose ma ne vede altre. E la Rondine, capolavoro della meccanica e dell’aerodinamica italiane, con la sua media sul giro a 168 orari troppo lenta in fondo non era.   

 

 

 

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