La Nera Signora e John Keats

Esposizione analitica sulla morte, non sempre da allontanare come un tabù

La dipartita è una dimostrazione di sconvolgente pragmatismo, verità e spessore umano, una lezione di vita che provoca meditazioni, controversie, prese di posizione ben definite

di Il Melo

Esposizione analitica sulla morte, non sempre da allontanare come un tabù

Da sempre l'idea della morte è stata rimossa e allontanata come un tabù.

La nera signora,tendiamo a nasconderla come se fosse ignobile e inquinante.

In essa vediamo soltanto orrore, follia, afflizione inutile e penosa, oscenità insopportabile.

Invece è l’attimo culminante della nostra vita, il suo coronamento, quello che finalmente le dà senso e valore.

E’, però, innegabile che resti un mistero insondabile, un enorme, gigantesco punto di domanda che tratteniamo dentro la nostra anima, nell'intimità più profonda.

La morte è una dimostrazione di sconvolgente pragmatismo, verità e spessore umano, una lezione di vita che provoca meditazioni, controversie, prese di posizione ben definite. 

E spesso mi fa pensare agli amici, più o meno della mia generazione, morti quando erano ancora nella pienezza della loro vita. Non li definisco “amici” per inerzia, come se dicessi “conosciuti”, non amici occasionali, ma gente con la quale ho collimato e simpatizzato in alcuni atti. Parlo di amicizie sostenute e regolari. Parlo di uomini e donne con le quali ci riunivamo frequentemente per mangiare o cenare insieme, già anni fa, o facevamo alcuni viaggi insieme.

Ne rammento i nomi e rivedo i loro gesti e mi sembra di udirne le voci: Fedora, Rossano, Maurizio, Lella, Giuliano, Lea, Silvano, Pierino, Piero, Franco, Dina … e altri.

Rifletto su queste premature scomparse e resto, come sempre, desolatamente sconvolto. È da 25 o 30 anni che non stanno oramai più tra noi, la mia storia della maturità è legata ai loro gesti e alle loro ultime parole.

Suppongo, e spero che anche molti lettori conservino nel loro cuore e nella loro mente coloro che erano stati definiti amici.

Un grande poeta, John Keats, ha emesso una sorta di sentenza che considero scandalosa: “La morte è la più alta onorificenza della vita.”

Non so se, quando qualcuno muore, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi amori arrivino a invidiarlo perché è riuscito ad ottenere il premio più alto che la vita può assegnare, e se chi presenzia alla sua funzione funebre si consideri un rispettato sfortunato.

Nobile d’animo sig. Keats, lei è già stato premiato con la morte, ma sarei curioso di sapere se prima della sua dipartita pensava la stessa cosa.

Quindi, non esaltazione, non tributo alla morte, come amava recitare il celeberrimo poeta inglese, ma solo la via maestra per fuggire all’insensatezza, alla crudeltà, all’astiosità dell’essere umano che rende il bene più prezioso un vero inferno.

Il mezzo più utilizzato per ritrovare la pace è il suicidio, notizia che lascia sempre un senso di smarrimento in chi la riceve. Perché uccidersi?

In primis va detto che solo in sporadici casi la persona che si toglie la vita lo decide in maniera istantanea e inaspettata. Il più delle volte il suicidio è la parola fine a un vissuto interiore doloroso e dilaniante, in cui molteplici sono i dubbi sul porre in essere o meno l’azione.

Ciò avviene per le persone profondamente depresse o che si trovano ad affrontare situazioni di vita che ritengono estremamente ingiuste ed insopportabili come ad esempio un'improvvisa carcerazione, la perdita del lavoro e l’impossibilità di continuare a mantenere la famiglia, una malattia gravissima, la fine di un amore e via dicendo.

In un primo momento l’individuo che soffre per uno di questi motivi inizia a considerare l'idea di suicidarsi, dapprima non in maniera veramente intenzionale, ma come una possibile soluzione alla fine stessa di tutta questa sofferenza.

Il suicidio è visto come l’ultima, ultimissima via di fuga da percorrere nell’eventualità che gli eventi precipitassero ancora di più.

E questo dà la possibilità di cominciare a immaginare la propria dipartita in maniera positiva, come risoluzione di ogni problema. Non si ha più terrore di essa, ma la si vede come un' “amica” che ci ridarà consolazione e pace. Poi, quella che all’inizio era una mera idea comincia a prendere le fattezze di un vero proposito, di porre fine alla propria esistenza. E, allora, si valutano pro e contro della scelta finale e ci si trova a combattere contro sentimenti opposti, fra la voglia di vivere e quella di morire, fra disperazione e speranza.

Alla fine, la decisione di suicidarsi prevale su tutto. Spesso, però, anche se si è determinati, succede che all'ultimo momento l'istinto di sopravvivenza prevalga e si ritorni sulla propria decisione o il tentativo di togliersi la vita non riesce per qualche errore tecnico...

Una cosa è certa, però, nessun magistrato, nessuna malattia, nessun amore impossibile, potrà mai incarcerare, punire, demolire la speranza che abbiamo risposto sulla nostra unica via di fuga, sulla nostra possibilità di salvezza eterna, sulla nostra unica, grande amica sulla quale potremo contare finché vivremo.

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