Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Il racconto a puntate dove ha fatto capolino la minuscola Fiat 500 alimentata a gassogeno può aver fatto nascere nel lettore la curiosità per lo strano e obliato artificio di far marciare i motori a scoppio per mezzo di un combustibile solido e spigoloso. Combustibile lontanissimo dalla candida semplicità, troppo facile per non suscitare qualche apprensione in chi è lungimirante, delle benzine che si versano con nonchalance nel serbatoio delle automobili, come il thè o l’acqua nelle brocche e nelle tazze, e dipoi accendono il vulcanico propulsore pronto a scaricare su organi di trasmissione e ruote potenze sempre più alte per velocità sempre maggiori. In una ascesa di numeri che può apparire, di nuovo al lungimirante di cui sopra, vagamente dissennata. Vale di dare dunque una qualche integrazione atta a comprendere un aspetto importante e non trascurabile della motorizzazione e della circolazione lungo gli anni del conflitto 1940/45 nell’Europa continentale.
Qualche apprensione faceva già capolino negli anni trenta presso gl’ingegneri di nazioni europee quando cominciava a profilarsi sempre più nitida l’idea d’una motorizzazione di massa. Da un’enciclopedia popolare italiana del 1935 si poteva leggere la notizia che intorno a quell’anno circolassero negli Stati Uniti circa dieci milioni di automobili. Con un paio di conti era facile comprendere quanto enorme dovesse essere in numero la quantità di benzina necessaria a muovere questo traffico. E altrettanto spietata era la deduzione che chi era buon ragioniere si traeva da un qualsiasi manuale di geografia fisica ed economica: in Europa il petrolio da cui trarre la benzina scarseggia. E in ogni caso non rende possibile lo sviluppo motoristico americano, vigorosamente nutrito da pozzi petroliferi del Texas che allora come oggi paiono quasi inestinguibili, pure se per i geologi tali non sono. L’Europa fatalmente doveva, esattamente come oggi, importare il petrolio. Forse un’eccezione la costituiva la Gran Bretagna in grazia del suo obsoleto impero, o la Russia sovietica ricchissima di materie prime, avviata verso un’elettrificazione capillare con la costruzione di dighe gigantesche e non così interessata, come l’Europa occidentale, al procedere con la motorizzazione di massa. Altre erano infatti le sue priorità. Francia, Italia, Svizzera, Svezia, Belgio e Olanda, Austria, Deutsches Reich, nazioni tanto ricche di inventiva meccanica e iniziativa imprenditoriale quanto povere di petrolio si misero seriamente alla ricerca, di nuovo oggi attuale pur con altre soluzioni, di possibilità alternative nell’alimentare i motori a scoppio.
Guerra ed economia vanno di pari passo e lo si sa bene anche quando la guerra è ancora ritratta, come vuole il von Clausewitz, entro le scene della politica e non fa rullare i suoi tamburi. I primi a scorgere un problema nell’approvvigionarsi del combustibile per la trazione meccanica furono, almeno in Francia e nel Reich, alcuni dei militari più avveduti. Dal 1925 al 1935 è infatti un fiorire di pubblicazioni intorno al nascere dell’arma corazzata ed alla necessità di superare il dissanguarsi delle classi di leva dovuto alle logoranti guerre di posizione con rapidi spostamenti di truppe capillarmente motorizzate. Ma spostare le truppe a bordo di autocarri presuppone la disponibilità di combustibili per il motore a scoppio. E questi non sono inesauribilmente disponibili alle fanterie sia pure corazzate: vi è l’aeronautica che in caso di attacchi aerei al suolo nazionale vuole priorità assoluta. Ecco dunque definitivamente volto al tramonto il vecchio ricordo delle tradotte ferroviarie che abbisognano solo di carbone: gli anni 30 devono avere benzine e petroli come risorsa politica e militare se non si vuole restare troppo in ombra. In breve: gli uffici tecnici di alcuni eserciti, scartate soluzioni d’economia per l’aeronautica, presero in esame la possibilità di usare gassogeni almeno per gli autocarri delle fanterie. In Francia si auspicarono studi di questa tecnica ed applicazioni di essa ai mezzi automobilistici dell’armata, in modo da sfuggire al capestro delle forniture straniere almeno in questo settore alquanto delicato. Forse con un qualche ritardo in ordine di tempo al problema si avvicinarono i germanici ma nell’arco di qualche anno tutte le nazioni europee fin qui nominate transitando la preoccupazione dei militari sulla motorizzazione civile effettuarono esperimenti di combustibili autarchici per i motori a scoppio.
Nel dominio della tecnica in genere ad un quesito non si dà una soluzione unica ma una molteplicità di soluzioni entro le quali trovare quella che rappresenta il miglior compromesso per l’applicazione designata. In breve: alla richiesta d’un apparato che consentisse di alimentare un motore a scoppio di autoveicolo con un combustibile autarchico e rinnovabile senza radicalmente cambiare la struttura dell’autoveicolo stesso, la soluzione più razionale era data dai gassogeni a legna del sistema Imbert, così chiamati dal nome di colui che li mise a punto fin dal 1920, l’ingegnere chimico francese Georges Imbert. Di qui in poi dunque una via è tracciata e su questa procedono in pratica tutti quei tecnici del vecchio continente chiamati a superare, con il sopravvenire delle crisi politiche e la conseguente guerra, il drammatico scarseggiare delle benzine. Nelle fotografie che seguono si danno i principali fatti che documentano soluzioni meccaniche ed artifici escogitati nell’adattare i voluminosi gassogeni a legna alle automobili del tempo. Spesso questi adattamenti hanno portato a costruzioni affastellate e arzigogoli di gabbie, staffe e tubi che trasformavano la macchina a quattro ruote in una sorta di medievale castello e carro. Ma, appunto, di qui è nata pure una specie di estetica non priva d’un suo fascino.
È necessario subito volgerci a comprendere per sommi capi il funzionamento d’un gassogeno Imbert. Nel disegno, il cassone cilindrico, Gaserzeuger, è il recipiente entro il quale si versa della legna in trucioli, Holz. In questo caldaio che viene chiuso sopra da un coperchio a tenuta stagna, una piccola apertura permette l’ingresso di un filo d’aria, Luft. Altrettanto da quest’ingresso, tramite un bastoncino acceso a fiamma all’estremità, una sorta di lungo fiammifero, si da fuoco alla massa lignea, da presupporsi sufficientemente asciutta; il fuoco si dovrebbe propagare bene entro lo strato dei trucioli esposti al filo d’aria e di qui si inizia la combustione. Questa però assorbe una quantità d’aria insufficiente per lo svilupparsi d’una fiamma rigogliosa quale conosciamo dai focolari di casa sui quali campano trionfali delle belle pentole in ebollizione, e presto si riduce ad un bruciare di braci che carbonizzano scendendo sotto forma di carbon di legno, Holzkohle, nella parte inferiore del caldaio che, si riconosce dal disegno germanico, è a doppio involucro. Ma in questa soffocata combustione quell’elemento aereo che non potè divenire fiamma perché privo del necessario ossigeno, sprigionatosi dalla legna, altro non è che un gas infiammabile, suscettibile quindi di muovere un motore a combustione interna.
Si vede dalle frecce il tragitto che tra i due involucri del caldaio effettua il gas, il quale deve attraversare come nei labirinti un tortuoso susseguirsi di ostacoli onde purificarsi delle polveri di legna carbonizzata da sé medesimo veicolate e raffreddarsi. Il primo passaggio della corrente gassosa avviene infatti in un recipiente a camere comunicanti e in bagno d’acqua, l’Absitzbehälter, attraversando il quale il gas è costretto a gorgogliare nell’acqua e di qui a depositare nel fluido le polveri grosse. Da questo filtro il gas sale, come indicato dalle frecce, nel radiatore di raffreddamento, Gaskühler, per poi ripulirsi ulteriormente delle polveri più sottili passando in un’altra scatola di filtraggio, il Nachreiniger, dove l’agente filtrante è una fitta massa di sughero. Il gas così raffreddato e purificato è ora pronto per il suo ingresso nel carburatore dal quale, mescolato con aria, si inoltra verso le camere di scoppio dei cilindri motori. Ma purtroppo la cosa non è agevole come pare: nei successivi filtraggi la corrente gassosa ha perso molto del suo vigore e l’uscita dal buon sughero filtrante avviene in grazia d’una pressione di poco superiore a quella atmosferica. Per arrivare ai pistoni serve dunque un aiuto: acceso che si è il caldaio si attende un qualche tempo, forse un quarto d’ora fino a che la pressione del gas che si volatilizza dai trucioli non sia salita ed abbia formato la corrente che, traversando filtri e radiatore, sbocca oramai indebolita dai fori del sughero. Qui interviene la ventola ausiliaria, Gebläse, che aspira la corrente del gas e la mette in movimento verso il carburatore, indicato nel disegno dall’ultima Luft, e cilindri. A questo punto ecco il trucco che si è inveterato nella pratica: la corrente del gas aspirata dalla ventola ausiliaria la si lascia disperdersi in aria interrompendo la conduttura che la avvia verso il carburatore, una volta che sia passato qualche minuto si prova a vedere con una fiamma pilota se l’elemento aereo che sorte dalla conduttura è gas infiammabile o solo aria. Se è gas, riconoscibile perché la fiamma del consueto fiammifero alla corrente gassosa divampa sommessa in lampi di color blu, si è pronti per la messa in moto: si riallaccia la conduttura al tubo che porta al carburatore e dopo aver spento la ventola si avvia il motorino d’avviamento. Non vi è più necessità della ventola ausiliaria perché la pur debole pressione del gas all’uscita dai sugheri basta per il tratto verso il carburatore entro il quale vi è la depressione continua causata dalle fasi di aspirazione del propulsore.
Una procedura assai macchinosa non v’è dubbio. Ripagata però dal fatto che con dei trucioli di legna raccolti in teli e ovunque procurabili in un’Europa continentale con la benzina introvabile era possibile ancora un sia pur modesto traffico privato. E di poi, con trucchi, migliorie, compromessi sempre più razionali la complicata procedura di uso della macchina a gassogeno se non cambiava, si faceva almeno più spedita.
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