Editoriale

Muro di Berlino: il silenzio sulla sua storia avvolto di palloncini colorati e musichette

Una memoria che non resiste neppure cinque lustri, sostanziale indifferenza, profonda ignoranza sulle vere responsabilità

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

iù che a puntare sull’avvenimento in sé, il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino è stato declinato, soprattutto nel nostro Paese, con lo sguardo all’attualità politica, alle beghe interne ai  vari schieramenti, alle piccole polemiche d’occasione.

Invece di coltivare la memoria ci si è così trovati, in molti casi, a fare i conti con il rancore. Per le occasioni perdute e sprecate. Per i prezzi politici ed economici pagati da chi era al di qua della barriera, voluta dai sovietici nell’agosto 1961. Per il vuoto lasciato dal crollo del “vecchio ordine” bipolare. 

Il sondaggio online, alla domanda “secondo voi oggi la caduta del Muro di Berlino cosa rappresenta?” vede la voce  “inizio di un mondo peggiore” doppiare abbondantemente quella che indica “il trionfo della libertà”. D’altro canto, l’indagine, condotta dall’Istituto Demopolis, sulla percezione dei cittadini a distanza di 25 anni da quell’evento, mentre resta mediamente  impressa in 7 italiani su 10, si abbassa drasticamente sotto il 40 per cento tra chi oggi ha meno di 35 anni. Con pesanti vuoti sui protagonisti di allora: a partire da Mikhail Gorbaciov(ex presidente Urss), Helmut Kohl (cancelliere tedesco fino all’unificazione tedesca), Erich Honecker (ex segretario generale della Sed). E secondo Skuola.net, uno studente su due ignora del tutto l’anniversario.

Insomma una “memoria” che lentamente si sta sfarinando, perduta tra palloncini luminosi, concerti d’occasione e muri di cartone abbattuti per la foto di turno, senza che l’Avvenimento, depurato da ogni elemento di spettacolarizzazione, riesca ad essere percepito nella sua asciutta drammaticità, nella sua dimensione storica e metastorica, emblema attualissimo di un’Europa “sradicata”, che non sa fare i conti con il proprio passato e quindi neppure con il proprio futuro.

Oggi come ieri il Muro non ha avuto e non ha poeti indignati e cantautori “impegnati”, in grado di celebrare le cento e cento storie, vissute e dimenticate, intorno al mito di una libertà negata e cercata oltre un confine di cemento, alla ricerca di un destino immaginato senza quelle barriere, quei fossati, quei cavalli di frisia. Ma ugualmente gracile è l’indagine storica, perché, a fare bene i conti, anche qui le responsabilità, da una parte e dall’altra dei blocchi erano equamente divise.

Altro che  “Ich bin ein Berliner” di kennediana memoria. Come accusava lo scrittore Armin Mohler: “Chi vuol fare un capro espiatorio soltanto dei russi imbroglia le carte. Ogni volta che i russi hanno accentuato la divisione della Germania, l’hanno fatto d’accordo con gli americani. Il muro di Berlino è stato costruito dopo una serie di consultazioni preliminari con gli americani. Gli accordi con l’Est hanno finito per essere accettati a Bonn perché gli americani avevano fatto pressione sulla Cdu. E’ nella logica delle cose”.

La stessa “logica delle cose” che faceva giustificare il Muro ai comunisti italiani, barriera necessaria – si diceva – contro l’imperialismo occidentale.

Di tutto questo avremmo voluto sentire parlare in questo venticinquesimo anniversario. Per dare peso, il giusto peso,  ad una vicenda emblematica e complessa nella Storia del nostro Continente. Una Storia che non può essere dimenticata o archiviata solo perché ancora “imbarazzante” per tanta parte dell’establishment  politico e culturale dominante.

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