Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Il doppio baffo blu ha già invaso la Spagna
Il temuto doppio check azzurro è già sui nostri cellulari. Con esso, WhatsAppvuole che la sua applicazione diventi il centro della tua vita, utilizzando uno di quei meccanismi mentali nati dalla tecnologia: la necessità di sottoporre a controllo l’individuo.
Fino ad ora, il servizio di messaggeria utilizzava due contrassegni: il primo per sapere se il messaggio era uscito dal tuo telefonino, e il secondo per comprovare che era arrivato al terminale del destinatario. Cioè, i contrassegni servivano per comprovare che l’utilizzo funzionasse a livello tecnico. Che l'altra persona volesse leggerti o risponderti, era già un'altra cosa. Ora, se quei piccoli segni diventano azzurri, significa che ti hanno letto (Che hanno aperto la conversazione. Ancora non hanno il check che comprovi il movimento dei tuoi occhi per sapere se hai decifrato un messaggio concreto, ma dai loro tempo: quella tecnologia esiste già nel tuo cellulare).
Il movimento è una delle peggiori idee dei cinque anni di vita della piattaforma.
Ricorre agli oltre 600milioni di utenti e tenta di mettere più pressione su quegli interlocutori che tempo addietro hanno disattivato la procedura “Mostrare l’ultima ora di connessione”.
A difesa di WhatsApp, possiamo dire, che molti dei fruitori sono totalmente disattenti e non leggono mai le FAQ (Frequently Asked Questions), le istruzioni o qualunque documentazione che spieghi come funzionano le cose.
Chi non ha mai dovuto discutere con una madre, una fidanzata, un collega d’ufficio o un cliente rimproverandoli che “ sono venute le due marche grigie e non hai risposto”, alzi la mano. Il check azzurro esisteva già, inoltre: Whatsapp l'usava selettivamente in alcuni gruppi e, soprattutto, nei messaggi audio, uno degli usi maggiormente estesi tra gli utenti più giovani.
Quando quella ragazza fantastica ti ha inviato la suoneria del mare accompagnata da un tenero “buon giorno”, ha potuto sapere se non l'hai ascoltato - benché le avessi risposto con tutti gli emoticons di cuori del pianeta - vedendo il colore del file. Ma la sua popolarizzazione obbligatoria - e no, non serve non aggiornare l'app. - è terribile. È da molto tempo che i programmi di posta maneggiano notifiche simili, ma con due sottili differenze: bisognava introdurli apposta - con il 90% degli utenti che non sapevano che esistessero - ed il ricevente poteva rifiutarsi di confermarli.
Quello di Whatsapp, tuttavia, è ineludibile. E le conseguenze le vediamo: ansietà sociale, messaggi passivo-aggressivi tipo “ho già visto che ti è piaciuto molto ciò che ti ho detto 12 ore fa” e tutti quegli spiacevoli effetti di momenti privi di privacy nei quali ci siamo introdotti allegramente. Benché, sia chiaro, una cosa è accettare che i nostri messaggi privati -o tutto quello che facciamo sul web- passino per le mani di Google, Twitter o Facebook affinché possano vendere alle varie imprese la loro migliore pubblicità, e un’altra quando una delle nostre maggiori dipendenze sociali si trasforma in un panottico nel quale chiunque, con accesso a Whatsapp, può controllare il nostro comportamento. Peggio ancora: obbligano, tipo consiglio non richiesto, a modificarlo, affinché prestiamo più attenzione a Whatsapp e lasciamo ciò che stiamo facendo per rispondere rapidamente. E non è qualcosa che si risolva con due libricini di autosoccorso; ma se volete, vi propongo il mio: “Gli emoticons di Buddha: sette filosofie orientali per liberarti di Whatsapp, cara zia”, ovverosia cinque consigli dettati dal buonsenso.
Presto su queste pagine!
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