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Orsola Nemi

La lunga e inquieta attesa di Enrico

L'amicizia con Longanesi eil lavoro con lui, la traduzione di Flaubert, la guerra,

di Francesca Rotta Gentile

La lunga e inquieta attesa di Enrico

Henry Furst e Orsola Nemi erano era molto amici di Leo Longanesi, e quando dovette lasciare momentaneamente Bompiani per trasferirsi in riviera ove curare una persistente bronchite che non le dava pace, fu l’occasione per accettare l’offerta di trasferirsi a Roma appena possibile e cominciare a lavorare con lui. Era il giugno 1942 e la loro collaborazione era di grande soddisfazione per Orsola che scrive infatti in una pagina appartenente ad un quaderno del 1944: «Bompiani era un tipo un po’ snob, invece Longanesi!… era un uomo di intelligenza…ci si divertiva a stare con lui!».

Longanesi, aveva aperto un piccolo ufficio in via del Gambero, da dove dirigeva il «Sofà delle Muse» per Rizzoli. Orsola viveva in una piccola pensione, proprio in via del Gambero. Diceva che era un piacere vedere lavorare Longanesi, perché aveva un gusto particolare ed era un uomo meraviglioso, apriva un libro e vedeva subito ciò che era adatto e ciò che non lo era, aveva un fiuto straordinario e per Orsola collaborare con lui significava non “sedersi” mai. Longanesi le affidò diverse traduzioni; fra queste affrontò L’educazione sentimentale di Flaubert, che Montale si era rifiutato di tradurre perché troppo difficile. In una lettera di Orsola indirizzata a Lucia Rodocanachi e scritta da Roma il 23 aprile 1943 leggiamo:

«Qui da Longanesi rivedo traduzioni e traduco: il mio ultimo lavoro è stata la traduzione di Bouvard e Pécuchet e fu davvero un lavoro appassionante. Mi trovo bene, molto; sono quasi sempre sola in queste tre stanze dov’è l’ufficio di Longanesi, sull’attico con una grande terrazza e un gatto nero per compagnia. Abito in una pensione, presso certe suore genovesi, un pensionato universitario, vicino a Piazza di Spagna, e questo mi ha dato una grande serenità.»

Quando cadde il fascismo, Longanesi stava girando un film a episodi dal titolo Cinque minuti di vita. Le riprese si svolgevano alla Farnesina ed Orsola collaborava alla stesura del copione, aveva fiducia in quell’opera e ci rimase molto male quando le circostanze esterne imposero di troncare il lavoro.

Durante l’occupazione tedesca, essendo Longanesi passato nel sud con Mario Soldati, lavorò con Federico Valli, per le Edizioni Documento. Finita la guerra, riprese a lavorare regolarmente con Longanesi.

In tutti quegli anni di Enrico si hanno poche notizie. La fermezza di Orsola vacilla, teme che Enrico si sia dimenticato di lei e Moritz, ha molti dubbi e incertezze e mette in discussione anche la dedica ad Enrico di Cronaca, inizia a credere che non abbia più senso, dal momento che egli sembra sparito. Successivamente si ricrederà, scoprendo che la causa era la difficoltà di spedizioni postali dagli Stati Uniti, motivo per cui le lettere arrivavano anche mesi e mesi dopo.

In una lettera alla Rodocanachi del 18 novembre 1941 Orsola  scrive:

«I miei versi dovevano già uscire ma Enrico insisté che ne mandassi una copia a lui su velina, che non voleva il libro uscisse senza la sua approvazione così gliele spedii, e sempre ho atteso di giorno in giorno la sua risposta. La sua ultima lettera era del 28 agosto e arrivò il 15 settembre. Era molto contento, stava bene, appariva soddisfatto della sua occupazione nella libreria del Congresso. Da allora non abbiamo più avuto sue notizie. Ho ragione di pensare, o almeno quel suo stranissimo carattere, mi permette di pensare che egli abbia completamente dimenticato quanto finora gli è stato caro e prezioso. Ciò naturalmente non mi stupisce, ma mi dà un gran senso di vuoto e di smarrimento. Tutto il mio lavoro di quest’ultimo anno, e non è stato facile, mi sembra improvvisamente divenire inutile, peggio, quanto credevo che fosse un’opera di cui potevo essere contenta, mi appare una pazzia, non un castello in Spagna, ma un castello di carte. Serbargli Moritz educarlo per il suo ritorno era ormai per me un compito importante, mi aiutava come una fede; forse non pensa più neppure al bimbo. […] Sì, Maria e Moritz sono come, li ho fatti venire alla metà di ottobre, ho iscritto Moritz dai Barnabiti dove si trova molto bene, adesso gli farò anche continuare la musica che gli avevo già fatto cominciare questa estate a Recco. La torre è chiusa. Qui mi trovo bene; tutti sono gentili e buoni con me, ma il mio brutto e selvatico carattere mi fa sempre sentire una avversione invincibile per la città grande, per il chiasso e tante altre cose. […]Avrei bisogno di un consiglio delicatissimo. Il volume dei versi era dedicato a Enrico, glielo promisi: adesso dopo questa sua eclissi (speriamo temporanea) posso ancora serbare la dedica, o tutto ciò è assurdo e ridicolo. Nessuno meglio di lei può rispondermi. Grazie del suo ricordo. Tutti i miei pensieri più affettuosi. »

In data 4 dicembre 1941 Orsola, dopo aver letto le parole rassicuranti dell’amica, ritrova un po’ di conforto e di fiducia in Enrico e così nuovamente le scrive:

«Veramente Enrico è tanto caro e io gli voglio tutto il mio bene, ma non si sa quando viene, né quando si allontana, proprio come il vento; ma ella dice una cosa molto profonda quando afferma che malgrado ciò bisogna avere più fede in lui che negli altri.

Un giorno un ufficiale americano andò a trovare Orsola e le portò notizie di Enrico. Lei fu un po’ sollevata, ringraziò l’ufficiale e attese.

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