Giornata del ricordo

Foibe: silenzi, oblio e mistificazione

Prima Togliatti, poi Montagnani, sull'Unità, esortava a restituire i profughi Istriani alla giustizia slava

di Domenico Del Nero

Foibe: silenzi, oblio e mistificazione

Una delle tante raccapriccianti immagini di corpi recuperati dalle Foine, credit foibeblogspot.it

Non dimenticare significa non ignorare, eppure se i nostri studenti hanno almeno sentito qualche volta nomi quali Goering, Goebbels, Himmler … legati al concetto di crimine verso l'umanità, sorge il dubbio che pochi, forse nessuno di loro e forse neppure dei loro genitori, abbiano mai sentito parlare di un certo signore cambogiano,  Kaing Guek Eav, detto anche Duch, solo pochi giorni fa ( 3 febbraio) condannato finalmente all’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole  della morte di circa quattordicimila persone “ospitate”  tra il 1975 ed il 1979 dalla prigione di Tuol Sleng o S-21, della quale era il direttore. Un ometto dall’aria inoffensiva, un ex professore di matematica  (davvero la “banalità del male” di cui parlava  Hannah Arend )  che adesso i numeri inchiodano come spietato aguzzino tra quei khmer rossi  della Cambogia che pure negli anni ’70 qualcuno additava come compagni – modello. Ma non è tanto questo che impressiona  quanto la cortina di silenzio calata su questi eventi pure così vicini a noi nel tempo. 

Nessun corteo, nessuna commemorazione, nessuna anima bella sdegnata:  solo qualche articolo passato quasi del tutto inosservato, come del resto il processo che durava dal 2009. Eppure, il genocidio cambogiano è stato tra i più spaventosi,  anche perché anch’esso, esattamente come quello delle foibe, ha una radice “ideologica”. Non si tratta di voler fare dell’anticomunismo fine a se stesso, ma di prendere atto di un tragico dato di fatto: l’ideologia comunista potrà anche avere delle varianti “locali”, ma certo tra le caratteristiche comuni non si può dire che spicchino l’apertura e la tolleranza verso il dissenso.

Le foibe 

Non c’è dubbio che, nel caso del dramma delle foibe, alla componente ideologica si aggiunga e pesi tragicamente anche una etnico – geografica. I Balcani del resto erano già da tempo e tutt’ora restano una zona estremamente delicata;  quello che dal 1929 si chiamò regno di Jugoslavia (e in precedenza, dal 1919 al 1929, Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni ) era uno stato composito, nato all’indomani della Prima Guerra Mondiale sulle ceneri di quell’impero Asburgico il cui ruolo storico è stato ormai da tempo rivisto e rivalutato:  uno stato che  era tenuto insieme dapprima dal collante della dittatura monarchica  Serba e poi, dopo il secondo conflitto, da quella comunista del croato Tito.  Si trattava infatti di uno stato per troppe etnie, uno di quelli nati a tavolino a Versailles senza un minimo di senso della storia e della … prudenza geografica: tra l’altro, sarà proprio la possibilità di conflitti territoriali con l’Italia a spingere Sloveni e Croati,  ancora durante la prima guerra mondiale, a fare causa comune con i Serbi.

Significativo il fatto, a tale riguardo, che dopo l’occupazione del paese nel 1941 da parte delle potenze dell’Asse, anche i movimenti di resistenza si divisero e si scontrarono tra loro; soprattutto  vi fu una vera e propria guerra civile tra monarchici e partigiani, guidati da Tito, che alla fine del 1943 fu riconosciuto alla conferenza di Teheran il principale interlocutore degli alleati.

Il resto della storia è (abbastanza) noto. Quello che invece non è proprio del tutto noto, anzi è stato spesso ignorato, taciuto o mistificato  è quanto avvenne alla popolazione italiana residente in Istria e Dalmazia, quei territori per l’appunto “contesi” tra l’Italia e l’espressione geografica jugoslava. Già nella seconda decade del settembre 1943, in seguito allo sbandamento dell’esercito italiano, alcuni reparti partigiani jugoslavi  penetrarono in territorio italiano occupando l’Istria e la Dalmazia e costituendo a Pisino il comitato popolare di liberazione dell’ Istria e di Fiume.  Ad esso aderirono anche partigiani e antifascisti italiani, sedotti dal proclama di “fratellanza socialista” lanciato da Tito. Da tale comitato, quando nel maggio 1945 l’occupazione titina si estese alle province di Pola e di Fiume, ne discesero altri a carattere cittadino, mentre iniziarono a fare la loro sinistra apparizione i  tribunali del popolo.

Cronaca dell’oblio e della mistificazione

Già nell’ottobre del 1943, quando una controffensiva tedesca ricacciò provvisoriamente gli slavi nei loro confini  “naturali”, si cominciò a parlare delle foibe e di cittadini italiani scomparsi: fascisti e antifascisti, civili e militari, sacerdoti. Il Corriere della Sera del 30.1.1944 riportava poi una “Corrispondenza Repubblicana”  dal titolo Le foibe istriane e dal contenuto quantomeno inquietante:

“Le foibe sono i luoghi, caverne o burroni, dove sono stati trovati centinaia e centinaia di italiani barbaramente assassinati dagli slavi comunisti o d’altra fede, ma tutti sanguinari nemici di quanto è italiano. I giornali hanno pubblicato l’elenco lunghissimo dei nomi. Non è completo. Non tutte le foibe dell’Istria e della Dalmazia sono state esplorate. Questo massacro della inerme popolazione italiana, preordinato ed effettuato su vasta scala in tutte le italianissime e venezianissime  città e borgate dell’Istria, è di tipico stile slavo. Non si sono fatte distinzione di categorie, di sesso, di idee. Nella massa degli assassinati e gettati alla rinfusa delle foibe  è il fatto di essere italiani quello che ha determinato l’esplosione della ferocia partigiana e nazionalista. La strage è del resto in perfetta coerenza con le istruzioni del partito comunista.”

 Si faccia pure la debita tara al peso “ideologico” dell’articolo; rimane il fatto che ci sono alcuni dati di fatto che verranno tragicamente confermati:  il barbaro assassinio di cittadini italiani di ogni tipo, non certo solo militari o fascisti, donne e bambini compresi: a cui va aggiunto il modo estremamente selvaggio e efferato delle esecuzioni, che ha comportato lunghe e strazianti agonie in fondo a quei crepacci spaventosi che sono appunto le foibe; l’italianità come “colpa dominante” e la matrice ideologica. Per una sorta di crudele beffa della storia, nazionalismo e comunismo, teoricamente antitetici, stringevano una macabra e sanguinaria alleanza a danno degli Italiani. E del resto, se il contenuto di questo articolo sembra in qualche modo “fazioso”, che dire allora del “tono” di questo corsivo dell’Unità del 13 maggio 1945,  dove si riportano le parole del “Migliore”, ovvero di Togliatti in … falce e ossa?

 “Lavoratori di Trieste! Nel momento in cui ci giunge notizia che le truppe di Tito sono entrate nella vostra città, inviamo a voi, lavoratori di Trieste, il nostro fraterno saluto. Il vostro dovere è di accogliere le truppe di Tito come truppe liberatrici e di collaborare con esse nel modo più stretto per schiacciare ogni resistenza tedesca o fascista e condurre al termine al più presto la liberazione della vostra città. Evitate ad ogni costo di essere vittima di elementi provocatori  interessati a seminare discordia tra il popolo italiano e la Jugoslavia democratica. Italiani e jugoslavi hanno oggi un compito comune; quello di schiacciare le ultime resistenze tedesche e farla finita una volta per sempre col fascismo. Se sapremo lavorare e combattere assieme per questo, se sapremo punire i responsabili dei delitti commessi dal fascismo contro la Jugoslavia, riusciremo senza dubbio a risolvere in comune le questioni che interessano i due popoli nel reciproco rispetto delle due nazionalità”.

È vero che il comunicato di Togliatti è datato 30 aprile 1945, ma anche così suona un po’ strano e un po’ falso in quella data il richiamo alla necessità di concludere la lotta contro tedeschi e fascisti, come se la guerra fosse ancora aperta. Ma anche se l’Unità, come vedremo tra breve, riuscirà a fare ancora di peggio, basterebbero a parer nostro queste parole per chiedere la rimozione di busti e bustini del cosiddetto migliore da tutte le sedi istituzionali italiane e la cancellazione di ogni strada a lui dedicata;  è davvero poco credibile pensare che Togliatti ignorasse quanto era avvenuto già nel 1943 e quanto era appena accaduto e ancora stava avvenendo in quei mesi. Certo  gli Slavi avevano anch’essi subito i loro torti, soprattutto nei periodi dell’occupazione dell’Asse;  ma rimane un po’ difficile, nonostante ci si sia provato in tutti i modi, dimostrare che da parte italiana vi sia stata una scientifica e pianificata volontà di pulizia etnica durante l’occupazione dei territori slavi. Questo ovviamente non assolve da colpe o eccessi, peraltro purtroppo comuni durante conflitti e occupazioni,  ma tantomeno può essere portato a giustificazione o anche motivare un appello come quello che il cosiddetto “migliore” stava lanciando in quel momento; soprattutto se si pensa che massacri e omicidi continuarono anche a guerra finita:  proprio in occasione di quel radioso 30 aprile cui accenna Togliatti, appena entrati a Trieste gli iugoslavi arrestarono 150 carabinieri, altrettante guardie di finanza  e una settantina di guardie municipali. A detta delle stesse scorte slave che li accompagnarono fuori città, furono tutti massacrati, e analoghe violenze furono registrate contro civili inermi. [1]

Del resto, in tutta la Venezia Giulia, rastrellamenti e uccisioni continuarono sino all’11 maggio del 1945, quando gli Angloamericani decisero di non tollerare oltre questa situazione.  A Zara, che era stata annessa alla federazione jugoslava già dal 1944, non solo furono bruciati in un rogo gigantesco i libri italiani e l’archivio del comune, ma vi furono massacri indistintamente di civili e militari, rei tutti di italianità. Non si è mai saputo il numero esatto delle vittime, comunque diverse migliaia. E non è il numero che conta, ma la deliberata, feroce e indiscutibile volontà di genocidio. In questi casi, il numero è sempre un’aggravante, ma non la sostanza del male.

Ma il dramma di queste popolazioni non si limitò a questi orrori: a partire dal maggio del 1945 iniziò infatti l’esodo massiccio di italiani d’Istria e Dalmazia, intensificatosi poi dopo che nel febbraio del 1947 il trattato di pace di Parigi assegnò definitivamente l’Istria alla Jugoslavia. Vale la pena di leggere quanto scrisse al riguardo Pietro Montagnani su  l’Unità il 30 novembre 1946:  

“ Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e con l’ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d’origine perché temono di incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla polizia che ha il compito di proteggerci dai criminali. Nel novero di questi indesiderabili, devono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della polizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi in veste di vittime, essi che furono carnefici. Non possiamo coprire col manto della solidarietà coloro che hanno vessato e torturato, coloro che con l’assassinio hanno scavato un solco profondo tra due popoli.  Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali,  significa farsi complici” 

Parole che danno sinceramente la nausea, specie se si pensa che le foibe avevano già da tempo iniziato a restituire il loro macabro contenuto; lo stesso CLN giuliano chiedeva con angoscia, già dall’ottobre del 1945, di avere qualche dato e notizia certa sulla sorte di tante persone

 “ facendosi interprete dell’ angosciosa situazione in cui sono venuti a trovarsi i familiari degli innumerevoli giuliani deportati dalle truppe jugoslave,a causa del perdurare di un silenzio sulla loro sorte, che dà adito purtroppo  alle supposizioni più tragiche e disperate; poiché nessun chiarimento è stato dato dalle autorità circa le ripetute denuncie di arresti in massa e di eccidi commessi un po’ dovunque, qui a Trieste ed in particolar modo in località di Basovizza, con “l’infoibamento” di masse compatte di arrestati nell’ormai malfamato pozzo della miniera;(…)  essendo ormai di pubblico dominio che le autorità alleate hanno iniziato da circa due mesi laboriosissimi lavori di ricupero e che dato l’attuale livello del fondo del pozzo, si possono valutare a circa 1200 i cadaveri ivi giacenti …". [2]

Tornando all’Unità, è vero che qualche riga più sotto  Montagnani  si degna di ammettere che non arrivano nelle città soltanto i criminali, ma anche

 “ a migliaia e migliaia italiani onesti, veri fratelli nostri e la loro tragedia ci commuove e ci fa riflettere”;

salvo però  poi incolpare “l’infame politica fascista” della loro situazione  e uscirsene con questa sconcertante conclusione:

 “Per questa strada si difende l’italianità delle città contestate rimanendo sul posto e non facendo il vuoto davanti agli slavi, trattando con loro per ottenere ampie autonomie linguistiche, culturali, amministrative.  Non si difende sbavando calunnie da Roma o da Milano ed impiantandovi, a spese del popolo italiano, losche centrali di artificiosi irredentismi e di pazzesche  rivincite. “[3]

L’articolo accenna anche a un viaggio di Togliatti a Belgrado e a “concreti risultati” che questi avrebbe ottenuto. Di qualsiasi natura essi siano stati, di certo non arrecarono sollievo ai profughi il cui inserimento nelle città italiane non fu né facile né di breve durata:  un  altro aspetto di questo doloroso dramma. Intanto comincia a emergere con sufficiente chiarezza il motivo dell’oblio e dell’imbarazzo che ancora oggi circonda la questione delle foibe. È vero che cinque anni fa Stelio Spadaro sempre sull’Unità, non più organo comunista, criticava pesantemente (e giustamente) quanto  aveva scritto circa un mese prima Enzo Collotti sull’ancor comunista  Manifesto, riprendendo in sostanza le tesi del 1946 che furono poi più o meno sempre le tesi del PCI (ovvero lo schema azione – reazione, dove la responsabilità dell’azione, da condannare, era del Fascismo, mentre le foibe e l’esodo erano una reazione da giustificare):

 “ Il professor Collotti è libero di non nominare neppure una volta  e neppure per inciso, il termine comunismo nel suo articolo; tuttavia resta importante che l’opinione pubblica sia cosciente che nella Venezia Giulia non furono soltanto due i totalitarismi, macchiatisi di imperdonabili crimini, ma tre, compreso il comunismo. È questo uno degli aspetti che fanno del caso giuliano una sorta di paradigma della storia europea. Senza la consapevolezza di questo elementare dato ogni ragionamento sulla storia del Novecento nella Venezia Giulia e in Europa resta monco e incompleto, impigliato in fragili griglie ideologiche per tanti versi menzognere.” [4]

Certo c’è una bella differenza tra lo “sbavar calunnie”, le riverenze a Tito e le griglie ideologiche “per tanti versi menzognere” del comunismo. C’ è anche  chi non ha avuto bisogno dell’articolo di Spadaro, che comunque non basta a render giustizia di certe vergogne come quelle che abbiamo riportato e si muove pur sempre con circospezione e cautela, anche se certo con maggiore onestà intellettuale,  per accorgersi di questa “congiura del silenzio” durata ben oltre il 1946;  se si pensa,  come ricordava tra l’altro Paolo  Granzotto, all’atteggiamento servile nei confronti di Tito da parte di un pur riveritissimo presidente della Repubblica italiana quale Sandro Pertini che giunse addirittura a baciarne in lacrima la bara. Del resto, ricorda Granzotto, nel 1978 appena eletto presidente:

 “ Pertini concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione.”[5]

O in tempi più recenti, con precisione ancora nel 1999, il sindaco di Pisa Paolo Fontanelli, pidiessino, rifiutando di dedicare una strada ai martiri giuliano dalmati affermava che le foibe “sono soltanto una credenza”[6]  Si potrebbe veramente fare la storia del silenzio e dell’oblio che la vicenda foibe ha conosciuto in questi decenni di storia repubblicana; senza contare la sorda ostilità con cui sovente viene ancora oggi contestato il ricordo dei martiri giuliano dalmati, anche in occasione di una Giornata della Memoria istituita proprio a questo scopo.

Rimane una domanda; perché?  Se riprendiamo il punto di partenza, si potrebbe sconsolatamente affermare che un paese che ancora non è riuscito a chiudere in modo equanime ed equilibrato un capitolo verificatosi  centocinquanta anni or sono difficilmente è  abbastanza “maturo” per giudicare obbiettivamente vicende  “appena” poco più che sessantenni. Ma non è solo questo. Pesa indubbiamente sulla vicenda foibe il fatto che nel nostro paese sia esistito un partito comunista che è stato senz’altro il più forte dei paesi d’occidente, e questo elemento ha pesato e pesa tutt’ora quando si tratta di valutare vicende che con il comunismo hanno in qualsiasi modo a che fare. Con l’aggravante,  nel caso della vicenda foibe,  che ammettere una volta per tutte senza reticenze o senza cercare scuse il genocidio significa anche mettere in discussione, una volta per tutte, la “santità” di Togliatti e del PCI nei difficilissimi anni che vanno nel 1943 al 1945: significa insomma rimettere in discussione i “tabù” della Resistenza.  Si avrà il coraggio di farlo una volta per tutte, senza che questo comporti la …. restaurazione dei fasci littori, o bisognerà aspettare i posteri per l’ardua sentenza? E quali posteri, quelli del millennio  (eventualmente) prossimo venturo?

 



[1]Maurizio TORTORELLA, “ Le foibe. Una credenza e una verità” in  Sergio BERTELLI – Francesco BIGAZZI,, Pci, la storia dimenticata, Milano, Mondadori, 2001, p.305.

[2] A nome di tante famiglie in angoscia sia reso nota finalmente la verità sugli scomparsi, in La voce Libera,Trieste, 20 ottobre 1945

[3] Pietro MONTAGNANI, “Profughi” in L’unità,Organo del Partito Comunista Italiano – Edizione dell’Italia settentrionale – anno XXIII,  sabato 30 Novembre 1946.

[4] Stelio SPADARO”Foibe ed esodo, la congiura del silenzio”, in L’Unità, 27.03.2007.

[5] Paolo GRANZOTTO, La mattanza delle foibe e le amnesie di Pertini,  in http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/resistenza/istria/articolo.php?id=3180&titolo=La%20mattanza%20delle%20foibe%20e%20le%20amnesie%20di%20Pertini

[6]  M. TORTORELLA, “ Le foibe ….” In S.BERTELLI, F. BIGAZZI, PCI la storia dimenticata, cit. p, 303.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da cfragia il 16/02/2016 16:15:02

    Magnifica sintesi di quanto avvenuto. Mi chiedo se Pietro Montagnani è la persona che compare sul sito ANPI come partigiano insignito della Medaglia d'Argento

  • Inserito da Osso il 10/02/2012 23:17:36

    Tutto condivisibile e aggiungo un piccolo particolare; l'indegno picchetto dei compagni del potente PCI di Bologna che impedì ai profughi giuliano - dalmata di scendere alla stazione del capolougo emiliano. Molti di questi erano donne e bambini che fuggivano dall'inferno titino ma vennero trattati peggio che nazisti. Solo alla stazione di Parma poterono abbandonare i quei convogli e continuar la fuga dell'orrore. Episodio sempre negato dai prototipi dell'uomo nuovo emiliano come, del resto, la stessa strage delle Foibe. Per fortuna lo stesso indeno PCI è stato infoibato nella vergonga. Sarebbe ora di metter mano alla toponomastica; le strade dedicate a Tito dovrebbero esser dedicate alle vittime di quella carneficina. Se lo tengano ben stretto a Belgrado quel figuro, in Italia ne facciamo volentieri a meno.

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