Editoriale

Vanità di Vanità

Cerco insomma continuamente di fare quello che ci insegnano tutte le “Vie”

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

hi tra voi avrà visto quell’eccellente film che è “L’Avvocato del Diavolo”, senz’altro non avrà dimenticato lo straordinario monologo finale tenuto da Al Pacino in qualità di Lucifero. Tra le cose che il Principe delle Tenebre dice – tutte purtroppo vere – conclude con la formidabile battuta che fa: “la vanità… il mio peccato preferito”.

Già Filippo Neri, uno dei più grandi mistici che l’Occidente abbia avuto, ma anche il “Santo della gioia”, era solito dire: “Tutto è vanità”, riprendendolo direttamente da un passo della Bibbia, nel “Qoelet”. Dunque la Vanità è un motore potente, è ciò che ci domina, in misura più o meno grande, tutti. Nessuno escluso, né “prenci, prelati et potenti”, ovvero né nobili, né sacerdoti né nessun altro che abbia potere, come ad esempio gli artisti.

Come artista sono vanitoso in sommo grado, come lo erano quelli ben più grandi di me, come immodesto scrittore altrettanto, non più di tanti che però, ipocriti e farisei, fingono di non esserlo. Me ne rendo ancor più conto in questi giorni facendo promozione al mio nuovo libro. Cadere nella trappola della “vanitas” è facilissimo, perché è dolce come le cosce vellutate d’una donna o come il miele di Moreria o il vino di Shiràz. La vanità è il più allettante dei peccati, aveva ragione Lucifero, alias l’Avv. John Milton di New York City.

La Vanità è un oppiaceo che ci fa dimenticare che “in pulverem reverteris”, che di tutto ciò che facciamo, delle nostre azioni non resterà, nel migliore dei modi, che un “vago ricordo” sempre che, come diceva Keats, il nostro nome non sia stato “scritto sull’acqua”. Insomma tutto ciò al quale ci aggrappiamo oggi è destinato  a passare; è “impermanente”, dicono i saggi facendo ruotare i “mulini della preghiera”. Naturalmente questo non deve divenire una scusa per “non fare”, per lasciarsi prendere dall’altro vizio, quello dell’accidia che porta a dire “tutto è inutile”. La Vanità si annida dove meno ci rendiamo conto.

Pertanto, per non cadere in tentazione, per non essere appunto “tentato nella vanità”, forse facilitato da un carattere che è incline non soltanto alla malinconia, ma anche all’ironia e all’umorismo, cerco sempre di non prendermi mai troppo sul serio, scherzo per primo io su ciò che faccio, sui miei libri, sui miei lavori. Cerco insomma continuamente di fare quello che ci insegnano tutte le “Vie”: combattere il nostro Ego. Ma io lo faccio con un’arma affilata quanto difficile da maneggiare, lo faccio ridendo di me stesso e delle mie opere che sono appunto “vento” come è scritto nell’”Ecclesiaste”. Mi ricordo, ad ogni passo, di quello che Monicelli fa dire al suo Marchese del Grillo interpretato da Alberto Sordi: “…nun sete ‘n cazzo!”, perché se lo ricordassero invece tutti quelli che - scrittori, attori, politici, giornalisti, pittori, musicisti e altro - troppo spesso continuano a prendersi sul serio… “quello” noi siamo.

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