Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
n fantasma s’aggira per l’Italia. È quello della destra che fu. Diluita prima nel brodo lungo del Pdl e poi polverizzata e frantumata dalla diaspora di gruppi, gruppetti e partitini formato mignon, la destra è oggi inesistente ed ininfluente. A differenza di altri partiti, sciolti dalla mancanza di consensi (basta ricordare le morti ingloriose del Partito d’azione, del Psiup o del Pdium) la fine della destra è stata provocata unicamente dalla colpevole imbecillità dei suoi capi: la classe dirigente più sgangherata, incolta e approssimativa che mai si sia affacciata sul proscenio della politica dai tempi di Eliogabalo. Dopo aver «passato le acque» a Fiuggi, ed essere stati «sdoganati» da Berlusconi, il generale Fini ed i suoi colonnelli, infischiandosene dell’antica «diversità morale» missina, hanno subito preso d’assalto le cucine della caserma e si sono lestamente «attovagliati» al desco della mensa dimostrando un gagliardo appetito. Accecati dalla voracità e obnubilati dal colesterolo, hanno ovviamente subito dimenticato i milioni di Italiani che, per decenni, avevano avuto fiducia in loro e li avevano votati. Il «popolo della destra», insomma, ha fatto la fine di quello evocato da Trilussa nella poesia L’Incontro de li sovrani, nella quale viene descritto l’incontro tra due re a bordo di una fregata.
Stai bene? - Grazzie. E te?
e la Reggina? - Allatta.
- E er Principino? - Succhia.
- E er popolo? - Se gratta.
- E er resto? - Va da sé...
- Benissimo! - Benone!
La Patria sta stranquilla;
annamo a colazzione... -
E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
- Evviva, evviva, evviva... -
E guarda la fregata
sur mare che sfavilla.
Quel popolo di destra, manco a dirlo, continua a «grattarsi», anche se, vista la… fregata, si guarda bene ora dallo strillare «Evviva, evviva, evviva». Tuttavia esiste ancora. A fare naufragio, in effetti, sono stati i re non i sudditi. E questo spiega perché, da anni ormai, gli ex colonnelli di AN, con relativo seguito di ufficiali, sottufficiali e (scarse) salmerie, si diano un gran daffare per mettere le mani su quello che fu il patrimonio elettorale (e non soltanto elettorale) della defunta AN. I poveretti, patetici nel loro vano annaspare alla ricerca del cadreghino perduto, non si rendono conto di sbagliare due volte. La prima, quando rivendicano come positiva l’esperienza di AN, che in realtà nulla ha lasciato di buono dal punto di vista politico e culturale. Sulla tomba di Alleanza Nazionale spicca, infatti, a mo’ di debordante epitaffio, la fotografia di Franco Fiorito, in arte Batman. Una prece. Non fiori, ma rimborsi.
Il secondo inescusabile errore, questi posteri di se stessi, lo fanno nel riproporsi come protagonisti della «nuova destra» che dovrebbe rinascere dalle ceneri di quella vecchia. Il popolo della destra, in effetti, appare oggi diviso su tutto, ma è sicuramente unito dal granitico rifiuto dei vecchi tromboni aennini. Insomma: la parola d’ordine - ovviamente categorica e impegnativa per tutti - è «Non vogliamo i colonnelli!».
Anche perché i colonnelli in questione continuano a tessere manovre come se si trovassero ancora nel Palazzo e non fossero, invece, com’è giusto, finiti a mendicare sui gradini. E, per di più, in cambio dell’obolo non possono dare in cambio nemmeno il «santino» del Duce, visto che l’hanno rinnegato tre volte quando a Fiuggi il gallo finiano fece udire il suo chicchiricchì. L’unico futuro possibile, per la destra italiana, è nella riscoperta delle sue radici populiste, come abbiamo più volte scritto noi de Il Borghese. E i fatti ci stanno dando ragione. Siamo stati tra i primi a guardare con speranza al Front National di Marine Le Pen, a difendere la Russia di Putin come bastione europeo contro l’invasione islamica, a scoprire e diffondere le tesi di Alexander Dugin contro la «società aperta» di Popper e le degenerazioni del capitalismo finanziario, a difendere la sovranità nazionale contro la moneta d’occupazione europea.
Siamo alla vigilia di un grande scontro di civiltà. La posta in gioco è la nostra stessa sopravvivenza come popolo. Ma gli ex colonnelli stanno pensando unicamente a come poter essere riammessi a Palazzo, magari dalla porta di servizio. Per ottenere lo scopo percorrono l’Italia in lungo e in largo, partecipando a convegni, riunioni, agapi fraterne che, immancabilmente hanno all’ordine del giorno la «riunificazione» delle varie anime della destra. E qui, ammettiamolo, la faccenda diventa complicata. Come si fa a riunire nello stesso pollaio tanti galletti che hanno ormai preso strade diverse? Cosa hanno in comune, per fare un esempio, l’ex almirantiano, ora forzaitaliota, Gasparri con l’ex rautiana Roberta Angelilli traslocata nel Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano?
E come si fa a «riunificare» la Destra di Storace che guarda a Silvio Berlusconi con i «Fratelli d’Italia» della Meloni che flirtano con Salvini?
Giorgia Meloni, per la verità, è l’unica che, sia pure con una certa riluttanza e con una certa ambiguità abbia lasciato uno spiraglio aperto all’opzione populista. Un’opzione che appare tuttavia poco credibile a causa della presenza, decisamente ingombrante, di dinosauri politici come Gianni Alemanno (con moglie Isabella Rauti al seguito) e dell’immarcescibile ‘Gnazio La Russa.
Duole dirlo. Ma l’unica riunificazione possibile, per gli ex colonnelli di AN al momento, è quella giudiziaria.
Divisi e dispersi dalla diaspora si sono, infatti, ritrovati tutti assieme, chi per un motivo chi per l’altro, ad affrontare alcuni procedimenti giudiziari.
«L’ultimo», scrive Paolo Fantauzzi su L’Espresso, «è l’ex ministro Altero Matteoli, oggi berlusconiano convinto. La Procura di Venezia ha inviato al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, il reato ipotizzato: Matteoli avrebbe ricevuto complessivamente 550 mila euro in contanti per favorire l’assegnazione al Consorzio Venezia Nuova e alle imprese consorziate i finanziamenti per la bonifica dei siti industriali di Marghera.»
«Ma Matteoli», prosegue Fantauzzi, «è solo l’ultimo dei colonnelli di Alleanza Nazionale finiti nel mirino della magistratura negli ultimi mesi. Non se la passa troppo bene nemmeno Maurizio Gasparri, altro ex AN rimasto in Forza Italia dal momento che è sotto processo per peculato: nel 2012, da presidente dei senatori del Pdl, si sarebbe appropriato di 600 mila euro del gruppo per stipulare una polizza vita a lui intestata, indicando i suoi eredi legittimi come beneficiari in caso di morte (la somma è stato poi restituita un anno dopo attraverso due bonifici). Gasparri ha respinto l’addebito, sostenendo di essersi limitato a tutelare il gruppo parlamentare in previsione di una serie di contenziosi ai quali stava andando incontro. Ma il giudice dell’udienza preliminare non ha ritenuto la motivazione convincente, visto che lo scorso aprile lo ha rinviato a giudizio. Chi invece un processo lo rischia a breve è un altro federale di peso della Alleanza Nazionale che fu: Gianni Alemanno, oggi in Fratelli d’Italia, accusato di finanziamento illecito. Secondo la Procura di Roma, dietro un falso sondaggio sulla qualità dei servizi scolastici realizzato nel 2010 si sarebbe in realtà nascosta una attività di telemarketing a favore della candidatura di Renata Polverini, nel cui listino era candidata la moglie, Isabella Rauti.»
Al momento, comunque, non si sa ancora nulla di un’altra inchiesta: quella sulle presunte tangenti versate dalla società Menarini per la fornitura di 45 autobus. Nella vicenda è implicato, oltre ad Alemanno, anche Paolo Di Paoloantonio, ora consigliere regionale del Ncd e marito della deputata alfaniana Barbara Saltamartini.
Grazie all’immunità parlamentare se l’è invece cavata Francesco Proietti Cosimi, noto come «Checchino», ex segretario personale di Gianfranco Fini. L’anno scorso la Procura di Roma voleva utilizzare dieci conversazioni telefoniche di Proietti Cosimi in un’inchiesta sul crac della Keis srl, in cui era indagato per bancarotta fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti e finanziamento illecito ai partiti. Ma prima la Giunta delle autorizzazioni (presieduta da un altro ex colonnello di AN, Ignazio La Russa) e poi l’Aula di Montecitorio hanno detto «no».
Stesso discorso per l’ex deputato napoletano Amedeo Laboccetta, ex AN ora in Forza Italia. Nel novembre del 2011 la Guardia di Finanza svolse una perquisizione negli uffici romani di Francesco Corallo, azionista della società di gioco legale Atlantis/BPlus Gioco Legale, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Milano su presunti finanziamenti illeciti che la medesima società avrebbe ricevuto dalla Banca Popolare di Milano. Nel corso della perquisizione, Corallo si oppose al sequestro di un computer portatile, che venne infine prelevato da Laboccetta, che ne rivendicò la titolarità. Laboccetta in seguito provvide a consegnare alla Procura di Milano il computer in questione nel quale risultarono cancellati alcuni contenuti.
Inutile - e soprattutto avvilente - continuare. Se dai piani alti di via della Scrofa si passa agli scantinati del sottobosco aennino si rischia di compilare una lista di reati lunga quanto l’autostrada del Sole.
E sarebbe questa autentica corte dei miracoli il «nuovo che avanza» nel mondo di destra? «Ma mi faccia il piacere!», avrebbe detto Totò. Ecco, ce lo facciano il piacere questi ex colonnelli in cerca d’autore. Si levino di torno.
Inserito da un soldato dal canada'. il 23/11/2014 00:08:07
a pedate nel c..o
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
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