Editoriale

Brutta e baffuta mai piaciuta: Frida Kahlo il trionfo del nulla

Il successo della mostra è la conferma della morte del buon gusto e dell'arte ma forse la storia e il tempo rimetteranno le cose al loro posto

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

l successo dell’esposizione di opere pittoriche di Frida Kahlo è la palese dimostrazione di come il brutto nell’arte contemporanea abbia soverchiato la Bellezza.

Mediocre pittrice ma eccellente manager di sé stessa, se non fosse per ragioni esclusivamente di ordine politico, sarebbe stata giustamente dimenticata e ricondotta nel nulla artistico dal quale proviene.

Ma si sa, siamo in Italia, e la longa manus della sinistra radicalchic ha dettato e detta ancor legge, quindi tutti giù, proni ad osannare e apprezzare ciò che andrebbe spregiato e ritenuto indegno di essere definito opera d’arte.

I dipinti della baffuta e tronfia Kahlo piacciono soltanto per ragioni “di parte” essendo soltanto le brutte copie dei veri “naive” latinoamericani, insomma in lei s’identifica questa società abbrutita e ignorante, kitch senza essere divertente, volgare senza rimedio né speranza. Come artista la separa un’incolmabile distanza da un genio nostrano come Ligabue, lui sì “autodidatta”, ma padrone delle forme e del colore o da un più noto, follemente visionario Van Gogh. Non è una surrealista, non ne ha né il talento né le capacità di vedere “oltre”, la Kahlo è soltanto l’abile prodotto artificiale e artificioso di un’arte considerata manifesto politico da coloro che la rivoluzione si guarderanno sempre bene dal farla troppo legati ai benefici conseguiti come sono. Perché tanto successo dunque?

Semplicemente perché abbiamo perso il gusto ed il discernimento di ciò che veramente è un prodotto artistico e ciò che invece è soltanto una trovata priva di “antenati” e maestri. Piace tanto la pittura di Frida, perché piace la sua scelta di vita che oggi sarebbe così “politically correct” tra omosessualità e poliamorismo, piace perché le sue opere dicono “questo lo puoi dipingere anche tu”, cosa che nessuno si sentirebbe di affermare davanti ad un Tiziano o a un Magritte.

Andare alla mostra che si è appena conclusa alle Scuderie del Quirinale fa sentire di essere inserito nella realtà attuale in quella visione culturale che tanto piace al ministro Franceschini, insomma fa credere, ma non essere, rappresentando ancora una volta il nulla dietro il colore, un non-pensiero dietro quelle tele.

Il Surrealismo, come il Dada, fu ben altra cosa, non il frutto d’improvvisazioni senza scuola, ma il sogno di un viaggio all’interno dell’animo umano. Ecco perché la Kahlo non fu mai surrealista, con buona pace di Breton che cercò disperatamente di accoglierla tra le proprie file, perché le sue opere riguardano la realtà materiale e non il mondo onirico o comunque della psiche. Sono dipinti semplici i suoi, privi di spessore che come tali non impegnano e scorrono via in un onda policroma che non lascia nulla dietro di sé.

Fortunatamente il Surrealismo vero, ha prodotto ben altro e reali capolavori che anche l’Italia può vantare come la pittura metafisica di Savinio e del suo fratello, il più noto De Chirico. Dalì resterà, e con lui Ernst, Giacometti e Mirò resteranno tutti mentre, inesorabilmente ne siamo certi e vogliamo essere profeti, Frida Kahlo si dissolverà nella dimenticanza che sempre ricopre ciò che non merita ricordo.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.