D'Annunzio

Piume e inchiostro

Presso le vetrine di bei negozi di cartoleria e penne di pregio, appaiono dei cartelli scritti a mano in caratteri costellati di belle grazie

di Piccolo da Chioggia

Piume e inchiostro

Lo stormo di lari in carta

Si è diffuso in ogni dove il singolare nuovo passatempo di frequentare dei corsi estemporanei di calligrafia. Presso le vetrine di bei negozi di cartoleria e penne di pregio, appaiono dei cartelli scritti a mano in caratteri costellati di belle grazie e armoniche volute che annunciano la possibilità di imparare e, per un certo aspetto di reimparare, l’arte della calligrafia. Da troppo tempo obliata. Di sera, dopo che il passeggio nelle vie eleganti, in Padova, Vicenza, Rovigo, è calato, le saracinesche di questi negozi si chiudono ma, lo stesso, guardando all’interno perché colpiti dal fatto strano che le luci sono rimaste accese si intravede che, montato un tavolo di fortuna nel mezzo della stanza, in media una dozzina di teste di allievi sono chine su bianchi fogli di carta mentre le loro mani tracciano lentamente con un calamo munito dell’antiquato pennino le lettere in scrittura onciale o cancellieresca che un professore disegna sulla grande lavagna bianca. A Padova ho potuto vedere addirittura sulla stessa via due negozi che l’identica sera tenevano il corso di calligrafia e pure nella medesima ora. C’è dunque da dedurre che la diffusione di questo passatempo abbia successo.  E in aggiunta è possibile, se non si è presi dalla troppa fretta, leggere le pubblicità che questi negozi inalberano sulle vetrine e che sono dei testi in lettura dove si ricapitolano per il pubblico a passeggio le tappe fondamentali di quest’arte calligrafica, i caratteri principali, i materiali con la loro storia, e i supporti, carte o pergamene delle più varie lavorazioni.

Non frequento queste graziose lezioni per il semplice fatto che tempo addietro, sull’onda della lettura delle prose notturne di D’Annunzio mi soffermavo sui particolari tecnici della scrittura che il nostro inesauribile poeta trasfondeva in mirabili pagine, e con la mia collaudata attitudine a far da solo cercavo di reimparare una pratica che fino ad un secolo addietro rara certo non era. Delle linee dannunziane rammento il racconto preciso di piume d’oca tagliate finemente e però rotte in continuazione nel continuo sforzo ad esse imposto di lasciare la loro traccia sul foglio Fabriano lungo una veglia notturna di vigorosa ispirazione poetica. E poi l’inchiostro nero di Vigodarzere nel quale all’officina del Vittoriale lo scrittore orbo d’un occhio intingeva la penna per tracciare i segni a grafia ben larga perché gli fossero di semplice rilettura. 

Riappropriarmi se non dell’arte della calligrafia, quantomeno della capacità di scrivere come si faceva un tempo usando di semplici piume intinte nel calamaio non è stato difficile; mi sono rivolto a quella fonte in continuo getto che è la nostra monumentale Enciclopedia italiana e alle voci scrittura, penna et cetera, provvidenzialmente corredate di buone illustrazioni, ho raccolto le regole prime per tagliarmi una piuma in modo da renderla capace di scrittura. Inorgoglito e appagato d’essermi poi esercitato con buon esito ed aver così ripreso una bella e antica arte manuale traevo occasione di annotare alcune considerazioni che qui seguono e sono di prefazione alle linee dalle quali si possono assimilare i primi rudimentali stadi per trasformare una piuma robusta e lunga in una penna che scriva con soddisfacente qualità. Senza troppo sbavare o esaurirsi con rotture o senza costringere a continue fastidiose immersioni nel calamaio.

Come tutti gli avvenimenti della storia anche per l’invenzione della stampa si può prospettare un duplice punto di vista. Quello che tutto scorge come un inesauribile decadere dal mondo luminoso delle origini o quello che al contrario tutto vede alla luce del continuo incessante progresso. Qui si cerca, pur tenendo conto che le considerazioni sulla decadenza hanno spesso molte più ragioni di quante non ne abbiano quelle sul progresso, di conciliare in modo assai stringato, in vista del fine, la duplice prospettiva. Con la stampa è certo che veniva finalmente superata la dura fatica dei generazioni di amanuensi. Ma della novità doveva presto manifestarsi anche un aspetto collaterale non positivo: se i copisti effettuavano, a volte con qualche glossa arbitraria da offrire allo studio dei futuri filologi, una prima selezione degli scritti da tramandare, con la stampa questa selezione allargava e di molto le maglie. Con il perfezionamento dell’arte tipografica e l’avvento dell’industria della carta di alcuni secoli successiva fa capolino il flagello della scrittura rapida ovvero del giornalismo. La macchina da scrivere si tramuta in uno spartiacque ulteriore nel semplificare e divulgare la scrittura a stampa e la fotocomposizione ne allarga il campo.  

L’elettronica compie il ciclo e salda il capo alla coda, in una sequenza che bandisce i tempi: lo scritto è dattilografato e di qui automaticamente composto per una stampa immediata e ripetuta. In teoria nulla a questo punto può più effettuare una adeguata selezione. Esposta in questo modo la breve storia sembra volersi offrire al disappunto di coloro che sono i laudatores temporis acti e additano in ogni collezione di atti i segni inesorabili d’un fatale e continuo decadere. Per non perdersi lungo questa via conviene dunque rammentare che esiste, nelle misure del tempo, anche la brava clessidra da voltare ad inizio di ogni nuovo ciclo. E altresì rammentare che negli stadi del fatale decadere si entrava, se si vuole essere coerenti all’estremo, già con l’invenzione stessa della scrittura che rappresentava il primo passo nell’oscurare l’antica e luminosa arte di tramandare le conoscenze solo con la memoria esercitata nel recitare continuo di componimenti poetici dal delicato tessuto di rime ed assonanze inventato proprio per imprimersi nel ricordo. E se oggi non è comune un maestro che fin dalla puerizia ci insegni quella parola del Rg-Veda composta nel meridione della Russia forse quindicimila anni addietro e affidata per millenni solo alla memoria di quei lontani pastori e conquistatori che la udirono dai loro maestri che racconta dell’invitto ritorno d’ogni alba

 vi sono molte aurore che non sono ancor nate

allora questa varrebbe per noi quasi come mai detta, se qualcuno non l’avesse trascritta su dei fogli e se con i passi successivi della stampa veloce non la potessimo riscoprire ora, distanti millenni, su di un libro del Nietzsche o sulla riproduzione fotolitica di un cartiglio del D’Annunzio disperso nei cassetti del Vittoriale. La questione sulla decadenza è dunque plausibilmente assai complessa e per quanto i suoi segni cadano ovunque, a tali segni ne sono compresenti altri che muovono ad equilibrate constatazioni e ristabiliscono, per così dire, un’armonica proporzione nella duplice prospettiva già nominata.  

Con queste linee si vuole invitare il lettore ad un esperimento interessante, attuato per riportare la scrittura pratica al suo primo stato e altresì capace di indurre ad una esercitazione che abitui, in virtù delle riflessioni che sono suscitate, a restringere duramente le maglie della selezione non solo nella scrittura ma anche nella lettura. Si cerca una bella piuma, di gabbiano o di oca che non sono difficili da trovare. Una passeggiata sulle spiagge permette spesso di raccogliere le maestose penne remiganti dei gabbiani. Queste sono lunghe da 25 a 30 e più centimetri, hanno il calamo del diametro di 5 millimetri circa e, nella parte senza le barbule, lungo da 6 a 8/9 centimetri.

Anche con forbici da cucina o, meglio, con un coltello per cartone o legno, si taglia obliquamente il calamo alla radice secondo un angolo non troppo fine ma che non deve essere grossolano. Va posta la dovuta attenzione in questo stadio perché il calamo è delicato e può frantumarsi o fendersi in molte crepe. Alla buona riuscita di queste operazioni, e qui probieren geht über studieren, provare val più che studiare, abbiamo una penna che intinta nella china (se si vuole anche diluita ma solo con acqua distillata!) o nel normale inchiostro blu scolastico scrive egregiamente e pure disegna.  Non avrà troppa autonomia e dunque è maestra involontaria di latina concisione: una riga o una riga e mezzo sui normali fogli protocollo per ogni immersione inchiostrale. Se trattata bene dura degli anni e ci ricorda così, nel corso del tempo, il gabbiano che l’aveva mutata nella sua livrea, al quale possiamo dedicare in una prima esercitazione nella nuova e antica arte, la copiatura di questo bel frammento di Theodor Storm:

                                             Ans Haff nun fliegt die Möwe

                                             Und Dämmrung bricht herein

                                             Űber die feuchten Watten

                                             Spiegelt der Abendschein 


interessante anche perché vario con le maiuscole e i segni di Umlaut che sono sempre una dilettevole palestra nella quale mettere alla prova i nostri progressi in calligrafia. Il frammento si può voltare nel nostro latino, sul paesaggio di una laguna alto adriatica, con queste linee che tentano di rinnovare la quieta musicalità del poema germanico:


                                            Ora vola il gabbiano

                                            alla piaggia umida e nera

                                            e al sole che cala porta   

                                            l’ombra della sera                                       


Per i disegni sono possibili, con un po’ di pratica, non solo composizioni classiche o astratte ma anche figure geometriche o architettoniche dove i tratti rettilinei riescono con l’uso della riga, che deve essere però un uso accorto: questa va poggiata sul foglio non di piatto bensì di taglio in obliquo in modo che la piuma sopra vi scorra con la parte di calamo non inchiostrata e ciò per evitare di imbrattare foglio e riga di macchie blu o nere che ridurrebbero a nulla i nostri faticosi risultati.  

Quando una piuma scrive su di un foglio è come se l’alba della scrittura si rinnovasse e quest’atto elementare con il segno lasciato dall’inchiostro trasmette a noi da tempi lontani poesie, filosofia, musiche. La creatura volante dà la piuma con la quale si tracciano i segni attraverso i quali un poeta potrebbe pure fantasticare che un qualcosa della qualità aerea della creatura stessa si sia trasfuso pure nel modesto foglio. Nel gioco puerile di tracciare con la piuma delle siluette alate e poi ritagliarle, fletterle e trasformarle in un aeroplanino di carta o in quei pali con al culmine lari o rapaci ad ali estese si può seguire quasi alla lettera questo passaggio di qualità aerea dal volatile al foglio.



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