Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
tudiare latino e greco ai tempi di twitter serve ancora. Per scoprirlo non ci voleva il processo-spettacolo che si è tenuto a Torino, sul palcoscenico del Teatro Carignano. In veste di pm l’economista Andrea Ichino, dell’European University Institute, che ha accusato il classico di essere superato. Nel ruolo della difesa Umberto Eco. Presidente della giuria un magistrato vero, il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro, che ha assolto il liceo umanistico dalle accuse di iniquità sociale, frode nei confronti degli studenti (illusi di poter acquisire conoscenza e possibilità che non avranno) e persino una sorta di plagio, offrendo una visione distorta della realtà.
“Repetita iuvant” – per dirla alla maniera dei classici e rispetto ad una polemica molto datata e ricorrente, con l’immancabile chiosa – ascoltata anche in sede “dibattimentale” a Torino – su Giovanni Gentile, padre della “più fascista delle riforme”, che “voleva creare una scuola di élite impedendo alle classi svantaggiate di accedervi” (Ichino) e che non aveva fiducia nelle materie scientifiche (Eco).
L’esperienza e la verità storica dicono il contrario. Non è vero che il Liceo Classico ha impedito la “mobilità sociale”, così come è falso dire che Gentile ha influito in senso antiscientifico nella cultura italiana del Ventennio, posto che è di quegli anni la creazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (1923), dell’Istituto Centrale di Statistica (1926), dell’Accademia d’Italia (1926), dell’Istituto di Storia delle Scienze (1927), dell’Istituto di Sanità Pubblica (1934), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (1936), dell’Istituto Nazionale di Alta Matematica (1939) per non dimenticare dell’esperienza interdisciplinare dell’Enciclopedia Italiana (1925), di cui Gentile fu il grande regista.
Polemiche storiche e politiche a parte interrogarsi sul senso di un liceo spiccatamente umanistico, nel tempo dell’assolutismo informatico come l’attuale, è un argomento cruciale per l’intero Paese.
Lo studio delle lingue classiche non è infatti questione che riguarda solo uno studio specialistico, una ristretta cerchia di cultori della materia, ma tocca la più vasta comprensione di un patrimonio culturale, insieme letterario, filosofico, scientifico ed antropologico. E’ cioè una porta aperta per la conoscenza, una sorta di “battesimo profano – per dirla con Hegel – destinato a dare all’anima la prima e inalienabile inclinazione e disponibilità al gusto e alla cultura”, che riguarda certamente la formazione dei ceti dirigenti, ma non può non toccare la più vasta sensibilità collettiva.
Nel latino ci sono modelli ed impulsi spirituali che hanno segnato tutto il mondo civile. E’ quindi doveroso rivendicarli con orgoglio, anche di fronte a certi tentativi di rendere predominanti modelli linguistici dialettali e provinciali o, d’altra parte, di farsi contaminare acriticamente dai neo-linguaggi della globalizzazione.
Ma è anche necessario, proprio nel momento in cui c’è una presa di consapevolezza sul ruolo e la funzione formativa del latino ripensare i sistemi d’insegnamento e migliorarne la diffusione.
E’ un tema politico, e perciò – come si può leggere nel dispositivo, emesso a chiusura del “processo” di Torino – “spetta al Pubblico Ministero indagare su eventuali comportamenti omissivi di chi, avendo responsabilità di governo, non ha attuato la riforma, venendo anche meno al dovere di fornire alla scuola risorse personali e strutturali assolutamente necessarie per il suo funzionamento”.
E’ certamente questione che tocca il corpo docente, a cui va chiesto di non limitarsi ad una pedissequa ed un po’ stanca applicazione del metodo grammaticale-traduttivo, impegnandosi piuttosto a “vivificare” l’insegnamento del latino, coinvolgendo gli studenti in un viaggio affascinante alla scoperta della tradizione e della cultura romana, ancora prima che all’apprendimento di regole.
Ed è ancora problema che riguarda, più in generale, la sensibilità collettiva, gli organi d’informazione, le case editrici, gli operatori culturali.
Riscoprire il latino per “reinventarne” l’apprendimento, rendendolo capace di parlare alla sensibilità moderna ? Impresa difficile, ma non impossibile, sulla quale sarebbe interessante aprire una seria riflessione, ipotizzando inusuali “contaminazioni”.
Su questo versante, perfino il Padre del futurismo arriva ad offrirci qualche spunto interessante.
Invitato, nel 1931, da Ettore Romagnoli, membro dell’Accademia d’Italia e direttore della “Collezione Romana”, a proporre una nuova traduzione de La Germania di Tacito, Filippo Tommaso Marinetti, quasi a volere giustificare il proprio impegno “passatista”, poneva a premessa della sua traduzione una sorta di decalogo, che offre – ancora oggi – interessanti elementi di attualità.
In Tacito il Padre del futurismo non solo trova elementi di “concisione, sintesi e intensificazione verbale”, ma rimarca come la creazione delle “parole in libertà”, l’originale creazione futurista, non provenga da ignoranza delle origini della nostra lingua, individuando nella “virile concisione Tacitiana” la sorella della lingua italiana, “contro la prolissità decorativa del verso e del periodo”.
Di stretta attualità la chiosa marinettiana, impegnata a dimostrare “l’assurdità dell’insegnamento scolastico latino, basato su traduzioni scialbe, errate e su cretinissime spiegazioni di professori abbrutiti, tarli di testi e teste. Un efficace insegnamento della letteratura latina esige traduttori ispirati quanto i latini tradotti, e interpreti sensibili capaci di trasfondere la vita del genio”.
Rilanciamo allora, sull’onda di una “rivalutazione” del Liceo Classico l’invito marinettiamo: meno traduzioni scialbe, meno “cretinissime spiegazioni”, più entusiasmo per rendere partecipi gli studenti del genio latino.
Per sentirci tutti più impegnati nella valorizzazione della nostra identità, magari ripensandola futuristicamente più moderna e dunque capace di parlare alla sensibilità delle nuove generazioni. Ne va dei destini non solo della Scuola italiana e dei futuri ceti dirigenti, ma di un pezzo essenziale della Storia e della cultura d’Italia e d’Europa.
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