Impossibile prendere sul serio le minacce dell'Isis di conquistare Roma

Fallisce l 'attacco con i paracadutisti: impigliati nelle parabole, divorati dai gabbiani, soffocati dai miasmi di Malagrotta

Cronaca surreale del tentativo di sbarco del califfato nero nella Capitale di Stefano Disegni per il Fatto Quotidiano

di  Totalità

Fallisce l 'attacco con i paracadutisti: impigliati nelle parabole, divorati dai gabbiani, soffocati dai miasmi di Malagrotta

Il primo tentativo dell’Isis di conquistare Roma e mangiare il Papa uso kebab era fallito (lo avevamo raccontato sul Fatto Quotidiano il 6 luglio scorso) per oggettive difficoltà registrate nella marcia su San Pietro: scelta infelice dell’orario di transito sul Raccordo (non la instauri la Sharia avanzando a 12 all’ora co’ i scooteroni che te passano de qua e de là e se portano via ‘i specchietti dell’autobblindo) e troppe manifestazioni concomitanti (I Gay, Lo Sciopero dei Poliziotti, I Fomentati-Lotitovattene e “Uno Zingaro Per Amico”, sospesa dopo mezzora per la sparizione di 26 portafogli e alcuni tablet), per via delle quali il Centro Storico era transennato perfino sulle terrazze dei democratici.

Ma la conquista del cuore della Cristianità era troppo importante, anzi, decisiva per il nuovo ordine mondiale voluto da Allah.

Così Al Baghdadi ci riprovò, addirittura rilanciando: stavolta non si sarebbero presi solo Roma, ma pure le romane. “Cazzi vostri” disse er sor Augusto leggendo la notizia sul Messaggero mentre ci incartava le sarde al mercato de Piazza Epiro. “Che voresti di’?” gli rispose ‘a sora Giulia, intestataria del banco e prima finanziatrice. “Gnente” disse er sor Augusto e tacque. Stavolta però quelli dell’Isis, memori dell’esperienza precedente, si fecero scaltri.

Niente attacco frontale bloccato sul Raccordo, niente presa del Vaticano impedita dalla viabilità cittadina (gli informatori avevano fatto avere al Califfo una pianta delle strade di Roma, ma ogni 10 minuti dovevano fargliene avere un’altra per via dei cambiamenti dei sensi unici pensati dal Sindaco Marino e a quel ritmo parossistico era impossibile aggiornare i navigatori dei carri armati). Stavolta l’Isis avrebbe attaccato di notte, furtiva. Con i paracadutisti. Gruppi di barbuti sarebbero silenziosamente scesi in più zone della Capitale, ricongiungendosi a terra per dare inizio così alla conquista di Roma dall’interno. Stupiti anche stavolta dell’assenza di aviazione nemica, i guerriglieri giunsero indisturbati sul cielo capitolino.

Sincronizzate le clessidre (Al Baghdadi vietava di utilizzare orologi digitali, simbolo del blasfemo Occidente, il suo Rolex infatti aveva le lancette) i miliziani, nel buio silente della notte, si lanciarono sulla città. Qualche centinaio di barbuti morirono subito, impalati sui ripetitori dei cellulari (i sopravvissuti li finì il cancro due anni dopo) o appesi alla selva di parabole Sky (“Nun se vede più un cazzo, chiama er nummero verde”) e disossati vivi da nugoli di gabbiani feroci che non ne potevano più di monnezza, mignoli di barboni e combattivi sorci de’ fogna. Altri atterrarono a Trastevere, nei pressi di Piazza Trilussa, cuore della Movida notturna.

Morirono in modo atroce sotto le secchiate di olio bollente che i residenti tiravano sulla folla urlante di ubriachi, tossici , duellanti all’arma bianca, americani nudi, tedesche strafatte, bonghisti di colore, coatti da combattimento e teppa varia che ogni notte impediva a la ggente che la matìna lavòreno di dormire, nonostante esposti su esposti.

Altri miliziani di Allah caddero nei vicoli, inconsapevoli del “Carcio’n’bocca”, la nuova moda giovane che nei vicoli trasteverini aveva soppiantato quella del “Knockout” (un passante veniva ammazzato a cazzotti, vinceva chi c’era riuscito con un cazzottone solo): stavolta il passante doveva essere ab-con un e - ceva se poteva calà tutte ‘e pasticche degli altri concorrenti.

I pochi miliziani superstiti, sordi per i decibel dei discobar, lordi di vomito altrui e derubati pure dei kalashnikov, si consegnarono alla volante della polizia che gli disse de annàssene a dormì che de casìni ce n’avevano già troppi e c’hanno ridotto l’organico, mortacci de Renzi.

Non andò meglio al Commando Medina atterrato sulla Tiburtina alla fermata del 508 a Corcolle. Arrivato l’autobus, un’orda di 260 immigrati si riversò sull’automezzo sospingendovi i 30 guerriglieri di Allah prima che potessero opporre resistenza o almeno spiegarsi. Fecero appena in tempo a vedere l’autista dell’Atac che scappava inseguito da frecce incendiarie.

Poi i 260, in maggioranza neri, mentre smontavano i sedili si accorsero che quelli dell’Isis erano barbuti sì, ma bianchi. Nei tre secondi precedenti l’Olocausto, un miliziano sparò in aria a scopo intimidatorio. Pessima idea. Scambiati per controllori mimetizzati, i militanti coranici furono costretti a ingollare mezzo chilo di eroina ciascuno, per poi essere abbandonati sulla Tiburtina, di notte e in totale deliquio, in mezzo a una strada dove all’Autovelox je sparano.

Altri parà furono altrettanto sfortunati: atterrarono sull’attico panoramico di alcuni intellettuali che cercando il dialogo, offrirono loro cous cous in segno di pace e li rincoglionirono di riferimenti e citazioni finché non si buttarono di sotto prima di firmare una petizione. Altri finirono a due chilometri dalla discarica di Malagrotta, ma ancora in volo erano già morti per i miasmi. Una decina centrarono il lucernario di “Checco ar Montarozzo ”, piombando in mezzo a una tavolata di 50 Milf mesciate/palestrate/labbroenfiate che celebravano l’addio al nubilato di una quarantottenne all’ultima spiaggia.

Fu quella l’unica volta che i guerrieri del Califfato si ricordarono che dovevano pigliarsi le donne. Ma furono le donne a pigliarsi loro. Non si scherza con gli addii al nubilato. Trascinati in un capannone e scopati a sangue, furono abbandonati stremati, in balia dei cani e di certi rumeni che gli fregarono tutto, prima di possedere i più carini.

Al Baghdadi, cui le somiglianze tra la Capitale della Cristianità e l’Inferno descritto dal Profeta sembravano sempre più evidenti, diede l’ordine di sospendere i lanci, intravedendo con nitida chiarezza i motivi del non intervento dei caccia italiani.

 Stefano Disegni per “il Fatto Quotidiano”

 

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