Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Anche il Carnevale, come il Natale, ha i suoi dolci tipici e uno dei più diffusi sembrerebbe nato per rafforzare il noto proverbio “a Carnevale ogni scherzo vale”, giacché si tratta semplicemente di sottilissime fettucce di pasta fritta cosparse di zucchero a velo: una vera e propria burla gastronomica perché se ne possono consumare decine senza mai saziarsi, tant’è vero che in molte regioni italiane ricevono nomi che rammentano l’inganno come “chiacchiere”, “bugie”, “frottole”, “farseu”.
Queste strisce di sfoglia di farina addolcita, che tuttora vengono preparati per i bambini di casa nelle cucine di molte famiglie, hanno a volte il profumo di limone, vaniglia, grappa o liquore e vengono fritte nello strutto bollente, nell’olio d’oliva oppure nel burro, secondo i luoghi, prendendo forme più o meno accartocciate e nomi diversi: “frappe” nel Lazio, “sfrappole” in Emilia, “crostoli” nel Veneto, “galani” a Venezia, “lattughe” a Mantova o “donzelline” in alcune zone della Toscana.
Ma fra i toscani il nome più diffuso è quello di “cenci” perché rammentano gli scampoli di tessuti che si vendevano nelle fiere. D’altronde di nastri di pasta dolce fritta vi sono tracce nelle cronache toscane del XIII secolo.
Comunque sia, il loro più lontano antenato sarebbe il “laganum” degli antichi Romani, citato da Apicio: un impasto di semola e acqua tagliato a pezzetti che venivano fritti e poi conditi col miele, come d’altronde è d’uso in Sicilia dove i “nastri” carnevaleschi vengono irrorati di miele e cosparsi di granellini di zucchero.
Ma i dolci di Carnevale per eccellenza dei siciliani, immancabilmente fritti, sono i celebri cannoli di sfoglia croccante, riempiti di ricotta arricchita con canditi e pistacchi, talmente saporiti che una filastrocca popolare afferma: “Beddi cannola di Carnalivari,/ megghin vuccuni a lu munnu un ci nn’è”, ovvero “belli cannoli di Carnevale, miglior boccone al mondo non c’è”. La tradizione vuole che si mangino nel numero di dodici o suoi multipli: un’usanza che ormai pochi rispettano data l’enorme concentrazione di calorie che contiene ogni cannolo.
D’altronde il Carnevale moderno non viene più considerata quella “festa del ventre” del passato, quando erano d’obbligo le scorpacciate propiziatorie d’abbondanza per la successiva primavera. Tuttavia, per la gioia del nostro palato, vi sono reminiscenze di quegli arcaici riti di fecondità nei molti dolci regionali tuttora rimasti, la maggior parte, appunto, rigorosamente fritti, come le varie paste dolci ripiene, tipiche soprattutto dell'Emilia: dai “tortelli” farciti di marmellata di amarene ai “tortellacci” imbottiti di castagne; dai “ravioloni” con zucca e canditi ai “tortelloni” dolci del bolognese.
Della lunga serie dei grassi dolciumi carnascialeschi fanno parte anche le frittelle che, fin dal XVI secolo, a Venezia vengono chiamate “fritole” e si ritengono “boccon da poereti e anca da siori”, cioè “boccone da poveretti e anche da signori”. La ricetta tradizionale, come illustra il celebre cuoco del Settecento Bartolomeo Scappi, è ancora oggi la stessa, a base di farina, zucchero, uvetta e profumo di liquore.
In Umbria le frittelle dolci di Carnevale sono di riso, mentre nelle Marche si preparano col semolino; invece a Napoli si chiamano “zeppole”, da non confondersi però con quelle natalizie, mentre in Sardegna il loro nome è “zippulas”.
Da non dimenticare le “bignole” piemontesi, le “cartellate” pugliesi, le frittelle di zucca del mantovano, i nordici “krapfen” e i “nigelan” altoatesini, i “bomboloni” fiorentini, le “fregnacce” di Acquapendente e molti altri dolci ancora, fino ad arrivare ai bignè di San Giuseppe ripieni di crema.
Nel Lazio le “castagnole”, a forma di palline dalle dimensioni di una castagna, possono prepararsi anche al forno perché siano più leggere; come d’altronde anche i “berlingozzi” del Giovedì Grasso toscano che è detto Berlingaccio.
Ma la corona di Re Carnevale, ingorda e seducente, è rappresentata dalla “cicerchiata”, tipica dell’ Abruzzo, Umbria e Molise: un regale ciambellone di palline fritte di pasta dolce che sono tenute insieme dal miele e infine ornate con coloratissimi canditi e confetti.
Le palline per la “cicerchiata” si friggono anche nel Lazio, specialmente ad Anguillara. La sua ricetta, in versi romaneschi, si trova nel volume “Sonetti dorci” di Maria Teresa Costantini:
Ce stanno certi dorci che se fanno
la maggior parte solo a Carnovale,
però so buoni puro tutto l'anno;
So quasi tutti fritti, è naturale:
bombe, ciammelle, struffoli e bignè,
ravioli dorci e tonne castagnole;
Ce n'è n particolare uno-
tre etti di farina co du ova
du cucchiari de zucchero e ojo poco-
che va fritto a cecettini, e si uno vuole,
lo ripassa ner miele ch'è sur foco.
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