Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
OrtoHaiku
Sotto i quadri astratti che campeggiano sulla parete settentrionale nella mia stamberga è rimasto per alcun tempo, immobile fino ad impolverarsi, un volumetto di poesie giapponesi di Gabriella Chioma. Da qualche settimana, però, una volta che ho voluto ad esso dare attenzione è divenuto lettura grata sulla quale mi soffermo spesso. Sono degli Haiku o Haikai, a seconda della grafia, i brevissimi poemi nipponici che si compongono rispettando obbligatoriamente, o quanto più possibile, una elementare metrica di soli tre versi estesi su di un totale di diciassette sillabe o, meglio detto, di tempi. Di cinque sillabe consta il primo verso, di sette il secondo, di nuovo cinque il terzo e finale. La poetessa ligure, Gabriella Chioma abita nella città marinara di Spezia, ne ha scritti diversi, alternandoli a dei Tanka, che sono degli Haiku allungati di altri due versi di sette sillabe ciascuno, e pure ad una aliquota di Sedoka, ulteriore esempio di brevi poemi, e ha raccolto il tutto nel volume che staziona ora sul mio tavolo vuoto, a tratti del dì irradiato dalla luce del sole.
Il termine Haiku, che ha un suono aggraziato anche nella nostra lingua, mi era apparso per la prima volta tempo addietro sfogliando un’edizione estemporanea dei Canti Pisani di Pound. In una pagina di postfazione, il bravo traduttore dei versi spesso inesplicabili del bardo americano riportava un paio di appunti di commento di Eugenio Montale il quale paragonava certe visioni che balenano tra le linee del poema scritto a macchina in una gabbia della maremma pisana agli Haiku nipponici. Immediata ne è sortita, con il parallelo, la comprensione e da ciò ho voluto sapere di più su questa particolare arte poetica, per quanto, e questo diviene presto chiaro, non vi sia tantissimo da sapere. Cosa, questa, invero magnifica. L’Haiku, poema brevissimo non necessita di troppo studio. Piuttosto esso richiede del senno per l’arte e giusta misura.
Mi era poi sorto pure il quesito di quali fossero le associazioni che, dei versi poundiani, Montale aveva potuto fare con gli Haiku. Provo a immaginarne una rinnovata lettura semplicemente rammentando quel che posso. Ricordi infatti, a questo proposito, il lettore quanto avevo scritto nel capitolo titolato “se serva la poesia” in argomento alle circostanze che trassero in salvo il professor Mörchen.
Formica salva da un formicaio calpestato, dal naufragio d’Europa, ego scriptor
è immagine che può apparentarsi nella sua concisa perfezione alla scabra brevità d’un Haiku. O, ancora, la visione dalle grate della gabbia pisana delle Alpi Apuane condensata in
bianco di neve contro bianco di pietra sulla montagna
ed il lento turbinare delle candide nubi ai venti che spirano sopra la città ghibellina in ragione del frastagliato paesaggio
le nuvole bianche
sul cielo di Pisa
da tanta bellezza
qualcosa deve nascere
visioni d’uno spettacolo su quel lembo marittimo e montano tradotte con la massima semplicità in termini precisi. L’esattezza della descrizione di ciò che si vede e che deve dipoi condensarsi nel senso finale è dunque la peculiarità più immediata degli Haiku.
Eccone due estratti dal volume della poetessa ligure, il primo con un panorama marino
Contro le onde
lo scoglio è tenace:
s’infrangono.
Cui far seguire la quiete di un quadretto domestico nel quale si sia innestata una pianta d’Oriente
Vive sereno
racchiuso nella teca
il verde bonsai.
Si manifesta una seconda caratteristica dell’Haiku, che è più tenue e penetrante e diviene un vero motore ascensionale per la nostra evoluzione di lettori in autori: l’immagine delineatasi nella nostra mente in virtù del poema brevissimo è nuda, è un punto precisamente individuato entro uno spazio indistinto. Nel comprenderla fino in fondo siamo forzati a ricostruirne tutto l’ambiente circostante in virtù, ora, della nostra esperienza e dei nostri ricordi divenuti a loro volta agenti poetici. Eccoci dunque obbligati da lettori a mutarci in autori. Ciò posto abbiamo un avvertimento che viene dall’esercizio in quest’arte: la lettura degli Haiku è certo cosa facile ma alla lunga non regge un animo passivo. È una lettura virile, conforme del tutto alla civiltà che ha dato la nascita a questa forma poetica, nel Giappone dei samurai e dell’ordine feudale.
Se la lettura degli Haiku è cosa facile ma non troppo, la loro composizione è, per contro, difficile. È sempre in agguato quell’ombra proiettata che pare poesia ma tale non è. Il poeta francese Pierre Pascal che ne compose di magnifici scriveva in una lettera a Gabriella Chioma, che l’Autrice ha pure raccolto nel suo volumetto, “non si devono comporre Haiku a modo di mulino”. Stando all’ammonimento pare di poter dire che la poesia rifugge dai moti rotatori e continui della macina. Essa preferisce un moto alternato e arbitrario. Una diversità che rammenta la differenza fra l’incessante ruotare passivo d’un mulino a vento e il battito d’ali d’un uccello intermesso dai volteggi in volo a vela e alle planate ad ali immobili.
Altri due Haiku della poetessa ligure, nel primo sono acque di laguna a dare il fondo dell’immagine
Le folaghe
si alzano dai canneti
nel lago grigio.
E nel secondo, che può del primo essere quasi un complementare, quelle marine
Lembi di luce,
bassa foschia di nubi
e mare cupo.
È un panorama che si ricostruisce vivo attraverso questi poemetti. Si vede il lago con le acque stanche e immote, circondato dai canneti ingialliti. Su di una riva, nascosta dagli alberi, pare di intravedere la villa di Puccini. Quando il monte Gàbberi diviene torvo per il turbinare delle nubi, sulle acque cala il manto del grigio. Nere, le folaghe si alzano in volo. Le onde del ricordo ora mi restituiscono gli ultimi tratti di quella magnifica breve poesia del Carducci
Sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
fra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri
com’esuli pensieri
nel vespero migrar.
Voltato lo sguardo a occidente e percorsa solo una breve strada, le nubi che stendevano dal monte apuano un velo di grigiore sulle acque lievemente increspate del lago appaiono ora come parte dell’universo maggiore di quel panorama: vengono, cavalcando rasenti le onde, dal mare di Versilia, incupito. Solo qualche ferita nel manto plumbeo lascia intravedere la luce del dì che splende al di sopra.
L’Haiku è un dardo acuminato che trafigge la nostra memoria e veicola delle immagini che, condensate, hanno acquisito un vigore tale da muovere la mente del lettore a ricostruire il panorama d’intorno, il complementare del quadro. Si arriva così alla visione completa, al senso interno, quello allegorico, sotteso dai tre versi ed al panorama esterno, reale perché visto dal poeta, e restituito in altro spazio e tempo magicamente quasi eguale dai ricordi del lettore autore. Il tutto con soli tre versi estesi su poche sillabe. Non lascia sorpresi quanto si legge d’una missiva che Rainer Maria Rilke scriveva da Ginevra nel settembre del 1920 ad una sua corrispondente:
Kennen Sie die kleine japanische (dreizeilige) Strophe, die "Hai-Kais" heißt? die Nouvelle Revue Française bringt eben Übertragungen dieser in ihrer Kleinheit unbeschreiblich reifen und reinen Gestaltung …
il quale così volto nella nostra lingua:
Sa nulla Lei della breve strofe giapponese a tre linee il cui nome è Hai-Kais? La Nouvelle Revue Française ha appena riportato delle traduzioni di questa Forma (poetica),che nella sua brevità è indescrivibilmente pura e matura…
Nel volumetto della poetessa ligure le pagine finali a titolo Marginales riportano estratti di lettere di Pierre Pascal, autore d’un Haiku stimato al vertice delle possibilità della forma da Yukio Mishima. In una di queste missive il poeta d’oltralpe dà un avviso che pare il più efficace per il lettore che dai brevi poemi abbiamo visto essere ormai vocato alla lettura attiva. Ecco le linee del Francese: “l’Haiku può essere costituito da parole senza verbi: notazioni dunque percutanti, frecciate. Non deve mai essere descrittivo a vuoto. Un paesaggio evocato deve sempre rappresentare una certa idea sottilissima che il lettore scoprirà o no”.
Un paesaggio, ora però interiore e apparentemente sconsolato, si profila in questo poemetto della Chioma
Resta silenzio
al fondo delle cose
e mani vuote.
Nell’Haiku la nostra fatica di lettori autori è in effetti messa alla prova con la “certa idea sottilissima” cui allude il Pascal. Vi si può rintracciare l’arido contatto e non più materiale con il Ding an sich della filosofia di Kant, quel fondo silente e imperscrutabile di ogni cosa che appare, ovvero di ogni Erscheinung. E il lettore di queste linee può qui anche rammentare quanto era stato scritto sul quadrato di Malevič, pure se da lettore autore ora associo all’Haiku della Chioma una constatazione magnifica di Rilke e tratta da una sua lettera:
das Faßbare entgeht, statt des Besitzes erlernen wir den Bezug
che posso voltare esplicare così: ciò che si può afferrare con mano se ne fugge; e noi piuttosto che del suo mero possesso dobbiamo coltivarne la correlazione spirituale.
In un altro Haiku un baleno apre la grande visione del cielo nel particolare minuscolo di un prato
Arcobaleno
di una goccia
tra gli steli d’erba.
Un poemetto dai colori marini che riporta il lettore autore nella Versilia ora settembrina o di ottobre, deserta di bagnanti, dove il verde cupo dei pini prelude, nello sguardo a oriente, alle prime balze bluastre dei monti marmiferi
Nel grigio del tramonto
immobili nella cuna dell’onda
riposano i gabbiani.
Le bianche creature stillanti acqua dal becco di continuo intinto nelle spume ondeggiando tra un cavallone e l’altro, nella postura raccolta, appaiono all’occhio di lontano quasi come le puerili navicelle di carta. Il ricordo del lettore autore si completa qui con l’immagine degli schizzi di taccuino acquerellati con cura meditabonda da vegliante notturno di Eugenio Montale, infallibile nel suo ambito di scarabocchiatore di genio a vedere e trasporre in disegni il quid specificum della riviera dei marmi, tanto quanto con arte compiuta lo avevano visto e trasposto in pitture Ardengo Soffici o Sigfrido Bartolini.
Può sembrare al lettore che chi qui scrive si trastulli troppo con memorie di immagini e qualche erudizione. Se questo avviene, ciò è per la ragione che non è possibile sottrarsi alle vigorose suggestioni di paesaggi o cose vista quali nascono dalla lettura degli Haiku della poetessa ligure.
Nei Marginales entro la lettera di Pascal alla Chioma vi era questo suo Haiku non tradotto in guisa di esempio dei possibili giuochi di assonanze
-L’aube est revenue!
-Baisse les yeux! L’inconnue,
la lumière, est nue.
Non è facile voltare nella nostra lingua il poemetto senza retorica. I toni di stupore e sommesso imperativo che si intravedono, espressi senza termini nei segni ortografici, impallidiscono e pure si occulta la rima francese
L’alba è ritornata,
abbassa gli occhi, che l’inconosciuta,
la luce, è nuda.
Non si stenta però a comprendere la ragione della ammirazione che Mishima aveva tributato al Francese.
Mi ero chiesto se l’Haiku avesse trovato cultori pure nella letteratura tedesca e scoprivo che un poeta forse obliato da tempo, Paul Ernst ne aveva scritti diversi e li aveva pubblicati nel lontano 1898 in un suo volume dal titolo allusivo: Polymeter. Pare che quelli di Ernst siano i primi apparsi in tedesco e di questi rammento ormai senza fatica questo delicato quadretto
Eine Wasserrose,
die aus der Tiefe auftaucht.
Kräuselt sich das Wasser.
Che si volta quasi letteralmente senza perdere molto nella suggestione di quella idea o idee sottilissime cui ci invita alla scoperta Pierre Pascal
Una ninfea
che dal fondo affiora.
S’increspa l’acqua.
L’istante esatto nel quale il fiore acquatico nel laghetto, affiorando, percuote lievemente dal basso lo specchio delle acque. Che stanno altrimenti immobili a riflettere delle cime di alberi e passaggi di voli o a specchiare, inverdito, il cielo sovrastante e la greggia di nubi. E l’increspatura dell’onda.
Un ultimo Haiku della poetessa ligure prelude all’avvento della luce notturna
L’argentea ala
dell’airone si tende
sulla notte.
Verso l’estuario nell’ora del crepuscolo. Le acque dell’Adige che fino ad un istante prima restituivano gli ultimi raggi del tramonto ora son divenute una massa d’argento opaco e liquido che scorre. Di verde cupo si tingono gli olmi, i carpini, gli alberi di pruno sulle rive mentre il cielo ormai transita dall’ultimo celeste al blu. D’un tratto levando lo sguardo per un istante, vedo poco sopra le cime arboree un airone, il solito che incontro quasi ogni volta che percorro questo viottolo a quest’ora. Con il lento battito delle ali che sembrano impolverate di cenere risale la via tracciata dalle acque per tornare al suo riparo notturno.
Poscritto
Agli aicu della poetessa Gabriella Chioma ho trovato dilettevole accompagnare un esempio di tali brevi poemi in francese ed uno in tedesco. Per fare della cresta alpina anche uno spartiacque poetico con i mondi germanico e francese. Possiamo immaginare infatti che la pioggia che investe questi monti non sia soltanto nutrice delle acque e dei suoli ma divenga pure una sorta di fluido luminoso che si sparte nei vari versanti scorrendo materiale e immateriale come immagine, baleno, visione onde prendere forma poi nelle lingue che risuonano in questi versanti. Dell’arco alpino, assimilabile ad un’ala falcata alcune piume orientali rendono il nostro latino limitrofo allo Slavo. Ed alcune piume sparse di questa grande ala vibrano a composite favelle “ladine”. Che vi siano poeti romanci, ladini, friulani o sloveni che abbiano composto pure loro degli aicu? Da queste poche linee di poscritto il lettore vede che in più mi ardisco a proporre una scrittura abbreviata d’un termine che immagino sia già entrato da tempo nel nostro tesoro linguistico.
Il volume della Chioma ha per titolo Satori, è edito in quel di Treviso e in un ammontare di sole 123 copie dalle Edizioni del Tridente. Esso è pure illustrato da graziosi disegni a china di fiori e piante cari al mondo nipponico quali peonie, pini bonsai e altri. Il tutto è stato sottoposto alla cura grafica dell’Autrice, che ha scelto gli eleganti caratteri Garamond e una carta pregiata di colore biondo assai tenue. Per il diletto completo di quel nuovo e antico genere di lettori quali sono i lettori autori si possono tingere ad acquarello le quattro illustrazioni trasformando il volumetto in un esemplare unico. Lettore autore è un sostantivo composto che ho trovato in uso entro una postfazione ai testi di Nietzsche nelle Edizioni di Ar. È un termine di raro vigore sulla cui riflessione e comprensione dei sensi possibili conviene soffermarsi.
Poscritto secondo
Traggo all’istante da una delle mensole che nella stamberga svolgono incolonnate il grato ufficio d’una biblioteca un volume minuscolo. È di sole trenta pagine. E il suo formato davvero inusuale è di otto per dodici centimetri. Contiene i poemetti composti in lingua inglese da uno scrittore nipponico, Junzaburo Nishiwaki. Fin dalla prima scorsa del volume, effettuata tempo addietro, rammentavo una suggestiva composizione brevissima:
olimpico ancheggiar fosforescente
ora risfogliando le pagine, il cui formato andrebbe bene per il vademecum che un viatore di selve si porti nello zaino, scopro, in alto alla pagina che alberga i tre termini del poema minimo dispersi nel mare della carta bianca, e pure se questo mare è solo un laghetto, anche il titolo: Scultura greca. Se si contano le sillabe e si compone titolo e poema con retta ortografia il risultato si palesa in un aicu che evoca la tenue sensualità unita indissolubilmente alla bellezza nella quale gli Elleni videro il segno d’un crisma divino
Scultura greca,
olimpico ancheggiar
fosforescente.
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