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Un campiello lindo e ordinato

Schizzi lagunari

Lontano, nel cielo costellato di nubi variopinte galleggia un aerostato che compie lo sposalizio di sole e luna

di Piccolo da Chioggia

Schizzi lagunari

Su di una riva dell’alto Adriatico veneziano sta una colonna di ordine rustico. Non venne elevata da architetti esperti degli ornati corinzi o delle nudità doriche ma è stata affastellata con marmi di antiche case romane. Sui due stadi della base pietre di vario colore traducono in rilievi degli ornati suprematisti. Dardi, cerchi, quadrati. Al culmine un equo s’impenna e la sua coda lunghissima sfiora il marmo candido. Sta di lato e modesta un’anfora. Essa vuol rammentare la sentenza perenne di Esopo: la Verità è un’anfora a due manici; e chi la piglia per un manico solo o non la muove o la rompe.

Ma l’equo e le belle acque della distesa e l’occhio che mira il quadretto sovvengono quella fine parentela nei loro radicali tematici latini la quale unisce appunto il destriero, l’elemento fluido per eccellenza e l’occhio. Cosa avviene nella fantasia creatrice di lingue? È rapido il quadrupede dalla criniera e vola diritto alla sua mèta. Non conosce curve se non lo si imbriglia a forza. Così è l’acqua che scorre sulla pietra e la rende lucente. O come accade dopo la pioggia essa apre la vista, i raggi lanciati dall’occhio, ai panorami più lontani. Vi è un’affinità davvero inattesa e reale in questa triade di termini: occhio, equo, acqua. 

Una sterna è in volo di perlustrazione sulla riva deserta e greggi di nubi promettono ancora qualche pioggia che rischiari l’aria.




In un sestiere periferico su di un’isola della laguna una calle sbocca in un campiello lindo e ordinato. Vi sono arredi sul selciato. Alcuni ricercati, quali lo sono la piramide composta alla colonna con il globo e il vassoio con il coperchio sulla base ornata dal quadrato suprematista. Altri dalla modestia e semplicità assolute quali in poveri vasi di fiori poggiati su di un architrave deposto al suolo. L’antica casa romana non è più e le sue pietre servirono a nuove costruzioni. Sulla sinistra della calle l’ultimo edificio ha un bel portico dalle linee squadrate rivolto verso il panorama che si apre su altre isole e sui monti lontani. Plausibilmente una quieta biblioteca o  una sala musicale. Sulla destra la casa d’abitazione con la bella finestra ornata alberga sullo spigolo d’angolo una mensola che sostiene il benaugurale elefante carico, ma senza sforzo, dell’obelisco. Piccola immagine, quasi un ex-voto neoclassico per la massima latina SVIS VIRIBUS POLLENS, possente colle sue forze. Ammonimento a non desistere e a far da soli che un aiuto prima o poi viene e perfetto. Nel campiello, popolato di begli alberi, è sorta una chiesina Rus’. Fra i colti ufficiali di Krasnoff non mancava chi era esperto di nobili proporzioni e di architettura. Ufficiali che avevano intermesso alle esercitazioni equestri e alla pratica delle armi, lo studio delle lettere ed il culto delle arti belle Né fra i valorosi cosacchi mancava chi gradiva alternare galanterie alle fanciulle con la fatica, e però senza fatica, dell’opera di manovale e carpentiere. E la chiesina sorse con le sue cupole infiammate. Modesta e olimpica. 


Lontano, nel cielo costellato di nubi variopinte galleggia un aerostato che compie lo sposalizio di sole e luna. Trepida scende una pioggia a gocce minute e l’aere è fresco, e brillanti sono i colori che si mutano da un grigio festoso, al viola sgargiante, al blu inquieto, al celeste trionfale. Non bastano mai gli aggettivi per rincorrere nubi e colori. Regale si leva, oltre lo specchio di acque, la basilica palladiana del San Giorgio Maggiore. Ed essa attende i venti e le procelle che un nume celeste voglia scatenare:

  

Varuna con nuvole diversamente dipinte 

si mostra al primo rombo del tuono 

e fa piovere il cielo con miracolo divino 


come è scritto nel Rig-veda dell’inafferrabile sovrano cosmico, il re Varuna. E però la cupola dell’eccelsa architettura, non immensa ma salda si erge quieta e imperturbabile, contro le tempeste wie ein breiter berg gegen einen kleinen wind ovvero, voltando da Meister Eckhardt: in guisa di gran monte esposto a flebile vento. Segnacolo in marmi e pietra della virtù perseverante e dell’animo invulnerabile. A lato di essa, nell’isola limitrofa è sorta la chiesa russa. La piccola selva di cupole dà un tocco fiabesco al panorama e si compone con armonia alla severità classica del panorama. 

Sulla riva antistante il grande panorama, dei Russi infiammati dal poema di Igor e dalla nostalgia dei primordi hanno fatto erigere uno strano monumento a Perun, l’antico nume slavo della tempesta e dei tuoni, il Thor dei Rus’, che corre il cielo sul suo carro e rotea la propria ascia bipenne per scagliarla. Fra i colti ufficiali di Krasnoff, che sanno il latino e a mensa discorrono di Ovidio e Tacito, si è anche accesa una disputa se Perun sia solo il nome slavo del nume rigvedico Parjanya, e parente dell’elleno Phorkyn, il generatore delle Pleiadi, o se, nel suo ascendere al trono di nume sovrano del pantheon Rus’, entro il suo nome, per strane e nascoste assonanze non sia confluito pure il nome del gran sovrano e mago del Rig-Veda, l’oscuro Varuna, colui che tutto vede, e ha mille occhi accesi la notte: le stelle del cielo.  


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