Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Ridurre i consumi al minimo è sempre possibile e la Fiat 500 con la trasformazione a gassogeno Stelvio del 1939 è un efficace contributo in tal senso al traffico del tutto autarchico. Nell’Italia appena entrata in guerra si era fotografata questa utilitaria, con i parafanghi decorati delle fasce bianche regolamentari e carica del suo piccolo gassogeno in coda e razionalmente schermato da un cofano ben raccordato alle linee della carrozzeria. Anteriormente, all’altezza del paraurti anteriore si scorge il filtro e radiatore di raffreddamento per il gas. Non è questa comunque la soluzione di massima economia possibile: nel tempo di guerra si videro in Germania, Francia e Svezia addirittura delle motociclette con il carrozzino sulle quali era stato installato il gassogeno. Né erano mancate, per propagandare la buona idea dell’ingegner Imbert semplici motociclette con un gassogeno minuscolo installato a lato della ruota posteriore. Soluzioni ovviamente più di studio che non effettivamente utili.
In quel di Padova, nella biblioteca di un rinomato istituto tecnico industriale, si trova ancora un bel volume della Hoepli stampato nel non sospetto 1937, anno nel quale era vivo il ricordo delle famose sanzioni per la guerra coloniale da poco conclusasi vittoriosa per l’Italia. Allora, tanto quanto avviene oggi sotto altra forma, appariva come un incubo l’improvvisa impossibilità di accedere al prezioso petrolio. Il titolo, se non erro con la memoria, è “Il conducente delle auto a gassogeno”. Opera scritta con la consueta razionalità didattica e la precisa documentazione che hanno dato alla casa editrice milanese fondata dallo svizzero Ulrico Hoepli un rispetto ed una stima divenute proverbiali. In questo saggio tecnico non solo erano presentate tutte le applicazioni italiane ed estere del gassogeno a mezzi agricoli, ad autocarri et cetera ma pure si indicavano tutti i trucchi spiccioli che deve osservare il pilota che voglia avviare il motore così alimentato nelle mattine gelate d’inverno o debba effettuare riparazioni al gassogeno. Nel rammentare i mezzi agricoli a gassogeno visti su quest’opera egregia ancora mi chiedo se non sia di interesse per delle buone amministrazioni di comuni lontani sulle montagne e non a corto della risorsa di precipitati dalla lavorazione del legname, quali sono i trucioli, di incoraggiare l’esperimento di macchine pubbliche quali automezzi di servizio adattati alla trazione a gassogeno così come nei comuni di alcune province padane gli stessi sono ormai mossi tutti dal metano, che è in pratica un sistema di alimentazione molto simile al gas di legna. Entrambi, metano e gas di legna sono accomunati nel vantaggio di preservare, con l’assenza di polveri solide inevitabili nelle benzine o nella nafta, la durata dei motori. Sia pure, questo, a scapito delle alte potenze, le quali in macchine di servizio raramente sono di estrema necessità.
L’uso dei gassogeni sulle automobili in Germania non terminò certo una volta che il gelido vento della tempesta si era acquietato. In una nazione in rovina quel poco di traffico privato che poteva sopravvivere intermesso alle lunghe colonne degli automezzi di quattro e più eserciti stranieri che ne calcavano il suolo era in molti casi di Mercedes Benz o Wanderer o BMW o Opel alimentate dal gas del loro caldaio, portato sul dorso della macchina quasi a figurare, ora, il basto durissimo della punizione inferta dalla sconfitta militare. Queste automobili ingobbite nelle linee dalle sagome a botte dei gassogeni circolarono almeno fino alla prima metà degli anni cinquanta. Prima che un esplosione di rigoglio economico, forse spontaneo in grazia delle esperienze di razionalizzazione imposte dall’economia di guerra, forse sottilmente propiziato da una potenza vincitrice consapevole dei grossolani errori di Versailles e decisa ad aggirarli con altra tattica, non avesse sedotto tutti, governanti e sottomessi ad abbandonare come ferri vecchi queste botti metalliche ove bruciare legna in trucioli per muovere la macchina. Fiumi di benzina si stavano riversando a pioggia sulla nascente nuova economia tedesca e tanto valeva obliare arnesi da portare con pazienza in pressione. Un effetto positivo dell’essere continuata la circolazione dei mezzi a gassogeno fino agli anni cinquanta inoltrati è stato in ogni caso quello che molti di essi si sono conservati, qua e là nelle campagne o nelle autorimesse, e campeggiano oggi onorati nei numerosi musei tedeschi dedicati alla tecnica. In Italia una Fiat 1500 a sei cilindri del tempo bellico, adattata al funzionamento con il gas di legna e ancora funzionante, pare trovarsi in un museo dell’automobile in quel di Bassano del Grappa.
Quella del gassogeno non fu comunque l’unica risorsa utilizzata dalla motorizzazione germanica negli anni di guerra: benzina ricavata dal carbone tramite il processo Bergius, e carburanti a base di alcol vennero in egual modo usati pure se non capillarmente come il gas di legna e più per i mezzi militari. In Italia un concorrente del gassogeno fu da subito il metano della Val Padana stivato nelle automobili su grosse bombole d’acciaio incastellate sulla coda esattamente come i caldai per i trucioli. Ne nacque una tecnica, imitata pure dai tedeschi fin dal 1938/39, che si è evoluta fino ai giorni nostri e rende la motorizzazione italiana all’avanguardia e di esempio per tantissimi altri paesi nell’uso accorto del metano. I nostri produttori di componenti relativi a questo uso del gas suddetto, quali bombole, riduttori di pressione et cetera esportano in tutto il mondo. Come avviene per il gas di legna, anche la combustione del metano nel motore a scoppio preserva il potere lubrificante dell’olio e quindi il motore stesso in virtù dell’assenza di polveri bruciate che formano depositi e morchie. Inoltre tale combustione, soprattutto nel caso del metano, ha un bilancio ecologico finale che ancora oggi non è possibile superare nemmeno con le evolute automobili elettriche o ibride che sono in sé dei veri laboratori di elettronica mobile. Se nel particolare la vettura elettrica non inquina quando viaggia pel tramite della corrente, si deve sempre tener presente che le modernissime batterie a ioni di litio e simili, che la produzione di corrente e di plastiche necessaria alla lavorazioni di tanti componenti la macchina et cetera hanno un impatto inquinante non così innocuo come sembra.
Poscritto
La Fiat 500 A del racconto, costruita dalla fabbrica torinese fin dal 1936 era un piccolo ma riuscito capolavoro della tecnica. Estranea a soluzioni di assoluta avanguardia quali il motore in leghe leggere, il raffreddamento ad aria, la trazione anteriore et cetera, la macchina torinese rappresentava in miniatura un condensato della tecnica già collaudata di allora. Tutto era eguale a ciò che si vi era in una vettura più grande, solo che questo era ridotto a delle misure quasi da orologeria. Il motore era un quattro cilindri raffreddato ad acqua con sistema a termosifone ovvero senza pompa di soli 569 centimetri cubi e con distribuzione a valvole laterali. La lubrificazione, nelle primissime serie non prevedeva una pompa ma era a sbattimento d’olio, giustificato dal basso regime di giri e dalla rudimentale distribuzione a valvole laterali che non richiede, in effetti, invio d’olio verso la testata. Con 13 cavalli a non più dei 4000 giri che avrebbero reso necessario un albero motore contrappesato, il propulsore risultava in ogni caso robusto spingendo il veicolo fino agli 85 chilometri orari. Esemplari del 1936 marciavano ancora infaticabili negli anni cinquanta e sono arrivati fino ad oggi funzionanti. Ogni cultore di storia dell’automobile sa che questo egregio progetto italiano venne costruito con successo in Francia dalla Simca con la denominazione di Simca 5, e dalla Fiat NSU nel Deutsches Reich. Ma è un fatto meno conosciuto che qui alcuni esemplari della piccola utilitaria abbiano servito con onore nei ranghi della Luftwaffe. Nella fotografia se ne ha un interessante documento: sul parafango della utilitaria un aviere poggia stanco e pensoso.
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