Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La città siriana di Kobani si spoglia progressivamente del giogo islamista.
Dopo un mese di grande incertezza, nel quale più di 180.000 civili sono fuggiti in Turchia per trovarvi un posto sicuro, la milizia curda, con l'aiuto fondamentale dei bombardamenti sempre più pesanti dell'alleanza dall'inizio dell'assedio allo Stato islamico, sembra riuscita ad allontanare i jihadisti dal centro della città. Ora la presenza dell’Isis sarebbe stata ridotta a “due posizioni ad est” dalla città di confine del Kurdistan siriano confinante con la Turchia, come fonti paramilitari curde hanno hanno rivelato alla BBC.
L'Osservatorio Sirioper i diritti umani ha stilato un bilancio di questo mese di combattimenti, documentando la morte di 662 persone, di cui almeno 374 militanti jihadisti caduti a causa dei bombardamenti della coalizione .
L'agenzia con sede a Londra, ma con una vasta rete di partner in terreno di guerra, ha detto che “il numero effettivo di morti è pari al doppio”, ma è impossibile una dettagliata verifica “a causa della estrema segretezza circa le perdite da entrambe le parti, in aggiunta alla difficoltà di accesso a molte aree e località che sono teatro di scontri e bombardamenti.”
Dagli Stati Uniti, il portavoce del Pentagono John Kirby, ha riferito di continui attacchi su cinquanta posizioni poste a Kobani dall’Isis nelle ultime 48 ore, e la morte di “centinaia di jihadisti.”
Per Kirby “quanto più desiderano una cosa, più risorse impiegano e quindi non hanno più obiettivi da attaccare”, ma ha voluto evitare di dare un senso di vittoria alla sue parole e ha avvertito che la situazione sul terreno può cambiare da un momento all’atro.
La veemente reazione della coalizione è arrivata dopo che gli islamisti hanno piantato, all'inizio del mese, due bandiere nere in piena frontiera con la Turchia, visibili alle telecamere e ai taccuini della della stampa mondiale che segue gli scontri dal lato turco della frontiera.
Davanti alla passività di Ankara, Washington ha reagito dopo le petizioni di aiuto da parte dei partiti curdi e dell’ONU e ha cominciato i bombardamenti che a poco a poco hanno soffocato la spinta islamista.
L'inviato speciale dell'organismo internazionale in Siria Staffan de Mistura, ha chiesto all'inizio della settimana ai vertici di Ankara l'apertura di un corridoio per “l'entrata in città di volontari e dei loro equipaggiamenti, affinché contribuiscano all'operazione di difesa”, e così da “evitare un massacro.”
Il diplomatico svedese ha portato alla mente di tutti cosa è successo a Srebrenica e ha affermato che “se non agiamo ora, tutti, anche la Turchia, ci dispiaceremo molto di avere perso l'opportunità di fermare lo Stato Islamico.”
Per settimane Kobani ha eclissato al resto del mondo le operazioni dell'alleanza portate avanti su tutti i fronti aperti sia in Siria che Iraq e ha riconsiderato la carta della Turchia, che si è negata di prestare qualunque tipo di appoggio ai miliziani curdi sin dal principio.
La richiesta più sentita da parte dei miliziani è stata l'apertura di un corridoio per l'entrata di alimenti, armi e combattenti nella città più importante di uno dei tre angoli che formano il Kurdistan siriano o Rojava, in lingua curda, vicino a Yazira ed Efrén, ed in arabo conosciuta come Ain Al Arab.
Il Partito per l'Unione Democratica (PYD), considerato il braccio destro siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), è la forza più importante e le sue milizie sono quelle che combattono in prima linea i miliziani dell'Isis.
A dispetto della tregua, il presidente Recep Tayyip Erdogan ripete nelle sue apparizioni televisive che “il PKK è tanto terrorista quanto lo Stato Islamico”, una posizione che ha tinto d’incertezza il processo di negoziazione.
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